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Gianfranco Murtas

Balubirde e la Madonna dei nuoresi: vescovi padroni e l’offesa alla memoria di monsignor Alberti

di Gianfranco Murtas

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Ebbi il primo incontro personale con il compianto monsignor Ottorino Pietro Alberti a Valverde. Era il 24 agosto 1988 – trentasei anni fa – e ne porto documento nella dedica datata d’un libro, un mio libro di tema storico-politico tutto sardo, che gli portai in dono e che dall’arcivescovo riebbi (ma in cambio – che amabilmente egli pretese – di una altra copia) quando un malaugurato incendio scoppiato nell’episcopio castellano bruciò, o bruciacchiò, anche quel volume insieme con diverse centinaia di altri, e ben più preziosi (parzialmente salvati poi dalla Soprintendenza), della sua bella biblioteca. (Aggiungo per doverosa integrazione e precisazione a chi la storia dei miei rapporti col presule ha conosciuto quando essi entrarono in qualche pubblica cronaca, che dopo una disamistade durata diversi anni – quelli da me impiegati contro la malasanità democristiana senza riuscire ad averlo a me, querelato perfino, solidale – per la buona volontà di entrambi ricostruimmo in un’abbinata di speciale e segreta positiva intensità).

Discutemmo di Nuoro, per un’ora e più seduti nello spiazzo fra la casa rurale e la chiesetta antica di proprietà, e nella conversazione entrarono molti degli argomenti di condiviso interesse, dico di Nuoro e degli apostoli del sardismo repubblicano di Seuna e Santu Predu e di sa bia Majore fino alla cattedrale del Bua: dopo che alle obbligate “stazioni” deleddiane, sattiane (due volte sattiane!) e ciusane, illuminati dalla stella di Giorgio Asproni ci concedemmo alla gustosissima rassegna biografica – lui per diretta conoscenza, io per studio – di Pietro Mastino e Gonario Pinna, di tutti i Melis e Luigi Oggiano… Soffermandoci anche, in ultimo, sul vescovo piino Demartis, il rettore Satta Musio e il mio Bachisio Zizi che di quest’ultimo aveva rappresentato le stagioni di vita nel suo magnifico Il ponte di Marreri.

Ho evocato quel primo incontro nuorese, che fissammo pochi mesi dopo l’ingresso ufficiale di monsignore nella diocesi di Cagliari dopo i quasi tre lustri trascorsi in Umbria, fra Spoleto e Norcia, perché proprio dal capoluogo barbaricino, che mi è sempre carissimo – fra logge e parrocchie, il settimanale e le due editrici, le memorie custodite a Sae Manca e il tanto rimasto delle attività culturali (incluse quelle dell’AMI di Annico Pau) –, mi sono arrivate le tristi doglianze per una inopinata deliberazione della curia locale neppure recentissima ma che continua a spiegare i suoi effetti: nella chiesetta di Nostra Signora de Balubirde non si può più celebrare, sì proprio nella chiesetta di Nostra Signora de Balubirde così cara a Grazia Deledda e a tanti nuoresi, fra i quali certamente era monsignor Alberti che ogni anno, quale che fosse la sede del suo ufficio ora di professore lateranense ora di vescovo-arcivescovo nel continente e poi nell’Isola, si ritagliava le settimane utili a contenere la novena secolare ed a marcare, proprio là neppure lontano dalla santa chiesetta della Solitudine, i passaggi generazionali dei nuoresi, non si può celebrare. Restava già a Nuoro, monsignore, per la solennità del Redentore quando il vescovo Melis Fois mille volte cedeva a lui, con signorilità d’altri tempi, il bacolo e la presidenza liturgica…

A Balubirde è vietata la celebrazione religiosa e taccia per sempre anche la Nobel Deledda e taccia Efix. Il divieto fu firmato nel 2019 dal vescovo del tempo monsignor Mosè Marcia, considerato incapace di comunione con il popolo canonicamente affidatogli già da dieci anni (cinquemila firme ne profilarono, perché ne restasse traccia nella storia, una asserita e disgraziata autoreferenzialità ed una inadeguata comunicabilità). Un secondo divieto, nella tacita forma della mancata revoca del provvedimento, mi si dice sia venuto dall’attuale ordinario, responsabile delle diocesi di Nuoro e di Lanusei nonché presidente della Conferenza Episcopale Sarda, monsignor Antonello Mura, che pure ha sempre avuto fama – e pur marginalmente ne potrei dare personale testimonianza – di uomo di dialogo.

Michele Pintore, profondo studioso della storia nuorese e giornalista impegnato in ogni buona causa sociale, ha pubblicato sull’ultimo numero dell’Almanacco Gallurese (quello del 2024/2025) un bell’articolo dal titolo “Chiude ai riti religiosi l’antica chiesa di Valverde”, che in conclusione dà spazio alle considerazioni di una anziana fedele di Balubirde, Elena Corda, e di Annalisa Alberti, discendente della famiglia Alberti Costa che ha curato da molti decenni la manutenzione dell’edificio sacro.

M’è venuto di ricordare – soffiatomi adesso nel cervello il cognome Costa – che nel nome di Nicolosa si riuniscono le memorie della secentesca gentildonna che volle innalzare quel tempio rurale, in vario modo ricollegatosi alle devozioni algheresi alla Vergine patrona della diocesi di Alghero-Bosa (da cui don Mura viene!), e della amatissima madre di don Ottorino.

Non ho titolo per intervenire nella questione nuorese se non con l’affetto personale per la parte offesa dalla prepotenza clericale. E chiarisco ad evitare equivoci e altre inutili polemiche: intendo prepotenza clericale quel comportamento padronale di chi è invece comandato alla fontana del vangelo (prima che alla copertina del codex) per servire dissetando tutti e a tutti rivolgendosi con gentilezza nel dialogo coltivato e perfino promosso, ché esso non è mai cosa di troppo. Anzi è cosa di coscienza e di dovere.

Se le chiese sono vuote, se altri paradigmi sociali stanno dimezzando le nozze in chiesa e i battesimi e quante altre amministrazioni di sacramenti non sarà anche e soprattutto perché nelle fatiche dell’accompagnamento di fraternità i preti e i vescovi, troppi preti e troppi vescovi, han fatto serrata?


Fonte: Gianfranco Murtas
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