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Bovio reloaded. Il Cavaliere Nero apre il “Caso Greco”: «Fu immobile sui fatti sardi!». Cronache marziane

Redazionale

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Ray Bradbury, precursore degli autori di fantascienza con la sua raccolta di racconti intitolata "Cronache marziane", non avrebbe potuto immaginare uno scenario più sorprendente e bizzarro di quello materializzatosi ieri pomeriggio sul Canale Telegram del Cavaliere Nero.

In seguito alla denuncia del candidato alla Gran Maestranza del Grande Oriente d'Italia Pasquale La Pesa, dei gravi fatti avvenuti a Cagliari tra il 2019 ed il 2020, aventi ad oggetto i ripetuti turpiloqui messi in opera da un cosiddetto "Venerabile", con la copertura dei vertici regionali e nazionale del G.O.I., ai danni del busto in gesso pesante del Filosofo liberale Giovanni Bovio, custodito nella Sala della Quadreria della sede regionale del Grande Oriente d'Italia, si è venuto a sapere che il candidato Grande Oratore della stessa Lista elettorale di La Pesa, Giovanni Greco, sarebbe stato sordo e cieco di fronte alla richiesta di intervento a suo tempo rivoltagli dal massonologo sardo Gianfranco Murtas, al fine di adoperarsi, con il Gran Maestro Stefano Bisi, per la giusta correzione di colui che ne era stato l'indiscusso responsabile.

Titolato a tutto ciò, il Murtas, per aver portato egli stesso il busto, poi oltraggiato, nella casa del G.O.I. cagliaritano.

La vicenda è per certi versi gustosa, per altri drammatica, perché segnerebbe da un lato la comica posizione di Pasquale La Pesa, che così ospiterebbe in casa propria i "rei" accusati di "omertà" contro i quali aveva tuonato soltanto qualche giorno prima, dall'altro tragica, in quanto rivelerebbe il «basso livello massonico» – così qualcuno ha commentato sul Canale Telegram – degli uomini (futuri "Dignitari") che compongono alcune delle Liste elettorali attualmente in corsa per il rinnovo della Gran Maestranza.

Noi di Giornalia, come parte terza, seguiremo come sempre le vicende di quello che si preannuncia a tutti gli effetti come uno "scandalo nello scandalo".

Per adesso, e per gentile concessione del Cavaliere Nero, siamo in grado di riportarvi il commento di Gianfranco Murtas alla esplicita richiesta del primo, circa il comportamento tenuto dal Professor Giovanni Greco in merito alla segnalazione portata, a suo tempo, proprio dal Murtas al Greco sul Caso Bovio.




«Intervengo non volentieri in un dibattito che per molti aspetti mi è divenuto tristemente estraneo né la mala salute mi consente molto oggi. Ma il dovere di cortesia verso chi mi ha interpellato, chiedendomi una testimonianza pro veritate dopo che l’avv. La Pesa candidato alla gran maestranza del GOI ha espresso la sua recisa condanna di quanto avvenuto in ambito GOI a Cagliari negli ultimi anni, e approvato dagli organi di vertice (regionali e nazionali) della Obbedienza – egli avvertendo essere il suo giudizio condiviso in toto dagli uomini della lista – mi porta a fissare sulla carta qualcosa, per me, di doloroso, ferita aperta e ancora salata da amicizie rivelatesi di infimo cartone. Più ancora, però, ad indurre ad esprimermi con giusta educazione e rispetto di ogni opinione (s’intende, quando sia anch’essa volta al bene), è la lealtà repubblicana, quella verso le istituzioni della nostra Repubblica cioè, e verso la democrazia che le sostiene tutte per il secolare contributo che essa stessa ha ricevuto dalle feconde e profetiche idealità di uomini come Giuseppe Mazzini e Giovanni Bovio ed anche il nostro sardo Giorgio Asproni. Asproni, l’uomo politico che seppe impedire a Pio IX di azionare ancora una volta, e per l’ultima volta, la ghigliottina in un anno non così lontano da questo 2024 agli esordi, ché erano già presenti allora sulla scena del mondo i nostri nonni.

Poiché la recente dichiarazione di La Pesa – che il suo giudizio sia cioè pienamente condiviso dagli altri – mi lascia dubbioso, debbo spiegare, forzando la riservatezza propria dei sardi nuragici, qualcosa di personale. Dai miei 15 anni sono stato prossimo e poi sempre più coinvolto nella missione civile delle forze culturali e politiche che alla democrazia risorgimentale facevano diretto riferimento e s’erano battute contro il fascismo, per la Repubblica e per la ricostruzione morale e materiale della patria in una logica di integrazione continentale, secondo il sogno di Mazzini. E i nomi Nathan e di Ettore Ferrari li ho conosciuti, meno che ventenne, muovendomi fra i libri e i monumenti della mia Cagliari, associandoli agli altri nomi di riguardo del mio più povero ma sempre dignitoso scenario isolano. Sicché il patrimonio umanistico, intellettuale e sociale ad un tempo, della Libera Muratoria come società ecumenica ma radicata nei valori della patria come enunciati da Mazzini e Garibaldi, e dagli altri del patriottismo democratico (e del giovane patriottismo democratico) come Goffredo Mameli figlio di sardo ogliastrino e Guglielmo Oberdank celebrato a Cagliari ed a Sassari per lungo tempo in ogni anniversario del suo sacrificio alla forca, ho avuto la fortuna di assumerlo sempre più come costitutivo della mia identità di adulto, fino a non poter più distinguere la militanza civile dal mio condurmi privato e personale. I cento e passa libri che ho consegnato, negli anni, al maggior mondo degli studi storici, e anche alla biblioteca del Grande Oriente, sono stati tutti ispirati dal medesimo sentimento partecipativo, considerando la socialità democratica e la Libera Muratoria al pari delle istituzioni morali e religiose le motrici virtuose di una storia in sviluppo.

Ho potuto dunque, negli anni ancora della giovinezza e prima maturità, carezzare le testimonianze magisteriali insieme della democrazia mazziniana e della Libera Muratoria strutturata nel GOI capitanato dal cagliaritano Ferdinando Ghersi SGC del Rito Scozzese e da Alessandro Tedeschi Gran Maestro in esilio e già professore all’università di Cagliari, da Ernesto Nathan di mirabili ascendenze e da Guido Laj Canessa Gran Maestro tanto cagliaritano quanto messinese, ponte di fraternità fra la Sicilia e la Sardegna, nell’immediato secondo dopoguerra.

La mia ribellione alle offese recate negli anni da un povero pazzo eletto Venerabile e fattosi caposcuola di altri poveretti che sono arrivati perfino ad irridere, con Minnie e un caffè fumante, i duecento morti arsi nel porto di Beirut, ma dopo aver fatto strame della dignità di ogni spazio e di ogni soggetto della migliore storia nazionale – quella di Bovio e di Mazzini – così come poi di ogni vivente sede pubblica e di ogni rappresentante delle supreme istituzioni come i presidenti Mattarella, Napolitano e Fico – non è stata che un dovere di natura, ed ho il cuore ancora gonfio per la plateale diserzione di chi aveva l’obbligo morale di intervenire a rimedio ed ha fatto invece marcire nel letame dell’ignavia le tavole ispiratrici d’ogni buon sentire muratorio. Quaranta o cinquanta articoli tutti di ampia documentazione storica e di rimprovero per le infedeltà dell’oggi non sono serviti a smuovere alcuno.

Se non dai vertici obbedienziali, pur tempestivamente informati di tutto ma persi a se stessi, non nego che mi sarei aspettato una coraggiosa e impegnativa presa di posizione almeno dei Venerabili delle maggiori logge cagliaritane, dalla Lando Conti – intitolata perciò al maggior mazziniano e boviano fra tutti i titolari delle officine locali – alla Francesco Ciusa, alla Giorgio Asproni – su cui non vale oggi insistere – od alla Risorgimento che innalzò le Colonne proprio nel centenario della morte dell’Apostolo… queste almeno sulle 49 in armi. E invece niente. Bene l’offesa idiota al capo dello Stato ed al presidente della Camera, bene l’irrisione a Mazzini condita da un riferimento al “prurito anis” nel mezzo delle bare di Bergamo, bene le stupidate all’orecchio di una statua storica che era stata sequestrata dai fascisti nel 1925 e salvata nel 1970 da Bruno Josto Anedda, lo scopritore del monumentale diario inedito di Giorgio Asproni, bene tutto, bene le insolenze antifemminili ed antimigranti, bene gli ammiccamenti nazifascisti, bene anche – secondo quanto riferito pubblicamente – il furto della Torah dono di Condello (!!! di Condello che era stato il ponte di collaborazione fra il GOI e la Caritas), bene l’assalto ai documenti riservati presso le Segreterie, bene il lordume inverecondo sul verso di un labaro capitolare, bene le tracce di impossibili licenze edonistiche nel Tempio di Minerva.

Fu in quel contesto che chiesi solidarietà, e non la ottenni, da chi pure è presente nella lista di La Pesa, e la cui autorevolezza – autorevolezza di specchiato galantuomo e di accreditato studioso – avrebbe già milleduecento giorni fa, salvato tutto e rimesso le cose a posto; chiesi solidarietà anche alle quattro logge Giovanni Bovio del continente, e così al presidente Finelli della Associazione Mazziniana Italiana che mi rispose di aver impegnato il suo vicario, massone in attività, ad accertamenti a villa Il Vascello ricevendone l’invito a “lasciar correre”. Furono forse quindici o venti le istanze presentate a singoli o ad associazioni da cui mi sarei aspettato una immediata pubblica testimonianza volta al recupero del sobrio stile, riflesso di intelligenza vera e cultura vera, degli uomini delle logge.

Proprio chi del santo nome di Giovanni Bovio, filosofo del diritto e Grande Oratore bruniano, autorevole ispettore di disciplina nella sua Napoli e per incarico di Ernesto Nathan, s’era fatto alfiere in pace, scrivendone e scrivendone, scappò dal campo tappandosi occhi ed orecchie quando qualche scriteriato senza religione volle svuotare il suo pozzo di insolenze, ammorbando la storia ancora con la peggior cronaca all’insegna del “venticinqueaprilastopardecojoni”.

Non potei allora rivolgermi – la cosa è risaputa – ad alcun Grande Oratore come avrei potuto fare con Carlo Gentile e Salvatore De Rysky o ancora con Enzo Paolo Tiberi (il quale avrebbe poi conteso la gran maestranza a Giuliano Di Bernardo) e Morris Ghezzi (che venne a Cagliari a presentare il mio “Diario di loggia”), nomi tutti dell’eccellenza giustinianea dei cruciali anni del secondo Novecento. Successori, o lontani successori nella carica, proprio di Giovanni Bovio – la maggiore autorità morale nel Parlamento italiano per un quarto di secolo! –, e predecessori di chi, semplicemente, non vide e non sentì, o non volle vedere e non volle sentire.

Tutto qui. Si perde anche nella vita, si perde nel tempo breve. Ma si semina intanto, e verrà il giorno in cui tutto questo darà frutto di qualità. E lo storico del futuro dettaglierà questa microstoria nostra e la partecipazione di ciascuno. Quando i nipoti e pronipoti vorranno capire da che parte stava il loro antenato ormai passato al non tempo. Quel non tempo – riecheggio qui alcune suggestioni della saga mariniana di Giorgio Todde – in cui essi, gli antenati, avranno fatto la conoscenza finalmente personale di Mazzini e Bovio, di Mameli ed Oberdank, dei Gran Maestri credenti e di Giorgio Asproni, di Anedda e di Condello, di Ciusa e di Conti, di Napolitano e di quanti altri – compresi gli ignavi della gran massa – avevano avuto parte in questa singolare commedia pesante tanto quanto una tragedia»

Con cordialità da Cagliari il 1° gennaio 2024, gianfranco murtas


RIPRODUZIONE RISERVATA ©

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Efisio Impellizzieri

13 Gen 2024

Illeggibile come sempre, il Murtas


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