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Gianfranco Murtas

Confidenze di Francesco Giusto Lo Bue, pastore della chiesa evangelico-battista di Cagliari ed Oratore della loggia Sigismondo Arquer, nella via Barcellona

di Gianfranco Murtas

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In uno dei libri più interessanti dedicati alla storia della istituzione liberomuratoria in Italia – quella del professor Fulvio Conti Storia della massoneria italiana dal Risorgimento al fascismo uscito per le edizioni del Mulino nel 2003 e presentato tempo fa anche a Cagliari (al Ghetto degli ebrei in Castello) – v’è un capitolo che approfondisce il quadro delle provenienze sociali-professionali degli Artieri iscritti alle logge all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia a cavallo fra Ottocento e Novecento.

Di un qualche speciale interesse è il dato che fa riferimento ai ministri di culto, presenti nel corpo massonico nazionale degli anni fra il 1880 ed il 1923 in numero di ben 88, di cui 2 rabbini, 9 sacerdoti cattolici (in evidente difficoltà con le gerarchie) e ben 77 pastori protestanti di varia confessione. Meriterà ricordare, al riguardo, che pastore protestante era il Pot.mo Saverio Fera, il quale da Luogotenente Sovrano Gran Commendatore guidò la scissione del 1908, assumendo da allora la testa della Famiglia tutta scozzesista di Piazza del Gesù (denominata inizialmente di via Ulpiano). Idem il Pot.mo Teofilo Gray, altro leader dell’Obbedienza scissionista, che era pastore valdese. Così come pastori protestanti – evangelico-battisti/valdesi, luterani o altro – furono nel secondo dopoguerra alcuni dei protagonisti delle vicende di rinascita della istituzione liberomuratoria in Italia, come capi di Famiglie tutte riconducibili al Rito Scozzese Antico e Accettato. Si pensi soltanto a Tito Signorelli che, allora Luogotenente, tanto vicino fu a Guido Laj, il Gran Maestro di Palazzo Giustiniani, il Gran Maestro che era di sangue tutto cagliaritano…

Più volte tale prossimità fra protestantesimo e Libera Muratoria è stata oggetto di studio da parte di storici importanti come Giorgio Spini e Augusto Comba (quest’ultimo già direttore di Hiram, la rivista del Grande Oriente d’Italia prodotta negli anni della granmaestranza Corona). Generalmente si sostiene la tesi della parentela ideale fra i due circuiti, assumendo l’anticlericalismo – nel senso dell’avversione alla casta fattasi esondante lobby sociale e politica –, il riferimento alla cultura anglosassone e la propensione riformista e progressista come pilastri di tale vicinanza.  

Anche Cagliari ebbe la sua parte. Non pastore, e in una posizione neppure di militanza ma certo di prossimità alla chiesa evangelico-battista fu il Fratello Alberto Silicani, il cui funerale cristiano venne celebrato appunto, ai primi del giugno 1974, nel tempio di quella confessione, nel viale Regina Margherita. Un versetto dei salmi, là sulla lapide, lo ricorda a chi lo ha amato. 

Nell’area acattolica del monumentale di Bonaria è la tomba di Mary Singleton Lo Bue, moglie del Fratello Francesco Giusto Lo Bue che, appunto responsabile della comunità evangelico-battista di Cagliari e anche di Iglesias negli anni ’20, appartenne alla loggia Sigismondo Arquer allo stesso Oriente.

Ho ricostruito, sulla base delle notizie biografiche che lo riguardano e dei documenti disponibili sullo stato delle logge sarde del tempo, un report conversativo – o chiamala autobiografia simulata – capace di illustrare insieme la personalità del dignitario di quell’officina rituale e, in generale, i tratti e le vicende dei gruppi latomistici isolani negli anni particolari fra la fine della grande guerra e l’affermarsi della dittatura (con la contestuale messa fuorilegge della Fratellanza liberomuratoria).


«Eccomi qua a voi»

«Carissimi, sono Francesco Giusto Lo Bue, il Fratello Francesco Giusto Lo Bue. Il mio nome non è certamente fra i più noti nel giro dei circa mille Artieri che hanno ornato le Colonne templari nelle Valli sarde. Fui qui, a Cagliari – città bella come l’anticamera del paradiso, avrebbe detto Francesco Alziator! –, io originario di Palermo, dal 1919 al 1929 – un decennio intero –, perché fu quello il periodo del mio pastorato nella comunità evangelica di Cagliari. Venivo da Napoli (dopo essere stato a Noto di Sicilia ed a Gravina delle Puglie, nonché a Tripoli, residenza di una non sparuta comunità italiana); sarei andato – lasciando Cagliari –, ad Altamura. 

«Non certo per improprio narcisismo, ma per rendere semmai un doveroso sebbene tardivo grazie ai Fratelli dalla cui compagine venivo, mi presento oggi proponendo il testo della breve lettera che, dalla Valle di Tripoli, il Saggissimo del Sovrano Capitolo Rosa-Croce che s’intitolava a Giordano Bruno indirizzò al suo omologo cagliaritano. Era il 15 luglio 1919 E.V.

«Così nel testo: “Il Carissimo nostro Fr. Francesco Lo Bue 3, lascia questo Or. con grave rammarico di tutti i FF. della Valle i quali ammirano in lui [doti] profane e massoniche chiarissime e per esse molto lo amano.

«“La sua dottrina, la dolcezza del carattere, la profondità della cognizione dei fini e degli ideali dell’Ordine nostro, lo rendevano degno di elevazione al IV gr., e ciò si sarebbe potuto fare ove egli non avesse lasciato quasi improvvisamente, come ha dovuto fare, questo Or.

«“Laonde io, nel presentarlo a Voi, Ill. e Pot. Fr. Sagg., sono lieto di potervelo segnalare come uno dei migliori elementi da iniziare in questo Sovr. Cap.”.




«Debbo precisare che questo documento ha una qualche importanza al di là del suo contenuto, perché è uno dei pochissimi che si sono salvati dell’archivio storico della Rispettabile loggia Sigismondo Arquer. Si contano in qualche decina appena, ed erano certamente migliaia e migliaia… Anche questa perdita documentaria è stata colpa diretta del fascismo, colpa ennesima di un regime violento quando s’è presentato sulla scena, violento quando se ne è andato con la guerra perduta, guerrafondaio negli anni dell’esaltazione imperialista in Africa ed Albania e della libertà negata.

«Classe 1884, sono passato all’Oriente Eterno, dopo aver molto lavorato, all’età di ottant’anni: era il 1964. Il 1964 è l’anno d’inizio del secondo mandato del Gran Maestro Giordano Gamberini, anch’egli legato al mondo religioso cristiano, come dignitario della chiesa gnostica e partecipante, come sappiamo, del team di biblisti e teologi che lavorò, dopo il Concilio, alle traduzioni della Bibbia cosiddetta “concordata”, oggi generalmente utilizzata dalle logge massoniche regolari, anche a Cagliari. E aggiungo: il Pot.mo Gamberini fu colui che meglio di altri trasse dal “depositum” delle nostre esperienze spirituali e morali sedimentate nel tempo, molti dei migliori contributi venuti da Fratelli di matrice cristiana, giungendo infine – sulla base della nostra riconosciuta fedeltà ad old charges e landmarks – al ristabilimento delle cordiali intese con la Gran Loggia di Inghilterra. (Né posso qui dimenticare la qualifica di pastori evangelici dei primi costituenti massonici del XVIII secolo, da cui noi direttamente veniamo: Anderson era un ministro presbiteriano, Désaguiliers veniva anche lui da quel filone, figlio di pastore, cappellano anglicano del principe di Galles… C’è tutta una letteratura storica al riguardo, credo molto interessante, e vi invito a consultarla…).         

«Torno a me e alla nostra Fratellanza cagliaritana negli anni drammatici del primo dopoguerra e della affermazione e stabilizzazione del fascismo da movimento a regime di dittatura. Dopo il conflitto ideale e anche pratico, di giurisdizione, durato qualche anno, fra Stato e Chiesa – Stato fascista e Chiesa cattolica – è noto che poi le due potenze si incontrarono nel trattato cosiddetto del Laterano, comprensivo anche del Concordato che meglio regolamentava il ritorno clericale nei codici dello Stato: scuola, matrimonio, esclusione degli spretati dai ruoli pubblici, ecc. Era il rovesciamento del risorgimento, la cancellazione delle sue conquiste. Ma fino al 1929 – alla firma dei Patti Lateranensi cioè – i connubi si alternavano alle rotture, e tutto era strumentale da entrambe le parti. Così ancora nel 1928 e così nella nostra Cagliari, dove a gennaio era uscito un giornale settimanale, La Sardegna Cattolica, che aveva esordito facendo polemica per la collocazione della statua di Giordano Bruno (che attualmente si trova in un pianerottolo della facoltà di Lettere). A difendere la decisione di quel ritorno del frate abbrustolito della Inquisizione nel 1600, era L’Unione Sarda ormai dichiaratamente fascista e diretta dal federale della provincia di Cagliari che era il Fratello, o già Fratello Paolo Pili, oristanese di Seneghe.


Un precedente, quel Giordano Bruno cagliaritano

«Indugio un attimo su questa vicenda perché mi dà motivo per riferire anche di me in quegli anni, a Cagliari, sospeso fra loggia e comunità evangelica.

«Riassumo in breve. Dopo la partecipazione di una delegazione cagliaritana a Roma, nel giugno 1889, per l’inaugurazione della grande statua di Giordano Bruno presentata al mondo dal Grande Oratore del Grande Oriente d’Italia, dall’onorevole Giovanni Bovio cioè – il leader dei mazziniani dopo la morte dell’Apostolo nel 1872 –, l’anticlericalismo massonico aveva ripreso forza e vigore nel capoluogo sardo. Già pochi mesi dopo ci si era dati da fare per lanciare la nuova loggia Sigismondo Arquer – un altro abbrustolito dall’Inquisizione, quasi trent’anni prima di frate Giordano –, e dal 1900 con una qualche costanza si era ripreso, quasi ogni anno il 17 febbraio data del rogo infame, a commemorare con apposite conferenze nelle scuole, nei teatri, nelle piazze, la grande figura di Giordano Bruno.

«Nel 1913 fu inaugurata nella piazzetta Mazzini, di fronte alla porta dei Leoni e giusto all’ingresso della via Università, un monumento al cui finanziamento avevano provveduto, può dirsi, tutta la città e la provincia, attraverso una megasottoscrizione pubblica. I massoni avevano fatto la loro parte, ovviamente, e non era stata una parte di poco conto: d’altronde erano ufficialmente presenti, proprio come loggia Sigismondo Arquer, in quel comitato promotore che era a sei componenti, compresi i repubblicani, i socialisti, i radicali…




«13 anni. Nel 1926, col fascismo al governo da quasi un quadriennio, quella statua fu rimossa. A tanto provvide il commissario prefettizio, o forse già podestà, Vittorio Tredici, al quale l’amministrazione comunale di Cagliari ha di recente dedicato una piazza, così come ad altri gerarchi del tempo. Il fatto era che in quell’anno cadeva il settimo centenario della morte di San Francesco d’Assisi e si era pensato, a Cagliari, di sostituire la statua di Giordano Bruno con quella di San Francesco. Per questo si erano alleati, contro gli anticlericali e i massoni, i popolari e i fascisti… Illusi i popolari! Un mese dopo che il monumento a Giordano Bruno era stato rimosso ebbero loro la tipografia del Corriere di Sardegna devastata e incendiata dai fascisti, e il partito messo anch’esso fuorilegge!

«La statua di San Francesco si era deciso intanto di metterla in piazzetta Carlo Alberto, nel cuore di Castello, e al posto di frate Giordano – finito dentro un sacco e nascosto per un anno e mezzo – fu allestita una aiuola.

«Nel 1928 giunse pare al prefetto di Cagliari direttamente dal duce, si dice per pressioni di Giovanni Gentile (che aveva appena pubblicato un importante lavoro sul pensiero di frate Giordano) l’ordine di disseppellire il bronzo e di collocarlo in una nicchia dell’atrio universitario. Apriti cielo! L’Unione Sarda, che nel 1926 era stata d’accordo sulla rimozione, ora naturalmente concordava con l’ordine del governo; e La Sardegna Cattolica del can. Lai Pedroni, per la penna soprattutto del giovane avvocato Venturino Castaldi, si ostinò lì ad opporsi e protestare…

«Ricordo la battuta polemica di uno dei tanti articoli della Sardegna Cattolica di quei primi mesi del 1928: “Se una ipocrisia c’è, non è certo dalla parte nostra: ma sì, da parte di chi afferma di volere, a mo’ del sen. Gentile, “la scuola cattolica, perché deve essere religiosa”, e poi la disvuole, o peggio la vuole d’amore e d’accordo col libero pensiero di Giordano Bruno o col libero esame del pastore Lo Bue. Più ipocrisia religiosa di questa?”. Insomma, il mio nome era stato assunto dagli ambienti clericali per confermare l’umiliazione di ogni minoranza o di ogni irregolare, o presunto tale. 

«Il fascismo fu una iattura, evidentemente, per la patria nostra. E nelle polemiche, perfino drammatiche o tragiche, che s’alzarono fra il variegato fronte democratico sconfitto e quello prevalente degli uomini del nuovo ordine, si infilarono anche quelle tipiche di un’altra fase storica dell’Italia, le polemiche clericali-anticlericali… Io ero doppiamente minoranza: in fatto di religione, schiacciato dalla maggioranza cattolica; in fatto di politica e anche di massoneria, schiacciato dalla prepotenza fascista.


I casi personali e familiari

«Vi dicevo. Siciliano e protestante di famiglia, vissi per diversi anni, tra infanzia e adolescenza, a Tunisi. Qui maturai la mia vocazione anche grazie all’amicizia che allora potei intrecciare con due missionarie inglesi facenti capo appunto alla Missione Nord-Africa. Fu ancora grazie a loro che potei studiare proficuamente l’inglese; godetti quindi di una borsa di studio per un collegio britannico, occasione d’oro per perfezionare, con la conoscenza della lingua parlata, anche tutto quel contesto culturale-religioso nel quale avrei collocato la mia vocazione e poi il mio apostolato.

«Rimpatriato poco più che ventenne, completai gli studi alla scuola teologica della capitale. Qui, pochi anni dopo, mi sposai. E mi sposai con una sorella di fede, Mary Singleton, che avrebbe avuto una parte importantissima nella mia formazione spirituale. Era il 1909, l’anno del terribile terremoto di Messina e Reggio. Sì ero a Roma, ma ero informato sulle cose della mia Sicilia. A Palermo operò per lunghe settimane una colonia di studenti universitari cagliaritani – con loro era anche Armando Businco – che servivano da barellieri all’angiporto: la linea ferroviaria con Messina era stata divelta dal sisma e i feriti venivano portati a Palermo via mare e poi smistati presso gli ospedali da campo apposta allestiti in città… 

«Mi consento una brevissima parentesi: li avrei conosciuti poi quei giovani che si erano ormai laureati e già operavano nella sanità pubblica, quando arrivai a Cagliari: soprattutto con il Fratello dottor Luigi Cocco Serreli, originario di Sinnai, ebbi un bel rapporto… che medico straordinario! era giovanissimo nel 1909, l’anno dopo sarebbe stato iniziato nel Tempio di via Barcellona, rifiutò sempre la tessera fascista e ne pagò anche le conseguenze… morì poi ancora relativamente giovane, negli stessi anni della seconda guerra mondiale, patì anche per le conseguenze delle radiazioni assorbite negli anni dell’esercizio professionale… Un po’ come lo stesso nostro Vincenzo Racugno, che fortunatamente ha vissuto a lungo, ma con quante limitazioni e quanti dolori, con quella brutta mutilazione per le conseguenze delle radiazioni di anni e anni…

«Torno al 1909: avevo 25 anni, Mary sette di più; forse anche per questo mi fu guida, ma la nostra unione fu feconda fra pari, con un idem sentire molto forte. Nacquero dal nostro amore due figli, e con entrambi venimmo a Cagliari nel 1919. (Dirò en passant che uno dei due – proprio mio omonimo, Francesco – diventerà pure lui pastore evangelico; mazziniano, sarà altresì partigiano, militante di Giustizia e Libertà, nella guerra di liberazione dai nazi-fascisti. Molti libri ne hanno scritto, ho ammirato, non soltanto amato, questo mio figlio così esposto nella guerra per la libertà di tutti!). 

«Mary mi aveva assistito efficacemente nella conduzione delle comunità evangeliche assegnatemi prima di Cagliari: dico quelle della Sicilia e delle Puglie, e infine anche della Libia costiera. Ci si preparava insieme, si pregava insieme, guardavamo al vasto mondo ed alla nostra piccola e provinciale città di residenza – una residenza sempre provvisoria e sempre missionaria – con una comune sensibilità e partecipazione. Intimamente democratici, come anche la nostra fede ci induceva ad essere, subimmo l’onda nera del fascismo. Direi peraltro che, per certi versi, non fu migliore la sorte delle comunità evangeliche dopo che lasciai Cagliari, nell’anno stesso del Concordato Mussolini-Gasparri: perché anzi la statuizione del principio del cattolicesimo come “religione di Stato” umiliò, con tutte le conquiste ideali del risorgimento, anche il nostro mondo religioso di minoranza… 




«Venni dunque nel 1919 in Sardegna; come mazziniano mi ponevo, nella mia chiesa, sulla linea ideale del pastore Pietro Arbanasich, che a Cagliari era stato una decina d’anni, quelli stessi dei primi mandati bacareddiani a sindaco della città, e che non mancava mai alle pubbliche manifestazioni per celebrare il nostro Apostolo civile, il Profeta dell’unità, e prendeva la parola, sempre prendeva la parola, austero uomo del tardo Risorgimento, con la sua bella barba bianca. Caro Pietro Arbanasich triestino fattosi cagliaritano con tanta passione! Egualmente come mazziniano mi presentai ai Fratelli della loggia Sigismondo Arquer e fui da loro accolto con molta simpatia, con molto calore. Ero maestro. Nell’estate 1922 ebbi il IV grado a Cagliari, nel Tempio di via Barcellona. Un ambiente molto ampio ed articolato in un’area ricreativa (salotti per il gioco degli scacchi o della dama, salotti con il biliardo, salotti per conversare amichevolmente e in tutto riposo)… Erano stati Venerabili, in quegli anni, i Fratelli Romolo Enrico Pernis e Federico Canepa Flandin. E fui più volte eletto, io stesso, alla carica di Oratore. Si trattò di un’esperienza molto gratificante. Dirò di più. Arrivai nell’immediato dopoguerra, ovviamente la loggia aveva vissuto, negli anni del conflitto, tutte le tensioni che la situazione imponeva, con tornate rarefatte, pur se comunque si andò avanti. Ci si impegnò, da parte dei diversi Fratelli e della comunità in quanto tale, nell’assistenza civile, nei vari patronati, dopo la donazione alla Croce Rossa dell’ospedale chirurgico che era stato pensato come Dormitorio pubblico, e che un giorno sarebbe diventato la casa dell’infanzia abbandonata e attualmente e già ormai da cinquant’anni la sede della facoltà di Scienze Politiche, quella che ha svettato con i Diari di Giorgio Asproni… Fu un sostegno costante, la loggia, delle attività dell’Unione Femminile presieduta dalla dottoressa Paola Satta, che doveva essere la Venerabile della loggia femminile, se l’entrata in guerra dell’Italia non avesse consigliato a quel gruppo di Sorelle potenziali di costituirsi in sezione di volontariato… 

«Dicevo: visse, sofferse anche i lutti, la loggia Sigismondo Arquer: nello stesso 1915 dell’entrata in guerra del nostro esercito perse l’Oratore, il capitano Giovanni Romanelli – figura perfetta, amatissima da tutti, ufficiale della Sassari – e pochi mesi dopo Cagliari massonica perse anche il Venerabile della Karales, la loggia di Businco, che era il 28enne Ottavio Della Ca’… E poi fu la volta di altri nostri giovani – io non li ho potuti mai incontrare, me ne hanno raccontato al mio arrivo a Cagliari – Arnulfo Sola, Giuseppe Morganti… Le notizie dal fronte arrivavano crudeli: dei nostri Fratelli sardi in combattimento perdemmo Corda, perdemmo Camboni, perdemmo Bolasco, perdemmo Anchisi… e quanti altri ancora, e quanti feriti, quanti furono decorati poi al valore o alla memoria… Fra essi era, come ho detto, Romanelli: a Cagliari io presi il suo posto di titolare come Oratore della Sigismondo Arquer. Le mie Tavole marcarono sempre la necessità di riflettere su quel nostro tempo così aspro, e sui doveri, sui doveri, mazzinianamente sui doveri nostri della ricostruzione morale e materiale… Pur se lontana fisicamente dai fronti di guerra Cagliari aveva pagato un prezzo dolorosissimo: oltre duecento, quasi trecento caduti, caduti giovani soprattutto… Nella basilica di Bonaria sono riportati i loro nomi, compresi quelli dei nostri Fratelli…  

«Onestà vuole anche che io dica che non tutto però andò liscio in loggia. Qualche fastidiosa tensione salì opponendo Colonna a Colonna, radicalizzandosi e polarizzandosi lo scontro, per ragioni prevalentemente profane, su due Fratelli che pensavano di poter ambire a qualche funzione di vertice. Addirittura per qualche tempo l’officina patì la sospensione, fu indagata dal Gran Maestro aggiunto Gustavo Canti, che era stato anche Gran Segretario e alla fine dell’Ottocento anche Maestro Venerabile della stessa Sigismondo Arquer, e dunque conosceva bene l’ambiente… Pur se chiamati a grandi cose, nell’esercizio umile del nostro dovere quotidiano, talvolta falliamo, cadiamo, è cosa ricorrente nella nostra vicenda umana… Aggiungo poi che un altro fenomeno di disturbo in quel nostro dopoguerra cagliaritano, soprattutto nel 1923, fu costituito dal passaggio al fascismo di diversi dei nostri: alcuni erano pubblici funzionari che sentirono evidentemente la morsa delle gerarchie amministrative sul loro collo, altri – tanto più quelli di orientamento sardista – seguirono la corrente dei cosiddetti fasciomori… ne ricordo almeno sei o sette… Auguri!

«In città abitavo in una casa della piazza Martiri d’Italia, dove la Pretura aveva alcuni suoi uffici ed i Tramer il proprio laboratorio dolciario, giusto dirimpetto all’abitazione e studio di Emilio Lussu. Il locale di culto si trovava invece in uno dei primi stabili del corso Vittorio Emanuele, quasi all’imbocco della piazza Yenne. Non un granché, ma proprio con l’aiuto di Mary io riuscii a trasformarlo in una sala accogliente per il culto domenicale e per le altre riunioni settimanali. E anche per le conferenze che, soprattutto dopo settembre e fino alla stagione calda, attiravano molto pubblico e sovente anche… molte polemiche con gli ambienti cattolici. 

«Già dall’inizio la scelta cadde sul crinale tematico tra fede e umanesimo (“Scienza e Dio”, “Originale il pensiero di Gesù?”…), né mai mancò la trattazione dei nessi fra patria e comunità credente: da “Il XX Settembre” a “Chi fu Savonarola?”, a “L’incoerenza del prete nell’osteggiare il divorzio”. Fra i più assidui ricordo i Silicani, i Sitzia, gli Imeroni, gli Orani, gli Orlando, e ancora i Clavot, i Tramer... 

«Nel marzo 1923 capitò un incidente di qualche rilievo: il questore negò l’autorizzazione all’affissione del manifesto che annunciava una certa conferenza. “Offesa alla religione dello Stato”, obiettò. E il giornale dei popolari – il Corriere destinato anch’esso, come dicevo, a triste fine – commentò parteggiando naturalmente con il questore, non con il pastore, non con la libertà di coscienza e di parola…

«Fui, debbo ammetterlo, instancabile. Le conferenze si susseguirono le une alle altre, anche se certo non era facile bucare il conformismo che, volente o nolente, il sistema delle parrocchie aveva diffuso a larghe mani fra rioni e quartieri… “Origini e scopi della confessione auricolare”, “Roma sotterranea”, “Scavate più sotto!”, “Buonaiuti e la scomunica”… Non mancarono i bis ed i ter, le repliche erano cicliche: “Opera e filosofia del Martire Nolano”, “I Valdesi”, “Il pensiero religioso del grande filosofo genovese (Mazzini)”, “Lorenzo Valla”, “Religione d’autorità e religione dello spirito”...

«Alle mie cure fu affidata, dal 1923, anche la piccolissima comunità protestante di Iglesias. E naturalmente anche lì, nel centro minerario, i problemi con il clero (ed eco sulla stampa) non mancarono. Con accuse (subite) di “ignoranza” e rimbalzi polemici da parte mia: “prego il Rev. Sacerdote Teologo Dottor Arrius Antioco di dirmi in quale delizioso “giardino” spuntò e crebbe quel delicatissimo fiore di virtù conosciuto nella storia dei papi sotto il santissimo nome di Alessandro VI, noto per le sue relazioni coniugali che ebbe con la propria figlia Lucrezia!”, scrissi una volta...

«Mazziniano (e d’altra parte si ricordi il lungo esilio londinese dell’Apostolo repubblicano e la sua popolarità in Inghilterra dove io stesso avevo vissuto da ragazzo), fui iniziato nell’Oriente partenopeo, se è vero che la mia affiliazione, già con il grado di Maestro, avvenne – era il 17 settembre 1920 – dalla napoletana Loggia Leptis Magna. 

«Assiduo alle tornate di Loggia, dovetti rallentare nel 1924, per la malattia che colse la mia Mary portandola, a fine settembre, alla tomba. La salma fu trasferita nella cappella evangelica, al civico 43 del Corso, per l’ufficio funebre. Da lì partì il mesto corteo alla volta del monumentale. Nel necrologio sull’Unione scrissi che il dolore era mitigato soltanto “dalla speranza di rivederla nella Casa del Padre”. Volli anzi aprire quell’inserzione funebre, in perfetta linea con la mia fede, con alcuni versetti del salmo 116: “La morte dei santi del Signore / è preziosa al suo cospetto”.

«La lastra marmorea, rialzata sul terreno del quadrato alla sinistra della antica cappella del cimitero riprende un celebre verso di San Paolo: “Il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita Eterna in Gesù Cristo nostro Signore”.

«Soprattutto per dare una madre ai miei due bambini, avrei sposato, nell’autunno del 1925, una giovane cugina, Iole, che ebbe poi corrispondenza con il vostro giovane Gianfranco Murtas che la interrogava sulla nostra esperienza di vita. Avrei lasciato la Sardegna nel 1929, trasferito in Puglia.

«Il trasferimento della mia sede di missione non comportò, stavolta, anche il trasferimento di loggia. Ormai da quattro anni la Sigismondo Arquer, al pari delle altre logge d’Italia di entrambe le grande Famiglie, aveva sospeso i lavori. Il fascismo aveva colto l’occasione del fallito attentato al duce, il 4 novembre 1925, per dichiarare guerra alle logge, dal cui giro – esso sosteneva – proveniva un disegno assassino. In verità la pressione sulle logge, e in qualche Valle anche la prepotenza e la violenza sulle logge, era cosa normale già dal 1921-22. In Sardegna furono colpiti entrambi i capi isolani: tanto a Cagliari quanto a Sassari la stampa avversaria, tutta ormai in mano ai fascisti, aveva intonato un tam-tam che faceva presagire quel che sarebbe avvenuto. Irrisione, i nomi del piedilista della loggia sassarese Gio.Maria Angioy pubblicato sul giornale (che poi ritornò in mani antifasciste, ma purtroppo per chiudere!), minacce di altre pubblicazioni scabrose anche da un giornale fatto da ex Fratelli, a Cagliari… La testata era Battaglia! infine il saccheggio – di fatto tale fu, non soltanto perquisizione – della nostra casa massonica di via Barcellona, da cui fu sottratto anche lo storico busto di Giovanni Bovio, il nostro apostolo più amato, e amato in città, soprattutto dai giovani studenti del Dettori e dell’università… Nottetempo, poiché avevamo avuto una soffiata sulla imminenza della perquisizione da parte dei questurini, portammo via i documenti, ponendoli al sicuro (ma poi noi stessi li perdemmo nell’effetto malefico della umidità di Tuvixeddu: uno dei pochi fogli salvati è quello che mi riguarda e che ho richiamato all’inizio). Taluno – come il Fratello Silicani, allora posizionato con Pietro Branca e altri, con Sitzia…nella compagine ferana – continuò fino al 1929 nella rete discreta ma purtroppo infruttuosa della cosiddetta “massoneria clandestina”… Quello fu l’anno in cui lasciai Cagliari, ad agosto, insieme con Iole e i miei ragazzi, e fui sostituito dal pastore Manfredi Ronchi, mentre io raggiunsi, come già ho detto, la comunità di Altamura nel Barese. In Sardegna lasciai, oltre che il cuore – davvero mille affetti – anche un circolo giovanile battista, che aderiva al movimento nazionale datosi corpo a Roma già dal 1924…

«Sospesero i lavori i Fratelli della Gio.Maria Angioy sassarese, con quei campioni della democrazia mazziniana in versione sardista che erano Camboni, Rovasio, ecc.; già si era indebolita di molto la nostra organizzazione negli altri Orienti vitali, da La Maddalena ad Oristano, cedemmo anche noi… Avemmo la dittatura. Mi dicono che oggi corrono numerose, fra le Colonne massoniche, perfino giustinianee, le simpatie per la destra di cartone, per i gruppi cosiddetti sovranisti, i gruppi contromazziniani, ché Mazzini pensava all'Europa... Forse si tratta di Fratelli confusi, che non sanno di quanta povertà ideale vi sia in quell’area… Io resto con Mazzini e con la democrazia avanzata, che è civile ed umanitaria nella sua natura più intima e ama il liberalismo, ama il socialismo... quelli autentici, patriottici… Ed è cosa che riempie il cuore, non soltanto soddisfa la mente che coltiva la memoria della bella nazione…». 


Fonte: Gianfranco Murtas
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