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Gianfranco Murtas

A proposito di un intervento del vescovo Melis sul “caso Becciu”

di Gianfranco Murtas

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Don Corrado Melis, vescovo diocesano di Ozieri – cioè dell’antica diocesi di Bisarcio e, di lato, come sua doppia anima, di quella di Castro – è intervenuto sulla “questione Becciu”. Lo ha fatto nel sito internet della sua Chiesa locale e il suo scritto è stato ripreso e rilanciato da varie fonti. Credo che, nel merito, egli ne sappia più di me, ma pure che a lui stesso siano ignoti aspetti importanti della complessa vicenda. Perché tutti quanti ci affanniamo a pronunciarci su materie delle quali abbiamo una conoscenza parziale e, nonostante questo e per ragioni diverse (anche le più comprensibili e giustificabili), ci portiamo ad anticipare giudizi ora di innocenza ora di colpevolezza. 

Giorni fa sono entrato anch’io, sia pure eccentricamente, nella “questione Becciu” e, considerando la parzialità delle notizie, per il più negative e sgradevoli, diffuse dalla stampa e mandate a offuscare la onorabilità del cardinale, tanto più perché un severo provvedimento papale era parso legittimarle, avevo concluso, in tutta coscienza, che avremmo dovuto distinguere oggi – potendolo fare nella nostra stessa responsabilità – fra il delitto rivelatosi davanti agli occhi di tutti (il consolidato mercimonio delle finanze vaticane) e l’animus degli operatori. Perché chi conosce, prima ancora che il don Angelino prete ordinato della Chiesa cattolica, il profilo spirituale di un qualsiasi sacerdote che consacra l’ostia tutti i giorni e dunque relaziona dall’altare con il cielo in specialissima intimità, non può mai concluderne semplicisticamente che possa essere attraversato, quel profilo, da uno scadimento morale e vizioso. 

Ho anche cercato, con lo scritto di cinque anni fa, che richiamava una bella vicenda che a don Angelino Becciu nunzio apostolico in Angola in qualche modo mi aveva associato, né a quella vicenda soltanto si limitava, di motivare il perché mio personale della fiducia piena in lui circa la volontà di fare bene, e magari fare bene il bene, come anche da amici ozieresi mi giungeva testimonianza corrente.

Ma proprio questa impostazione dialettica mi autorizzava, senza dover chiedere il permesso a nessuno, di tornare su infedeltà grandi della istituzione “ecclesiastica” – che non mi sentirei di aggettivare dunque con una più spirituale e comunionale definizione di “ecclesiale” – circa gli affari speculativi (partecipazioni azionarie comprese) che in mille modi diversi sono diventati, da decenni nel capitalismo internazionale, pratica comune da parte di organi della Santa Sede, a cominciare dallo IOR che fu dello scomparso monsignor Marcinkus.

Dunque la “questione Becciu” su cui è ben intervenuto il vescovo Melis andrebbe da noi trattata, oggi, secondo questo schema: distinguendo la persona indicata come “rea” dal “reato” attribuitogli che ha una sua oggettività. Saranno gli atti documentari e le testimonianze veritiere e riscontrate, saranno le deposizioni giurate al processo, saranno le meditate deduzioni dei tribunali a far chiarezza e ad attribuire eventualmente le responsabilità personali. Noi non stiamo né tra le carte della istruttoria né nella sala di un processo penale.

Siamo vicini a un prete che crediamo onesto, e conosciamo onesto, che forse non ha avuto la prudenza di dire “no” – un no grande – alla prassi dei “precedenti”, al fare consueto dei finanzieri che giostrano i poveri preti con la propria competenza tecnica e lo sfoggio d’una apparente abilità natatoria nelle procelle del capitalismo internazionale, naturalmente per il bene di… santa romana chiesa, al maiuscolo o al minuscolo non importa.

Stimo e voglio bene a don Corrado Melis, che fu magnifico parroco per lunghi anni a Villacidro e che nell’episcopato ozierese ha ereditato, sia pure simbolicamente, il patrimonio storico-morale entrato per tre lustri nel titolo del compianto padre Giuseppe Pittau SJ, villacidrese di nascita – il battesimo fu nella chiesa madre di Santa Barbara – e d’onore. A lui che ho salutato con un articolo in Fondazione Sardinia al momento della promozione alle fatiche vescovili fra Logudoro e Goceano vorrei riportare, con molta fiducia nella sua onestà intellettuale, il bisogno e l’urgenza di un intervento di segno evangelico: una petizione di perdono alla memoria di Piergiorgio Welby, deceduto dopo trent’anni di sla, e tenuto fuori dalla chiesa da un vescovo-cardinale che si mise al posto di Dio giudice supremo. E’ uno scandalo ancora bruciante e il vescovo Melis ha l’opportunità di imitare, per dire di un confratello così amato in Sardegna, don Tonino Bello.

Mi permetterei anche di ricordare, portandolo fuori da un canestro dolente pieno e strapieno di neghittosità avvilenti, che nel 2008 inviai per conoscenza ad un vescovo sardo una lettera indirizzata al cardinale vicario di Roma che aveva messo a disposizione del matrimonio trionfante di un miliardario notoriamente non credente e di sua moglie una basilica romana: avvertendolo che nessuno dei nubendi credeva al matrimonio sacramento prossimo alla celebrazione, e che quella rappresentazione lussuosa costituiva simonia. Nessuna accusa di ricezione, non dalla diocesi sarda come dalla diocesi del papa. Ma la previsione di una ravvicinata rottura matrimoniale e di un prossimo divorzio pagato con molti zeri e di altri accompagnamenti effimeri s’era rivelata esatta.

Ecco qui: il caso Becciu riporta tutti, e i preti e i vescovi in primo luogo, ad una assunzione di responsabilità nei termini essenziali della buona fede, pronti a pagare se si sbaglia. Pronti noi tutti a pagare quando sbagliamo.  





Nota di Redazione:

Vi invitiamo a leggere il testo completo della lettera di don Corrado Melis: Il vescovo di Ozieri, Corrado Melis, a difesa di Becciu


Fonte: Gianfranco Murtas
RIPRODUZIONE RISERVATA ©

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