Bacaredda e Mercede Mundula, quel premio (intitolato al grande sindaco) assegnato nel 1925 da Fortunato Merello alla poetessa cagliaritana
di Gianfranco Murtas
Ne ho forse già scritto, ma ripeterlo non fa male: per onorare il grande sindaco che guidò, direttamente o indirettamente, l’Amministrazione civica di Cagliari per un terzo di secolo, a scavalco fra Otto e Novecento, il Municipio, oltre naturalmente ad inviare un messaggio di partecipatissime condoglianze alla famiglia ed a disporre i pubblici funerali che furono un autentico evento di popolo – ne fu moralmente associata l’intera città, e furono decine di migliaia (!) i cagliaritani assiepati ai i margini delle strade attraversate dal carro funebre e dal corteo che lo precedeva e lo seguiva – adottò tempestivamente diverse delibere.
Quali delibere? Alcune ancora di valore simbolico, come quel banco della presidenza lasciato vuoto e colmato di fiori (così anche al Consiglio provinciale che aveva visto Bacaredda suo membro per quasi trentacinque anni), abbrunato «per 6 mesi», e la commissione di un busto in bronzo da collocare nel nuovo palazzo civico di via Roma, da Bacaredda stesso inaugurato appena sette anni prima, nel 1914, alla fine della consiliatura “democratica” e laicissima, apertasi nel novembre 1911, ed alla vigilia della nuova che scontò purtroppo, fino al 1917, ogni patimento scaturito dall’emergenza bellica: un busto «nella sala consiliare, perché la sua figura [fosse] sempre presente e portarne consiglio e ammonimento».
Fu preso il calco del volto da Francesco Ciusa e Cosimo Fadda. Quest’ultimo poi realizzò l’opera che ancora si trova in uno dei corridoi che collegano l’aula consiliare all’ufficio del primo cittadino.
Gli impegni del Comune
La stampa cagliaritana e quella regionale (leggi sassarese, della Sassari tanto amata!) riferirono allora anche di intese per la erezione, nel cimitero comunale, di un monumento da far sorgere appena possibile: per intanto le spoglie di Ottone Bacaredda furono tumulate accanto a quelle della madre Efisia Poma, nel solenne colombario di San Bardilio. (Una mia ispezione recente ha acclarato che queste ultime si trovano oggi custodite, o forse… abbandonate, nello stesso loculo in cui già erano, e ancora sono, quelle di Efisio Baccaredda, il notissimo Emilio Bonfis papà di Ottone, in una terrazza – peraltro interdetta da venti e più anni per smottamenti mai frenati – dei gradoni del Cima).
Altro? Certamente la affissione di una lapide «che lo commemor[asse] in eterno, nelle scale municipali» (o «nell’atrio od in altra più acconcia parte del palazzo civico») e l’intitolazione «di una via o piazza di Cagliari». (Si sarebbe presto scelto una strada di speciale significato: giusto in quei margini di Villanova – il quartiere dell’ultima residenza domestica del sindaco –, ad un passo da Campo Carreras dove da qualche anno si cantieravano le prime case operaie di Cagliari).
E di più: una sovvenzione straordinaria di 25.000 lire all’Ospedale civile del quale Bacaredda era stato presidente per due anni (1887-1889), prima dell’ascesa per mandato elettorale alla massima magistratura municipale. Ospedale, anche, che lo aveva ricevuto malato, e gravemente malato, nella tardo ottobre 1921 e degente per molte settimane (ed inseguito alle altrettante trascorse in centri di salute continentali), fino alla morte intervenuta, dopo un necessario eppure inutile intervento chirurgico, nel giorno di Santo Stefano, nel pieno ancora delle pur modeste tradizionali feste natalizie della città.
Quella sovvenzione all’Ospedale civile si deliberò fosse replicata nel tempo, postata nel bilancio comunale fino a data imprecisata: «inscrivere con carattere continuativo nel nostro bilancio le somme di £. 25.000 intitolate al nome di Ottone Bacaredda». (Il passaggio, già nel 1923, al regime commissariale in chiave fasciomora e poi a quello podestarile, riportando la responsabilità politica del budget civico ad una autorità ben lontana dal liberalismo democratico di Ottone Bacaredda, credo abbia interrotto l’adempimento del voto consiliare: sarebbe una ricerca da sviluppare).
Dalla famiglia, peraltro, e direttamente dalla volontà del sindaco fissata nell’olografo datato 9 novembre 1919, il Comune ricevette il 7 gennaio 1922, deliberando il Consiglio la accettazione (il 14 dello stesso mese), la biblioteca giuridica (e anche letteraria) già custodita nella piccola casa di via San Giovanni 246 (e nelle tante precedenti, ché Bacaredda migrò nel tempo dalla piazza Yenne alla via Angioy, dalla via Manno al viale Regina Margherita, dalla via Barcellona alla via San Giovanni!): un migliaio fra volumi e fascicoli. Ricevette anche un busto in marmo effigiante il padre di Ottone, e che Ottone forse volle che la comunità cagliaritana più ancora che la propria famiglia conservasse, quasi come pubblico riconoscimento e pubblico premio a quel generoso Emilio Bonfis autore di La Sardegna sotto il reggimento del Piemonte e dell’Italia (1882) e di Cagliari ai miei tempi (1884)…
Di tale busto s’è perduta la traccia, io temo. Oltre un mese fa ho scritto, sul punto, al segretario generale del Comune che, se ha ricevuto la mail, non ha mostrato alcun rispetto del cittadino interrogante, negandogli una risposta secondo la miglior tradizone. Ho ipotizzato che l’opera, per certo consegnata in quel gennaio 1922 ai responsabili municipali dopo la morte del sindaco, possa esser stata collocata negli spazi della biblioteca (appunto con i libri del sindaco), al primo piano del palazzo, e poi magari danneggiata o distrutta a causa dei bombardamenti del 1943. O che possa esser rifluita – con quanto altro! con quanto forse anche della loggia massonica Sigismondo Arquer svuotata e chiusa e sigillata nel 1925 dai questurini fascisti, se è vero che anche il tanto celebrato busto di Giovanni Bovio realizzato da Pippo Boero nel 1904 finì lì prima di esser donato dall’indimenticato sindaco Paolo De Magistris a Bruno Josto Anedda e Luciano Marrazzi che glielo avevano chiesto per conto dei mazziniani della sezione cagliaritana del glorioso Partito Repubblicano Italiano.
Tornerò su questi aspetti post-mortem del Bacaredda, ma con il presente intervento vorrei limitarmi a dar conto, nel contesto, di una iniziativa “parallela” a quella comunale: mi riferisco alla attribuzione alla poetessa cagliaritana, in abbinata con la Società Storica Sarda (vale a dire con la Deputazione di storia patria) del premio, dunque diviso, di 5.000 lire messo in palio dall’industriale molitorio Fortunato Merello, fratello (e già socio) di quel Luigi Merello a lungo parlamentare (vicinissimo a Francesco Cocco Ortu) oltreché patron dell’omonima impresa rilevata dal suocero all’Annunziata di Cagliari e da lui sviluppata fino a farne una delle maggiori sul piano nazionale. Dico quel Luigi Merello azionista azionista anche di diverse altre compagini (come la Tramvia del Campidano) che segnarono la vita economica e civile del capoluogo per molti decenni. Scomparso nel 1916, a lui era stata intitolata una fondazione benefica e l’iniziativa in onore di Ottone Bacaredda voluta da Fortunato, nelle cui mani erano passate in pieno le redini della holding di famiglia, si inscrisse appunto nel quadro delle attenzioni sociali verso la città, invero mai risparmiate dagli industriali liguri.
Il bando della Fondazione Luigi e Luigia Merello
Questo era stato il bando che L’Unione Sarda aveva riportato nella sua edizione del 1° settembre 1922:
«Per onorare la memoria di Ottone Bacaredda, tanto amato dalla città di Cagliari, di cui fu Figlio prediletto, ed amico carissimo della mia Famiglia, istituisco presso la Fondazione Luigi e Luigia Merello eretta presso la Congregazione di Carità, un premio, per una volta tanto, di Lit. 5.000 (cinquemila) per lo scopo sotto indicato:
«1 - Questo premio verrà concesso a chiunque, nativo di Cagliari, od ivi residente si renderà benemerito dell’Isola Natale durante il periodo di tempo decorrente da oggi fino a tutto novembre 1924, con qualche notevole opera d’arte (pittura, scultura, architettura, musica) o con qualche importante pubblicazione (scientifica, letteraria, storica, economica, giuridica, sociale) o con utile invenzione o scoperta. Tale premio potrà pure essere assegnato ad un Istituto o a una Società di cultori di dette discipline.
«2 - Per la concessione del premio non si stabilisce alcuno speciale concorso, né si indica alcuna norma da seguire; la Commissione già esistente per la Fondazione Luigi e Luigia Merello presso la Congregazione di Carità in Cagliari, seguendo il movimento scientifico, letterario, artistico, ed in base alla notorietà delle opere e delle invenzioni rese pubbliche nel su accennato periodo di tempo concederà detto premio con inappellabile criterio di giudizio e di scelta, tenuto conto della importanza ed utilità delle medesime.
«3 - La Commissione, già esistente, sarà per l’assegnazione del premio, integrata col Sindaco di Cagliari, ed eventualmente con quelle persone esperte in materia che, a seconda dei casi, essa ritenesse opportuno chiamare per dare il loro parere sulla scelta dell’opera o dell’invenzione.
«4 - La Commissione potrà dividere in due quote uguali il premio stesso, ove ritenesse di pari merito due opere ed invenzioni da prescegliere.
«5 - Il premio dovrà essere assegnato il 26 dicembre 1924, terzo anniversario della morte di Ottone Bacaredda.
«6 - Ove la Commissione non ritenesse alcuno meritevole del premio, il conferimento del medesimo si intenderà protratto per altri due anni».
Con qualche (scusabile) cedimento alla retorica, il quotidiano di Terrapieno, ormai fattosi organo del fascismo della prim’ora cagliaritano, accompagnò l’iniziativa con espressioni di vivissimo consenso associando in uno stesso pensiero il «munifico donatore» e la «città capitale, culla e fonte di ogni progresso isolano» al «non mai abbastanza compianto Ottone Bacaredda».
Nel concreto sarebbe spettato alla Congregazione di Carità, pro tempore presieduta dal professor Rinaldo Binaghi, con la diretta partecipazione della commissione incorporata dalla Fondazione Merello ivi eretta e del sindaco (o commissario prefettizio), di decidere il merito dei concorrenti.
Scivolarono così, chissà quanto lenti o quanto rapidi, i mille giorni previsti per l’assegnazione del premio. L’Italia e la Sardegna erano ormai passate dalle garanzie dello Statuto alle nuove regole della dittatura in consolidamento, e tutto stava diventando… un’altra cosa. Altra cosa il governo ed altra cosa il Municipio, così la scuola, la stampa ed i sindacati, mentre intanto i parlamentari democratici s’erano autoconfinati nell’Aventino…
Arriva il premio
Finalmente nel marzo 1925 ogni attesa veniva soddisfatta da un comunicato diffuso dalla commissione incaricata della scelta. Fu ancora L’Unione Sarda a riferirne, nella sua pagina della cronaca cittadina (cf. 20 marzo 1925, “Il premio Bacaredda”).
Il giudizio finale era andato ad un ex aequo: metà premio alla Società Storica Sarda e metà alla poetessa Mercede Mundula che la sua prima raccolta di versi l’aveva pubblicata nel 1924, e con immediato successo sul continente oltreché in Sardegna, sotto il titolo di La Piccola Lampada. Questa la motivazione:
«Molteplici considerazioni di varia natura, rispondenti tutte spiccatamente alle finalità del programma, hanno facilitato alla Commissione il compito della seconda scelta tra l’abbondante pregevole produzione letteraria, e l’hanno indotta ad assegnare l’altra metà del premio alla nostra concittadina Mercede Mundula, autrice de La piccola lampada.
«Questa giovine scrittrice appare come la prima e finora unica donna sarda che siasi segnalata con una compiuta opera di poesia.
«In altre forme letterarie le nostre scrittrici hanno dato non poche prove del loro forte vivo ingegno: basti per tutte Grazia Deledda. Qualcuna ha pur pubblicato saltuariamente però, e solo in giornali e riviste, notevoli saggi di ispirazione poetica: ma nessuna di esse ha, in questo campo, affrontato finora, con un lavoro organico e di rilievo, il giudizio del pubblico.
«Il merito della Mundula è di aver saputo varcare questi confini, aprendosi una via che, se i presagi non fallano può condurla ad alta meta: l’esempio non sarà perduto per le sue conterranee, che dal successo della giovine scrittrice, è lecito sperare, trarranno incitamento a tentare uguali prove.
«E’ veramente una buona fortuna ha arriso a questa Piccola Lampada; essa è stata notata, con insolita attenzione e premura, oltre che dalla nostra stampa, anche, e assai largamente, da quella d’oltre mare; noti scrittori e critici autorevoli hanno scorto nell’Autrice una spiccata personalità artistica. E il suo nome, accoppiato a quello dell’Isola natale, ha dato occasione, a molti di loro che han parlato del libro, a ricordare la Sardegna con espressioni di viva simpatia.
«Son queste le ragioni che ampiamente giustificato, secondo il criterio del programma, l’assegnazione dell’altro premio alla Mundula».
(Evidentemente di non minor apprezzamento sono le virtù culturali colte nelle attività della Società Storica Sarda, che ha sedi in entrambi i capoluoghi provinciali dell’Isola e s’è data, fin da principio, «un fine nobilissimo, quello di rievocare il passato di gloria dell’Isola nostra, illustrandone le istituzioni, le leggi, i monumenti, le tradizioni, le vicende e i fatti storici più importanti: ottimi volumi d’arte e di erudizione furono pubblicati sotto i suoi auspici: basti ricordare la Storia dell’Arte in Sardegna di D. Scano, le Iscrizioni Sarde nel M.E. del Casini, il Dizionario Corso-Italiano del Falcucci, le Istituzioni giuridiche del M.E. in Sardegna di A. Solmi. E attorno all’Archivio Storico Sardo diretta emanazione della Società, e che ha una ventennale tradizione di laboriosità culturale, si è raccolta una larga schiera di uomini di dottrina e di studio che, con ampio contributo di indagini e di ricerche, ha concorso alla ricostruzione della storia Isolana in tutti i sui aspetti e rapporti.
«Questo nostro Archivio può gareggiare e gareggia coi migliori del genere delle altre regioni d’Italia; e la Società da cui promana, che ha sostenuto e sostiene non lievi sacrifici per una pubblicazione così utile e importante, - questa la conclusione – è ben degna di premio per le benemerenze acquisite»).
Naturalmente, per il dato personale invece che istituzionale, è quello della Mundula il riconoscimento che più colpisce e merita quindi anche vedere… dal di dentro il pregio della produzione poetica della cagliaritana, prima di tre sorelle (con Francesca/Cicita la pedagogista e Teresa la scienziata chimico-fisica e naturalista) tutte e tre cimentatesi con i versi più che con la prosa. (Altre due sorelle, la maggiore Maria – purtroppo scomparsa prematuramente al momento del suo primo parto – e la minore Vittorina divenuta insegnante delle primarie, indirizzeranno a diversi interessi ed obiettivi le loro migliori energie).
La virtù d’una poetessa
Classe 1890, Mercede ha frequentato le scuole Normali della sua città, su a Castello, nella via Lamarmora, quella fabbrica di maestre intitolata nientemeno che a Eleonora d’Arborea. Nel 1912 s’è trasferita a Roma con il giovane marito Attilio Caboni, impiegato ministeriale che proprio nella capitale ha vinto un pubblico concorso. Da lui ha poi avuto due figlie: Adriana e Marcella.
La sua prima opera, ritagliata in vari interventi, è di tema deleddiano: Le donne di Grazia Deledda è del 1918, come raccolta… piuttosto artigianale, realizzata ad iniziativa del padre, dei “quadretti” pubblicati, quello stesso anno, su Il Tempo – il giornale interventista di Filippo Naldi, avversato da Giolitti non meno che da Salandra, uscito fra il 1917, dopo Caporetto, e il 1922. Ha iniziato a firmare i suoi articoli a settembre, e la stessa Unione Sarda ha voluto darne notizia. Nelle pagine del quotidiano romano sono scivolati così, volta a volta, gli innumerevoli personaggi femminili creati dalla scrittrice nuorese ed indagati nel profondo da Mercede: da Annesa de L’Edera a Gavina di Sino al confine, da Regina di Nostalgie a Lia di Nel deserto, da Maria di La via del male a Columba di Colombi e sparvieri, da Marianna di Marianna Sirca a Noemi di Canne al vento, a Rosalia Derios Olì di Cenere… ma poi davvero quante altre sono le figure che si sono giocate la vita nelle pagine di romanzi e romanzi e romanzi e racconti e novelle… Paska e Cicchedda, Costantina e Fidela, Sabina e zia Grathia, Maddalena e Banna, Grixedda e donna Rachele, zia Tatana e zia Bachisia … e sono rimbalzate al microscopio critico di Mercede Mundula ancora giovane, giovanissima e talentuosissima.
Tornerà sulla Deledda, Mercede, dopo il lungo episodio del 1918, intervenendo diffusamente, sempre con rigore critico, su L’Italia che scrive, nel 1926, e sul parmense Corriere Emiliano, nel 1927, e dopo ancora esitando – era il 1929 – la monografia dal titolo Grazia Deledda nella collana “Medaglie” dell’editore A. F. Formìggini.
Intanto, nel 1923, a Bologna, dall’editore L. Cappelli e negli stabilimenti poligrafici del Resto del Carlino, ha pubblicato la citata raccolta La piccola lampada, che con tutto merito le porterà riconoscimento e nuova fortuna nella sua Cagliari.
E dopo? Altri lavori – ora poetici, ora in prosa e/o saggistici – usciranno ancora nel tempo: fra il molto altro Santa Teresa d’Avila nel 1931, La collana di vetro nel 1933 accolto con entusiasmo dall’editore A. F. Formìggini, L’allegra baracca nel 1935 – romanzo per ragazzi al pari di La casa sotto il pino del 1938 e La conchiglia, che vedrà la luce – singolare coincidenza – nell’anno stesso della sua morte, nel 1947 cioè. Fra opere d’ingegno e di studio, ecco anche diverse traduzioni ed introduzioni ed ecco di più – a marcare un ecclettismo di tutto rispetto – un soggetto cinematografico e varie biografie (come La moglie di Verdi, dalla milanese Treves, del 1938) e, chissà quante, conferenze qua e là e collaborazioni a giornali e riviste.
Il suo grande amore letterario è stato però da subito, ed ha continuato ad esserlo sino alla fine, la Deledda. Con lei, con discrezione e insieme affabilità, superando uno scarto anagrafico di vent’anni, ha intrattenuto un rapporto ed epistolare e personale assai importante e rilevante anche per la continuità, che si svolgerà proficuo e sul piano puramente intellettuale e su quello tutto personale ed amicale.
L’apprezzamento di Bacaredda
E con Bacaredda? Si sa, Ottone Bacaredda ha avuto anche lui passioni letterarie, in gioventù, e dopo la rivoluzione del 1906, in età dunque ben matura, ha affidato ai versi certe sue considerazioni che pur sarebbero sembrate un po’ politiche e un po’ sociologiche…Dunque è parso sempre ben interessato ad autori ed a titoli che ancora, o tanto più, dopo la crisi tremenda della grande guerra, rinnovano gli scaffali degli studi domestici non meno di quelli delle biblioteche pubbliche. Ha conosciuto così anche i primi lavori della Mundula, quelli deleddiani.
Di tanto fa fede una lettera da lui inviata al padre della poetessa, il notaio Carlo Mundula di sua buona conoscenza, e datata 16 gennaio 1919:
«Carissimo Mundula
«Le donne di Grazia Deledda sono ben fortunate.
«Esse hanno avuto il sacramento del battesimo da una scrittrice eletta che, cogliendone la psiche e dipingendone il costume, ha saputo magnificamente affermarsi nel campo del romanzo d’ambiente. Ed ecco che non manca loro il crisma della critica più benevola e più suggestiva per opera di una altra eletta scrittrice che allo studio diligente dei caratteri, della loro intima essenza e delle loro manifestazioni estetiche, accompagna un gusto e una coltura letteraria che non sono comuni.
«Il saggio della sua gentile figliuola interessa, specialmente noi sardi, per la genialità del tema; ma ogni lettore, anche se molto esigente, può trovarvi pregi di primo ordine, così di sostanza come di forma, e per la proprietà, la sobrietà, la dignità dello svolgimento e per lo stile originale, disinvolto, pittoresco.
«Alla signorina Mercede non manca ormai che il soffio della fortuna per affermarsi magnificamente anch’essa nel campo delle lettere. Ciò che le auguro sinceramente e per consolazione del cuore paterno e per l’onore della nostra terra.
«Aff.mo suo O. Bacaredda».
Maria e Giovanna Crespellani, Franca Ferraris Cornaglia e quanti altri con loro hanno partecipato al rilancio, con le edizioni AMD, della produzione di Mercede, Francesca e Teresa Mundula – e mi riferisco a Giovanna e Luisa Puddu, a Stefano Pira, a Sandro Maxia, a Monica Biasiolo, alle figlie Adriana e Marcella Caboni, e forse ad altri ancora – fra il 1997 e il 2012 con preziose antologie come Bello, bello anche il mondo di quaggiù!, come Rude e pensosa era…, come Poesie edite e inedite, hanno anche loro riproposto la lettera del sindaco e così il testo della motivazione del premio Merello, ancor meglio caratterizzando… l’universale cagliaritanità soprattutto di Mercede.
E’ dunque ben possibile immaginare l’interesse della commissione Merello alla silloge di quest’ultima uscita nel 1923 e di cui le varie antologie ripropongono un buon numero di liriche, immaginarie tessere di un mosaico vivo e largo.
Si tenga conto, intanto, che la raccolta originaria – quella premiata dalla commissione Merello –, articolata a sua volta in sei gruppi (“Le voci delle cose”, “Sommessa voce”, “Le dolorose”, “Luci nell’ombra”, “Terra di Sardegna”, “All’ombra di una culla”), comprende complessivamente 73 titoli di diversa metrica: “Il canneto” è il primo, “Pelle d’asino” l’ultimo.
L’antologia Poesie edite e inedite (1997) valorizza, naturalmente, queste ultime (le inedite cioè) – sono 20 e coprono il periodo 1933-1946 – ma lascia giustamente spazio, oltre che alle poesie tratte da La collana di vetro, a quelle – sono qui dieci – comprese ne La piccola lampada: “La piccola lampada”, “Il canneto”, “Ricami”, “L'oleandro”, “L’accetta”, “Il pozzo”, “La veste bianca”, “La preghiera”, “Terra di Sardegna”, “La casetta di rena”.
L’antologia Rude e pensosa era… (2012) presenta, dopo una importante introduzione di Sandro Maxia e ad un saggio in postfazione di Monica Biasiolo, soprattutto la documentazione degli studi sulla scrittura deleddiana e del rapporto fra le due autrici (in tale contesto appare anche la lettera del 1919 di Ottone Bacaredda a Carlo Mundula).
L’antologia Bello, bello… anche il mondo di quaggù! (2007), che amplia il suo sguardo critico-familiare fino a comprendere i contributi anche di Francesca e Teresa (e qui meriterebbe aggiungere altri verseggiatori della famiglia come Maria e Luigi Crespellani, il primo presidente della Regione Sardegna e marito di Teresa) presenta quattordici componimenti (alcune in duplicazione della prima rassegna): “La piccola lampada”, “L’oleandro”, “L’accetta”, “La veste bianca”, “La sponda”, “Il chiuso verziere”, “La mia mano”, “L’apparizione”, “La preghiera”, “I Re Magi”, “La casa”, “La piccola fuggitiva”, “Le sue vestine”, “La torre dell’Elefante (Cagliari)”.
Omaggio a Mercede
Ecco qui di seguito, tratte proprio da La piccola lampada premiata dalla commissione Merello per celebrare Ottone Bacaredda, due delle liriche che, con gusto personale, mi è sembrato di dover qui rimbalzare:
“La piccola lampada”
Nutrito ha la Vergine saggia
la lampa, con olio d'oliva,
e sempre la fiamma ne avviva
e veglia al chiaror che ne irraggia.
Attende lo sposo promesso
ma ignora sia il giorno che l'ora:
dall'ultimo acceso riflesso
del sole al biancor dell'aurora,
immota, la Vergine attende.
Verrà il dolce sposo di morte,
del sonno più lieve e più forte
d'Amore, a discioglier le bende
sue molli con gesto soave.
Verrà, ma la tenebra immensa
s'accresce e sul cuore più grave,
più fredda, più nera s'addensa.
O Vergine accorta, non basta
quel lume all'attesa, la poca
sua fiamma non scalda, la fioca
sua luce non fende la vasta
lung’ombra del mondo: alla vita
non basta la morte. Su accenda
la mano, con agili dita,
più viva una lampada e splenda
anch'essa sul cupo sentiero.
O piccola fiamma che sciogli
il buio, che il gelo a noi togli
dal sangue, che muti ogni vero
donando agli sterpi le rose,
ai cieli sconvolti le stelle,
i sogni alle vite corrose,
sei tu ch'ogni cuore ribelle
addormi e blandisci ogni duolo,
sei tu che dài un battito lene
al rotto pulsar delle vene,
e delle speranze lo stuolo
ridesti. Rimani qui accanto,
rimani a me sempre vicino!
Purché tu mi schiarii! cammino
nutrita sarai col mio pianto.
“La torre dell’Elefante (Cagliari)”
Dal colle sovra cui Pisa t'eresse
per vigilar l'insidiato mare,
incontro al cielo ancor ti levi: impresse
l'orme sue vive ha il tempo su le chiare
pietre e più bella la dorata veste
ti fa, più austera la tua forza appare.
Il lungo vol dei secoli con preste
ali sfiorò la tua quadrata mole
che reca dalle spente aurore a queste
albe novelle l'oro di quel sole. [...]
Nel sole, il mare, folle d'esultanza,
dalla sua viva immensità chiamava
verso l'Ignoto. Azzurra ogni distanza
pareva e malioso oltre la cava
cerchia dell'orizzonte il mondo e immensi
doni offeriva. L'anima volava
alle lontane terre dove i densi
steli fiorian del sogno, e li coglieva:
tutti tremavan di dolcezza i sensi.
Ma dall'alto la tua voce diceva:
"Non varcare la chiostra dei tuoi monti,
non solcar l'onda del tuo breve mare:
un vortice travolge i puri fonti
che sfuggiron cantando, alle lor chiare
vette. Rimani! La distanza tinge
d'azzurro il nulla e danno bacche amare
i fiori d'oro: è insaziata sfinge
l'Ignoto e d'ogni cuor fa scempio orrendo.
Resta per sempre in questa che ti cinge
ombra materna". Ed io fuggii piangendo!
***
Scrivo queste note mentre continuano a giungere, drammatiche, le notizie da Kiev e dalla Ucraina tutta. Sia maledetto chi ha scatenato l’inferno ed ha provocato la morte e la sofferenza di tanti innocenti. (Ed ancora una volta abbiamo la plateale dimostrazione della nullità liberale degli esponenti della destra italiana, pagana e imbrogliona, da cui insistenti sono venuti, negli anni, gli accarezzamenti ad un pericoloso dittatore nato).
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