Bachisio Zizi ed il Premio Dessì: da Orune a Villacidro per la cultura sarda
di Gianfranco Murtas

Bachisio Zizi vinse il premio speciale della giuria nell’edizione 1998 del concorso letterario Giuseppe Dessì. Fu per Cantore in malas, pubblicato l’anno prima dalla Cosarda. Nell’occasione egli donò una breve ma profondissima riflessione a chi riconobbe il pregio del suo lavoro ed a quanti parteciparono all’evento villacidrese.
Due anni dopo, il 6 ottobre 2000, tornando nel “paese d’ombre” con molti dei premiati nel lungo tempo dei riconoscimenti, offerse alla considerazione dei partecipanti al nuovo convegno dessiano, una compiuta ed articolata proposta circa la “promozione, organizzazione e diffusione” della cultura sarda in Sardegna stessa prima che nel mondo.
Entrambi i testi egli volle poi includere nella miscellanea Un’isola nel mondo, un volumetto autoprodotto nel 2011, dopo il suo completo ritiro dalla vita pubblica, ed appena tre anni prima della dolorosa scomparsa avvenuta nel ferragosto 2014. Perché siamo adesso all’undicesimo anniversario della sua morte, circostanza di calendario che ce ne riporta la memoria gratissima, riproponendoci le dimensioni della sua umanità ed il talento di scrittore.
A Villacidro ed alla miscellanea, o antologia delle… sparse tracce delle sue interviste, dei contributi consegnati nelle occasioni più diverse, ecc. mi riportano – appunto ricollegandomi direttamente alla figura di Bachisio Zizi – gli echi tutti personali di taluno dei mille, centomila (per lunghi anni furono quotidiani!) scambi con lui. A partire da un certo tardo pomeriggio dell’estate del 1976, quando da lui invitato giunsi, proprio partendo da Villacidro, nel suo ufficio perfetto trionfo della sobrietà. L’invito era stato telefonico e, per paradossale che fosse, non mi aveva trovato granché disponibile, per ciò sorprendendolo e forse infastidendolo, e tutto comunque superando con un perdono spontaneo. Era un gran direttore, Zizi, competentissimo nella macro e nella microeconomia, nel diritto civile e non soltanto in quello bancario, in scienza delle finanze e… in letteratura, nella produzione di Brecht, e in semiologia, da Roland Barthes al nostro Eco, navigatore fra strutturalismo ed epistemologia, fra Levi Strauss ed i mille canali delle nuove scienze sociali…
Così come la biblioteca murata nella casa di Angelo Uras Curreli e rivelata a Giuseppe Dessì da nonna Margherita Fulgheri, quando un piccone parve mandare fuori di testa lo scrittore allora appena quindicenne – e com’è magnificamente raccontata nel postumo La scelta – l’ondata torrentizia dei saperi di Bachisio Zizi se non mi travolse quella volta lì, certo mi colpì (forse turbò) insieme affascinandomi, e ispirandomi nel contempo dei rimbalzi acrobatici, in quella conversazione segreta, proprio ricorrendo alle mie letture di Giuseppe Dessì ed alle magie ambientali di Norbio, e San Silvano, e Pontario, e Parte d’Ispi, e Ordena, e Olaspri, e Cuadu, e Ruinalta…
Poteva essere un incontro di tensione, quello, nella banca ormai deserta nel venerdì sera, e fu invece gran pace e contentezza: una gran pace e contentezza che infinite altre volte si replicarono, pur bucate in uno o due momenti da cadute sentimentali, per una ipersensibilità d’orgoglio ch’egli infine – per palese superiorità di dottrina, di carattere, di esperienza – seppe ricondurre a giuste, e minime, misure.
Parlammo di Dessì e di Villacidro – mia patria elettiva – e, pur riconoscendole lo status di cattedrale letteraria sarda, al pari della Nuoro deleddiana forse, e magari della Orotelli di Salvatore Cambosu, mi convinse di deradicarmi per tornare a Cagliari, città non delle avversioni ma semmai delle assorbenze, sì delle assorbenze anche villacidresi… Magnifica prospettiva.
In nome di Dessì ecco Bachisio Zizi, tanti anni dopo quella nostra conversazione, tornare a Villacidro ed alle malie del suo ambiente fisico e sociale ed avanzare le sue riflessioni sul gran tema della cultura in Sardegna, un tema che un altro barbaricino eccellente, l’avv. Gonario Pinna, aveva trattato da par suo dottissimo introducendo il famoso convegno di Nuoro del marzo 1958 e su cui ripetutamente La Nuova Sardegna e Ichnusa dettero conto, accogliendone i testi. Una meraviglia: ora, quaranta e passa anni dopo, Zizi chiamava in causa la Fondazione Dessì, e l’avrebbe voluta protagonista apripista di scelte ampiamente innovatrici e coinvolgenti territori e talenti e volontà.
Infine un appunto sulla miscellanea. Soltanto nella parte finale della sua produzione – con da riva a riva, edito a Cosarda nel 2001, e appunto con Un’isola nel mondo (e, per i carteggi, con Dialoghi a distanza, 2010) – lo scrittore dette corpo a un suggerimento che spesso mi sentii di dargli sviluppando una premessa consegnatagli proprio in quel primo incontro del 1976: che non scrivesse soltanto libri ma scrivesse anche per i giornali, e poi raccogliesse in volume questi suoi interventi. Un rimedio piuttosto semplice, ma efficace, al rischio sempre incombente della dispersione.
Qualcosa appunto è stato fatto, anzi egli stesso ha fatto. Resta un’incompiuta che mi rincresce assai: tanto L’Unione Sarda quanto La Nuova Sardegna, testate giornalistiche alle quali spesso Zizi collaborò, così raccogliendo l’invito frequente a fornire un contributo di pensiero e… di suggestione letteraria, ora nella pagina culturale ora perfino in prima pagina (magari a commento di qualche episodio della cronaca sarda), potrebbero raccogliere gli articoli firmati dallo scrittore onorando questo appena trascorso centenario della nascita. Potrebbe il sindaco di Orune avanzare egli una proposta in questo senso ai direttori editoriali dei due quotidiani sardi? Purtroppo La Nuova Sardegna non ha più il suo professor Brigaglia così come L’Unione Sarda non ha più il suo dottor Filippini a consigliare e a proporre e anche a realizzare il giusto nelle collane editoriali che i due quotidiani hanno lanciato nel tempo e di cui si sono fatto vanto.
Ecco dunque, di seguito, l’intervento dello scrittore orunese alla manifestazione del Premio Dessì del 1998 e quello, molto articolato, da lui svolto, ancora a Villacidro, nel 2000.
Quel libro giunto con dedica autografa
"Qui come venn'io o quando"? mi viene da dire pensando ai miei pudori e alle mie ritrosie. Come scrittore io sono un padre snaturato. C'è sempre un impulso d'amore che mi spinge a scrivere, ma i libri che pubblico non li aiuto a vivere, mi disinteresso quasi di loro, per pudore certo, ma anche per una sorta di ripulsa che mi sono abituato a chiamare "disgusto del compiuto".
Con queste mie chiusure non potevo certo immaginare di poter partecipare a questa festa culturale.
Il mio stato d'animo in questo momento è di contentezza e di stupore, contentezza per ciò che la Giuria ha dato al libro, aprendolo alla comprensione degli altri e risarcendolo di ciò che io non ho potuto o saputo dargli; stupore per una serie di coincidenze che si ricollegano in qualche modo al nome del "Premio" e a Villacidro.
Mi piace ricordare che nel lontano 1981 io non avrei mai scritto "Il ponte di Marreri" senza le suggestioni di "Paese d'ombre" che mi era giunto con dedica autografa di Giuseppe Dessì. L'altra coincidenza riguarda la mia attività di dirigente bancario che mi portava a visitare le filiali della mia banca, compresa quella di Villacidro, per promuovere e coordinare le "azioni di sviluppo". Ogni volta che mettevo piede in questa città, e accadeva spesso, lo scambio fra realtà e fantasia che accompagnava il mio anomalo agire bancario, trovava legittimazione ed esaltazione: Villacidro, con l'intraprendenza della sua gente e i fantasmi letterari che la popolano, diventava quasi un laboratorio sperimentale per restituire centralità all'uomo anche nel fare bancario. Di tutto ciò ci sono segni visibilissimi in "Cantore in malas".
Io non ero destinato a fare il dirigente bancario e tanto meno a scrivere libri; i progetti esistenziali dei miei genitori su di me non andavano oltre la cava di mio padre dal quale dovevo apprendere il mestiere di scalpellino. La sorte ha deciso diversamente e ora mi trovo qui, più che mai stupito.
Mia madre, presente nei libri che scrivo come un paradiso perduto, con gli occhi stanchi dei suoi 98 anni, ha potuto leggere e benedire "Cantore in malas". Se n'è andata un mese fa e non ha fatto in tempo ad assistere a questo riconoscimento, che appartiene a lei più che a me.
Darsi un’organizzazione, la cultura è per tutti
Il "Premio Dessì", dopo quindici anni di dignitosa attività, si presenta a quest'appuntamento con un prestigio che lo impone alla considerazione dei più qualificati ambiti culturali e perfino al rispetto dei suoi lontani detrattori. Non credo, tuttavia, che il Convegno abbia scopi celebrativi, al contrario, è proprio dalla consapevolezza dei successi conseguiti che è nata l'idea di porre il "Premio", riformulato nei percorsi e negli obiettivi, come premessa e punto di riferimento per tutto ciò che si potrà progettare e costruire pensando alla crescita culturale delle nostre comunità.
I premi letterari, che pure hanno assolto una funzione importante come strumento di orientamento e promozione culturale, stanno esaurendo la loro forza propulsiva per l'irruzione sulla scena di nuovi attori e l'insorgere di questioni cruciali che nessuna cultura creativa può ignorare. In quest'epoca di trapassi tutti gli scenari tendono a mutare vorticosamente, con la tecnica divenuta ormai essenza dell'uomo e motore della storia, l'esplosione dei mezzi di comunicazione che sostituiscono ogni esperienza diretta del mondo con la sua rappresentazione e la moneta divenuta linguaggio della nostra esistenza "finanziarizzata". Tutto ciò comporta una ridescrizione delle categorie attraverso le quali finora l'uomo aveva definito se stesso, e non è operazione puramente linguistica o di vocabolario, ma acquisizione dei nuovi contenuti che sono venuti assumendo concetti come individuo, identità, libertà, ideologia.
Questo è il crogiolo incandescente da cui scaturiranno, per colata e fusione, le nuove culture e i nuovi saperi. E tuttavia, nonostante i mutamenti e i ricambi tumultuosi, il "Premio Dessì", proprio per come è venuto caratterizzandosi nell'arco non breve della sua vicenda, resta ancora uno strumento di pensiero e di comunicazione idoneo per introdurre alla comprensione degli eventi, ma anche per suggerire forme di aggregazione durature che aiutino a ricomporre le mille schegge in cui si vanno frantumando i nostri mondi.
La Sardegna è stata e continua ad essere terra ad alta vocazione culturale, capace di generare intuizioni originali in ogni campo del sapere, anche se poi tutto resta senza uno sviluppo coerente. Anche questo Convegno è frutto di una felice intuizione, ma questa volta con buone probabilità di tradursi in un progetto di ampio respiro fortemente innovativo. A parte ciò che di positivo il "Dessì" ha seminato in quindici anni di attività, un tale convincimento si ricollega in primo luogo alla generosa presenza di gran parte dei vincitori delle passate edizioni del "Premio", avvenimento di straordinaria importanza se si pensa che i poeti e gli scrittori qui convenuti, alcuni provenienti da contesti lontanissimi e non solo geograficamente dalla nostra terra, hanno molto da offrire in termini d'inventiva e di creatività. L'altro elemento cui è legato il successo del Convegno è il ruolo determinante che può svolgere la Fondazione Dessì, soprattutto se saprà aprirsi al nuovo che incalza e riuscirà a liberarsi dalle bardature burocratiche sempre in agguato.
Partendo da questa premessa incoraggiante, tentiamo allora di ipotizzare percorsi praticabili per dare al Convegno valore fondativo con sbocchi che vadano al di là dell'effimera risonanza che potrà avere attraverso qualche articolo di giornale. Non si tratta di fuga dalla realtà, ma di un proposito fortemente radicato nelle cose e nei bisogni delle nostre comunità.
Il primo passaggio di questi ipotetici percorsi potrebbe essere la convocazione di una Conferenza regionale della cultura col compito di affrontare e dibattere i problemi riguardanti la promozione, la organizzazione e la diffusione della cultura in Sardegna.
Se una tale Conferenza non dovesse avere altro seguito che la pubblicazione dei suoi atti, si ricadrebbe nella ritualità dei convegni e delle tavole rotonde che, per quanto meritevoli, sono destinate a produrre testi che pochi consultano e nessuno legge.
La Conferenza in ipotesi, invece, dovrebbe costituite un avvenimento capace di scuotere dalle fondamenta il nostro contesto culturale, rompendo con la pratica delle incompiute e dando attuazione a ogni valida proposta che dovesse scaturire da un raduno così qualificato.
Questo Convegno potrebbe promuovere la costituzione di un gruppo di lavoro col compito di elaborare il progetto di massima della Conferenza, con riferimento sia agli aspetti organizzativi, sia all'orizzonte culturale in cui collocare i tre temi da dibattere, il cui valore strategico dovrà trovare compiuta formulazione nel modello operativo finale. Intanto ecco alcune considerazioni di ordine generale sui temi cui incentrare la ricerca e il dibattito.
a) Promozione culturale in Sardegna.
È un campo ricco di potenzialità, ma poverissimo di strutture. Si produce molto, ma in modo frammentario e disarticolato, e senza che vi sia dialogo e neppure comunicazione fra i vari centri di elaborazione del sapere. L'intento sarebbe di creare un sistema di infrastrutture culturali, mirate a sollecitare la ricerca e la creazione, nonché a facilitare incontri e confronti, scambi e aggregazioni sia a livello individuale, sia a livello di gruppo. Si tratta di incoraggiare tutti i saperi e tutte le forme di espressione artistica, lasciando che sia la comunità nel suo insieme, una sorta di Borsa della cultura, a determinare valori e quotazioni.
b) Organizzazione dell'attività culturale in Sardegna.
Occorre restituire la centralità perduta alle periferie. Una delle tante soluzioni potrebbe essere la creazione di circoli culturali nei centri più importanti, promuovendoli e sostenendoli secondo modalità da studiare. Si dovrebbe trattare di circoli intesi come luoghi di incontro e di confronto, anche come laboratori da cui possano partire proposte riguardanti i bisogni culturali della comunità di riferimento, ma anche dell'intera regione. Perché ciò avvenga occorre:
- Che le iniziative nascano come esigenza sentita dalla comunità;
- Che i circoli dei vari centri comunichino fra di loro, dando vita a forme di collaborazione e competizione. La tradizione offre spunti interessantissimi in proposito.
I temi della promozione e organizzazione ripropongono il problema della cultura sarda incentrata sulla questione della lingua. È un problema cruciale e delicato, soprattutto per le chiusure e intolleranze con cui è stato affrontato. Si pone l'esigenza di nuove aperture tenendo presente che cultura sarda è anche quella di cui è portatore l'imprenditore che si cimenta in iniziative votate a valorizzare le risorse naturali della nostra regione; come pure è cultura sarda quella che può scaturire da un circolo di paese e quella dello scrittore che dà forma d'arte a ciò che ha vissuto, sofferto e goduto nella sua terra. Sono tutte espressioni di una cultura che senza perdere niente delle sue peculiarità, si apre all'altro per prendere e dare in uno scambio alla pari; deve diventare cioè lingua capace di tradurre e farsi tradurre nei saperi del mondo.
c) Diffusione della cultura in Sardegna.
La Conferenza dovrebbe dibattere anche lo squilibrio esistente tra lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e la divulgazione della cultura, che segue ancora canali a bassissima velocità.
La diffusione della cultura nella nostra regione è carente e comunque inadeguata a quella educazione permanente che è compito di ogni società. Il deficit più vistoso riguarda:
- La distorsione dell'informazione culturale che finisce per diventare disinformazione;
- La passività con cui la gran parte della comunità sarda vive le vicende culturali del nostro tempo;
- Lo scambio ineguale con le altre culture, che ci vede perdenti per mancanza di offerta.
La cultura deve seguire circuiti allargati, con interdipendenze sempre più strette tra il momento della produzione-creazione e i momenti della diffusione e fruizione. Per rendere virtuoso il circuito l'offerta di cultura deve creare la sua domanda e viceversa.
Ma quale collocazione potrà trovare il "Premio Dessì" in questa ipotesi di ristrutturazione del paesaggio culturale? Il senso del Convegno è tutto qui, e le ipotizzate iniziative altro non sarebbero che infrastrutture culturali permanenti, progettate e attuate proprio per rilanciare il "Premio". Al gruppo di lavoro sopra ipotizzato dovrebbe essere affidato il compito di tracciare il profilo del nuovo "Premio Dessì", partendo dalle seguenti esigenze di fondo largamente condivise:
1) — Salvaguardare e valorizzare l'inestimabile patrimonio di esperienze e consensi cumulato in quindici anni di attività, dando il giusto risalto al nuovo soggetto che col Convegno sta emergendo, ossia il coinvolgimento diretto o indiretto dei vincitori delle quindici edizioni del "Premio". Si tratta di personalità che pur diversissime per esperienza di vita e percorsi letterari, hanno in comune l'amore per la cultura e per il fare creativo. La loro presenza qui ha motivazioni che vanno al di là di un gesto di pura cortesia. Forse si sta gettando il primo seme di un sodalizio originalissimo, da cui possono venire indicazioni non solo per il rilancio del "Premio Dessì", ma anche per nuove formulazioni dell'istituto dei "Premi" in generale;
2) - Mantenere le aperture del "Premio" verso le altre culture, magari sperimentando nuovi canali e nuove forme di dialogo. È da valutare l'opportunità di un sito Internet, per le possibilità di incontri e confronti che esso può offrire.
3) - Definire il rapporto tra la "Fondazione" e il "Premio Dessì", delimitando competenze, responsabilità e ruoli delle due istituzioni, con una visione d'insieme che porti ad alimentare un circuito virtuoso in cui momento della progettazione e momento operativo si stimolino a vicenda.
Risorse.
Iniziative di questa portata richiedono risorse finanziarie di due tipi: - di impianto, riguardanti l'organizzazione della Conferenza e le dotazioni iniziali dei vari enti o organismi; - di gestione, che possono assumere il carattere di flussi in entrate e in uscita, dato che non sono da escludere attività produttive.
Una quantificazione delle occorrenze finanziarie può farsi solo dopo che sarà approvato il progetto di massima. È interessante, invece, entrare nel merito delle fonti di finanziamento, tenendo distinte le varie destinazioni delle risorse. Si possono avanzare le seguenti ipotesi:
a) - Organizzazione della Conferenza: la fonte non può che essere pubblica. Dovrebbe assumere la forma della contribuzione straordinaria, valutando la possibilità di un intervento da parte della Comunità europea;
b) - Capitale di dotazione per gli enti e le strutture operative. Si potrebbero studiare nuovi strumenti finanziari che combinino insieme rendimento, liberalità e impegno culturale (è un capitolo interessante che meriterebbe di essere posto come tema della conferenza, con riferimento al problema più ampio della creazione di un mercato finanziario in Sardegna rivolto all'attività culturale);
Restano ferme le seguenti esigenze:
- Liberare le attività culturali dalla totale dipendenza e quindi dai condizionamenti di una indiscriminata pubblica contribuzione;
- Improntare la gestione delle singole unità culturali a criteri di economicità, introducendo il concetto di produttività economico-culturale.
Questo mio intervento può aver dato l'impressione di interferenze o invadenze in campi che esulano dal tema posto all'ordine del giorno di questo Convegno.
Non è così. Tutto viene da lontano e per dare conto degli intendimenti che mi muovono mi permetto richiamare la nota da me inviata al signor Sindaco di Villacidro in data 16.10.1998, nella quale c'era già il presentimento del nuovo che sta maturando.
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