Fra religione e cultura, la via maiuscola di Tonino Cabizzosu, prete sardo sardissimo
di Gianfranco Murtas

Ecco quindi l’ordinazione presbiterale da parte dell’arcivescovo metropolita di Sassari (e temporaneo amministratore apostolico di Ozieri) Paolo Carta, il viceparrocato a Berchidda e, a seguire, il quadriennio “di svolta”, quello degli studi specialistici a Roma, alla Gregoriana, con quei salti collaborativi propiziati nello stesso tempo dall’arcivescovo-vescovo di Spoleto e Norcia, il sardo nuorese Ottorino Pietro Alberti… Si potrebbe e dovrebbe approfondire il rapporto fra il giovane chierico ed il presule destinato a diventare negli anni futuri (quando gli sarebbe stata affidata la guida della Chiesa di Cagliari) il suo mentore: perché a lui – all’ancora giovane don Cabizzosu che aveva superato brillantemente tutti gli esami impostigli dall’università gesuitica allora sotto il rettorato dello spagnolo Urbano Navarrete Cortes (successore del cardinale Carlo Maria Martini appena inviato da Giovanni Paolo II alla testa della più grande diocesi del mondo, quella di Milano) – pensò allora, l’arcivescovo Alberti, di affidare la direzione dell’Archivio Storico Diocesano che progressivamente, negli ammodernati locali presso il seminario di San Michele, sarebbe divenuto il polmone culturale della intera archidiocesi. Tale rimase anche sotto l’episcopato (per molti versi problematico e antipatico) di Giuseppe Mani. Avrebbe poi pensato il successore di questi, Arrigo Miglio, ad imporre arretramenti ancora non spiegat
Concludo queste mie libere e modeste osservazioni recuperando dal primo volume di Percorsi di fede e ricerca scientifica di un presbitero sardo (quello uscito ora sono già quindici anni) una suggestione: narrativamente molto bello, esso rimandava alle sensibilità familiari all’interno delle quali maturò progressivamente la vocazione religiosa del bambino poi ragazzo illoraese, ed alle percettività personali a noi rivelate dal protagonista di quella storia raccontata stadio per stadio, dalle medie presso i salesiani di Lanusei e poi di Roma al liceo cuglieritano, agli anni di studio teologico che significarono anche un impattante ma gradevole ambientamento a Cagliari, città meravigliosa per luoghi di natura e per vicende millenarie fissate nelle pietre dei suoi monumenti e delle sue chiese più note.
Si potesse, si potesse! continuare a scavare ed a trovare chi, pur figlio di una stessa storia e da essa inevitabilmente condizionato, ha saputo scorgere i segni dei tempi da altri invece ignorati – e a seguire Cabizzosu si potrebbe dire del Prinetti umiliato dal suo arcivescovo, dell’Angioni accusato di modernismo, del Madeddu emarginato dall’alleanza episcopale… -, e dare loro l’onore dovuto. Ché il conformismo è il condizionamento che troppo spesso frena gli uomini di Chiesa – anche della Chiesa sarda d’oggi – e nega loro la nobiltà della parresia e della testimonianza, e ne svuota (o corrompe) la pedagogia.
Lo studio e la penna di Tonino Cabizzosu hanno affrontato in diverse occasioni queste pagine anche scomode della storia della Chiesa, e della Chiesa sarda, così come hanno toccato criticamente le fedeltà antirisorgimentali di tante obbedienti falangi clericali, anche però per salvare le voci profetiche e additarle al giudizio dei contemporanei come sagge e coraggiose anticipatrici delle conquiste avvenute un secolo dopo, appunto nella stagione conciliare giovannea e paolina: e qui mi riferisco alla straordinaria figura del canonico tempiese Tommaso Muzzetto, invocante – con il clero gallurese che egli allora governava come vicario capitolare – l’evangelica rinuncia da parte di Pio IX del temporalismo. Il papa rispose allora con scomuniche che screditarono, agli occhi della storia, lui (oggi fatto inopinatamente beato, anche nonostante il rapimento Mortara e il suo licet alla ghigliottina), e la stessa Chiesa romana… Avrebbe detto, un giorno, Paolo VI – San Paolo VI – che la perdita del potere temporale fu un dono della Provvidenza alla storia della patria nostra!
Invero, a fronte di tale continuismo o conservatorismo, e purtroppo senza aver ancora maturato o saputo elaborare le prospettive offerte dalla cosiddetta “inculturazione” – carta necessaria e vincente in tempi successivi –, non sono certamente mancati fattori come d’un illuminismo clericale che puntavano, con supponenza autoreferenziale, ad astratte validazioni. Ciò è avvenuto da parte di una certa docenza estranea alla tradizione locale così come da parte di un certo episcopato di provenienza continentale (con meravigliose eccezioni, si pensi al vescovo Emanuele Virgilio) che, riunito in concilio d’imperio curiale o romanocentrico – quello oristanese del 1924, e già, nella storia d’Italia, a pesante influenza d’un fascismo nazionalista che s’affacciava irrispettoso –, andava per proibizioni (di lingua e di processioni) e per omologazioni imposte. Paganeggianti – si pensi alle impetrazioni a pro del dittatore – certamente non meno di quelle che si volevano osteggiare.
La storiografia di Tonino Cabizzosu – indefesso minatore nelle gallerie degli archivi secolari, divulgatore (con gli scritti e le conferenze) delle conoscenze storiche di piccola e grande portata, professore di largo eloquio, centrato e piano – è una storiografia che, interna alla scuola novecentesca dei padri Martina e degli altri con lui (De Rosa ecc.), inquadra le vicende della Chiesa nel più vasto contesto della storia sociale e perciò, nel nostro più specifico campo regionale e isolano, le ricollega anche alle ineludibili (esplorate ma mai mai esaustivamente) questioni identitarie. Senza artifici ideologici, o dottrinarismi pregiudiziali, egli ha trattato gli eventi di un cattolicesimo che di sua stessa natura – quella paolina – è di respiro universale e viaggia per meridiani e paralleli, nella loro traduzione ambientale e culturale, seguendo un impianto che non ha potuto che resistentemente corrispondere, ancora nell’Ottocento e nella prima parte del secolo nuovo, ad antiche e sedimentate materialità. Il clero via via in formazione e in esercizio, figlio esso stesso di una lenta o lentissima diacronia popolare, ha interpretato la propria missione – tanto più nelle plaghe rurali, meno esposte alle insufflazioni della modernità e della secolarizzazione – rispettando, dove meglio dove peggio, le cadenze ricevute dal tempo… (Di qui il devozionismo – certo sempre a rischio di scivolate paganeggianti – o le multiformi espressioni della pietà popolare veicolata anche dalle storiche confraternite di rimando mariano o patronale diffuse in ogni dove).
Si soggiunga che alcune pubblicazioni sono state patrocinate da soggetti “di settore” – così l’Opera Buon Pastore come la CLV dei Vincenziani –, altre dalla Facoltà Teologica di Cagliari, altre ancora – quando riferibili ad uno specifico interesse logudorese – dalla vivacissima associazione intitolata a don Francesco Brundu. Per altre andrebbe detto – perché di merito supplementare da riconoscere all’autore – attribuibili alla sua stessa liberalità e in appoggio a stamperie varie, fra cui le nuoresi Cooperativa Grafica, Studiostampa, Il Torchietto…
Orientando la luce del riflettore sulla vasta produzione “marcata” Cabizzosu, resterebbe almeno da accennare alla molteplicità delle intese editoriali concluse da un così prolifico autore/curatore, e ciò sia con case sarde (oltre quella sassarese di Delfino ecco la CUEC, la AM&D e L’Unione Sarda, le Edizioni della Torre di Salvatore Fozzi ed ancora ecco Zonza, Papiros, aìsara, Arkadia, EDIUNI…) sia con case continentali o siciliane (dalla Rubbettino a Salvatore Sciascia per il centro “A. Cammarata”).
Nel novero entrano naturalmente, e vivacizzano di colore e più ancora di contenuti l’antologia, anche i compendi (cinque finora) di Ricerche socio-religiose sulla Chiesa Sarda tra ‘800 e ’900 così come gli Inventari delle preziosità archivistiche custodite tanto nella curia di Cagliari quanto in quella della Chiesa nativa, il Bollettino Ecclesiastico ed il Notiziario ADSCA (pubblicazioni seriali dirette da Cabizzosu rispettivamente negli anni ’90 del secolo scorso e nel primo decennio del Duemila), gli omaggi di studio al cardinale Pompedda e all’arcivescovo Alberti e le ricche risultanze sia degli scavi, larghi e profondi, compiuti nella storia religiosa logudorese-goceanina che della esplorazione delle carte storiche dal 1927 al 1971 e dell’emeroteca del seminario di Montiferru, che tanta parte ha avuto nella formazione del clero isolano del Novecento.
L’accorta impaginazione favorisce una gradevole lettura perché accosta le immagini ai testi, accompagna questi cioè con la copertina di riferimento. Sicché ecco balzare questo dato figurativo e cromatico che aggiunge, puntuale, una bella stimolazione alla lettura. Ed è una lettura che rimanda, nelle sintesi e nei commenti dei recensori, alle fatiche di carico ora esclusivo dell’autore ora dallo stesso condiviso (con Francesco Atzeni in prevalenza, con i collaboratori dell’Archivio Storico Diocesano di Cagliari, con Mario Puddu, con Luciano Armando, con Gianfranco Murtas, ecc.), alle curatele di miscellanee o di atti seminariali, e così via. Si parte da Chiesa e Società nella Sardegna Centro-Settentrionale (1850-1900) e da Chiesa e Società in Sardegna (1870-1987). Appunti per la Storia, e s’arriva ad Evaristo Madeddu. Una biografia – dopo aver scavalcato – o meglio, attraversato – le ricostruzioni biografiche del vincenziano Giovanni Battista Manzella e dell’oblato Felice Prinetti, dei secolari Virgilio Angioni, Salvatore Vico e Gesuino Mulas, delle religiose consacrate Maria Giovanna Dore, Maria Michela Dui, Bianca Pirisino e Maria Agnese Tribbioli, del frate laico cappuccino Nicola da Gesturi (beato)… e ancora quelle degli arcivescovi e vescovi (di larga produzione magisteriale e canonica ampiamente ripresa) Balestra, Rossi, Piovella in quel di Cagliari e Carta in quel di Sassari, di Corrias, Bacciu e Cogoni in quel di Ozieri, dei presuli sardi riuniti in conferenza regionale (1850, 1876, 1890 e via, dal primo Novecento, con frequenza pressoché annuale) e degli stessi – e di altri colleghi di più giovane generazione – quando convocati al Vaticano II, dei presbiteri Giuseppe Ruju e Salvatore Casu, Emilio Becciu e Francesco Amadu, Giovanni Deledda (missionario in Birmania) e Angelo Angioni (servo di Dio, fidei donum in Brasile), e di altri ancora…
Le 380 pagine del volume sono arricchite, come accennato, da un amplissimo repertorio fotografico a colori comprendente in primo luogo le copertine delle monografie e dei saggi esaminati, venuti a coprire un arco temporale di giusto 43 anni!, e però anche inclusivo di diversi scatti che documentano don Tonino impegnato nelle sue varie attività, oltreché ministeriali, di servizio culturale, fra convegni e direzione degli affollati Archivi storici.
Penso anzi sia utile citarli questi recensori, nella successione (che è cronologica) dei loro interventi, così a dare un’idea più precisa anche della autorevolezza dei giudizi via via espressi: Giacomo Martina S.J., Pietro Borzomati, Lorenzo Del Piano, Tonino Loddo, Dolores Turchi, Franca Maria Vacante, Igino M. Ganzi, Cataldo Naro, Giuseppe Ferraro S.J., Maria Teresa Falzone, Salvatore Palese, Giampaolo Mele, Antonio Piras, Umberto Zucca, Francesco Atzeni, Ottorino Pietro Alberti, Giancarlo Rocca, Salvatore Bussu, Giorgio Rossi, Antonio Romagnino, Andrea Fenu, Giovanni Maria Cossu, Ignazio Sanna, Sebastiano Sanguinetti, Gianni Filippini, Stefano Palmas, Matteo Porru, Francesco Mariani, Corrado Ballocco, Pietro Orunesu, Renato Iori, Raimondo Zucca, Lidia Salviucci Insolera, Riccardo Mostallino Murgia, Danilo Veneruso, Maurizio Virdis, Mauro Badas, Massimo Naro e S. Mazzolini, Giancarlo Atzei, Grazia Loparco, Giorgio Puddu, Manlio Brigaglia, Giacomo Mameli, Alessandra Pasolini, Angelo Becciu, Luca Lecis, Antioco Piseddu, Antonio Canalis, Michele Calaresu, Andrea Oppo, Federico Lombardi, Giovanni Sale, Francesco Maceri, Tonino Satta, Giovanni Grosso, Diego Satta, Sandro Serreli, Gavino Leone, Giuseppe Cabizzosu, Ernesto Preziosi, Antonio Addis, Nicola Settembre, Gianfranco Murtas, Tarcisio Mascia, Cristoforo Puddu.
Dopo una articolata scheda di complessivo contenuto bio-bibliografico (“Tonino Cabizzosu, il rigore scientifico dello storico dono alla Chiesa ed alla società degli uomini”, apparso anche come fascicolo a se stante, a mia firma, nel 2017) sono dunque riesposte, con esatta datazione e citazione della fonte (si tratta più spesso di quotidiani o periodici sardi e continentali – inclusi L’Osservatore Romano e La Civiltà Cattolica – e sono talvolta gli spazi di presentazione o prefazione dei testi stessi in uscita), le segnalazioni e le riflessioni cui i titoli hanno indotto i commentatori di varia collocazione accademica ed esperti di storia della Chiesa ecclesiastici o laici.
Anticipando ogni contributo non dal titolo che ebbe a suo tempo ma da un indovinato, compiuto e sapido estratto concettuale dello stesso, l’antologia consente, nella ricapitolazione del sommario, una sorta di lenta e piacevolissima doppia passeggiata sopra il testo e sopra la nota critica ch’esso ha suscitato.
Ai quei due bei prodotti editoriali di bella lettura si va qui, seppur con intenzione differente, in parallelo. Infatti nel volume offertoci adesso da Carlo Delfino il mosaico si compone di altre tessere: quelle costituite come… potente (eppur parziale) rappresentanza delle centinaia di recensioni che, nell’arco di svariati decenni, hanno accompagnato e illustrato le fatiche storiografiche del nostro autore.
Dovevo fare questa lunga premessa alle considerazioni che seguono, per associare il nuovissimo libro antologico che don Tonino Cabizzosu ha appena licenziato tanto al primo volume, strettamente autobiografico e confidenziale recante lo stesso titolo (Percorsi di fede ecc., uscito nel 2008 e suscitato dal bisogno di… consuntivare il primo venticinquennio del suo intenso ministero condiviso fra parrocchia e università), quanto a quello recente della EDIUNI che riportava le attestazioni di stima ed affetto di ben 95 personalità delle più diverse provenienze territoriali e collocazioni accademiche e/o professionali: libere testimonianze rese come si trattasse di conferire la tessera di un mosaico composito da cui doveva risultare e risaltare la figura di un uomo di Chiesa – un sardo della Chiesa universale – di importanti esperienze di vita ed intellettuali, ora giunto al 50° della sua ordinazione e della sua prima messa. Con un risultato, per unanime riscontro e per merito speciale della intelligente e scrupolosa curatela compositrice, emerso chiaro e tangibile.
E dunque “Percorsi di fede”…
Viene qui da pensare, in accompagno ad un sentimento in sé… carezzevole, a quante energie abbia speso don Tonino Cabizzosu storico della Chiesa moderna e contemporanea a stendere, fonti (spesso o spessissimo inedite) alla mano, i profili dei suoi confratelli-padri, presbiteri o vescovi della sua venerata diocesi già bisarchiensis… né soltanto di quella, ma di quant’altre da lui attraversate nell’Isola nostra. E fra le tante, appunto, a descrivere intus et in cute le vicende di vita e sacrificio dei suoi modelli… Direi – se mi si passa l’azzardo forse retorico (ma pure veritiero) – che egli impegnò la grande riserva delle sue energie di cultura e sensibilità a tessere la gran tela che tutti, i migliori e i… meno migliori, riunisce in comunione ed anche in ideale (e mistica, oltre il tempo) concelebrazione. Perché credo che proprio per il mestiere di storico, esploratore delle originalità e delle compromissioni dei suoi tanti – tanti da costituire un ceto –, e di cui, leggendone ed ascoltandone, può aver rivissuto in proprio, dentro l’abito cioè! emozioni e riflessioni, impulsi e stanche o frustrazioni, ribellioni, resilienze e virate per nuovi approdi, e certamente incomprensioni penosamente subite e forse anche involontariamente provocate, com’è dell’umano, egli abbia acquisito la piena padronanza di quegli elementi che la biologia sociale chiama “fattori di presenza” nell’oggi e nel divenire. Sicché ogni tavola che lo storico possa stendere richiamando diacronicamente un qualsiasi evento, cadenzandone l’evoluzione e le conseguenze, non può negarsi a comprendere nel fondo, e magari a farne protagonista, le dinamiche dell’intimità segreta, cognitiva e d’intelligenza, emozionale ed infine spirituale, degli umani sulla scena. S’immagini così, estraendo il caso dal gran catino della storia-cronaca, il portato personale, di mentalità e cultura, di esperienza e di temperamento, dei nostri vescovi sardi – santi ma obsoleti – convocati al Concilio giovanneo e paolino… materia abbondantemente e analiticamente trattata dal Nostro in numerosi scritti e in vari contributi convegnistici.
Biografando preti e vescovi, il lustro berchiddese
Creatori tutti di pagine di vita pubblica, e diversi di loro anche di pagine destinate a restare nella letteratura come nella storiografia o nella critica ecclesiologica: gli abbondanti carichi de La Sardegna Cristiana – titolo apripista al di là dei suoi limiti – e le arie meditative de La tanca fiorita o quelle de Il parroco di Geranio recensite in tempo di guerra da La Civiltà Cattolica, la raffinatezza saggistica presente in Magistero dell’episcopato sardo: aspetti politico-sociali (1793-1922) uscito da Fossataro nel periglioso 1968, questo ed evidentemente molto altro nella rappresentazione degli autori-chierici dell’alta Sardegna almeno nel primo e medio Novecento, mi pare vengano a spiegare qualcosa di profondo che, in quanto ad ispirazioni, maturò lungo gli anni del liceo e della teologia, fra Cuglieri e Cagliari, nel seminarista di Illorai. Quegli che alla Gregoriana e nei corsi di archivistica del Vaticano avrebbe affinato gusti e propensioni, passioni e finalmente cimenti. Basterebbe rileggere i numerosi articoli che fra 1985 e 1987 egli consegnò a L’Osservatore Romano innanzi citato, e felicemente riprodotti nel suo Chiesa e società in Sardegna (1870-1987). Appunti per la Storia, pubblicato alla fine del 1987 dalla Cooperativa Grafica Nuorese, per comprendere la strada così intensamente “produttiva” che avrebbe percorso l’allora giovane neodottore…
Né soltanto il nome di don Ruju, anelese di radici siniscolesi, s’accampò fra i soggetti di studio di Tonino Cabizzosu, ma anche quello di numerosi altri zampillanti nel fertilissimo capo di sopra sassarese, fra Goceano e Logudoro, con qualche inoltro… extra territorium (baroniese o dell’alta Barbagia), che nel suo sentire sociale ed ecclesiale si erano affermati come punti di riferimento. Citerei così il compaesano don Damiano Filia in quanto storiografo, del bonese, letterato di buona scrittura, don Giovanni Antonio Mura (ma, perché no pur se di più stretto recinto? del bottiddese don Giovanni Antonio Tilocca, poi canonico e cavaliere, cui era toccato di succedere al problematico parroco Gio.Maria Angioy omonimo e nipote dell’Alternos) e del dorgalese-esporlatese-olzaese-chilivanese-anelese, amatissimo oltreché ammiratissimo, don Giovanni Ortu (che di don Casu, ormai avanti con gli anni, era stato anche lui, da giovanissimo, coadiutore)… E con questi altri e altri ancora telentuosi speciali nel giro diocesano, da don Gesuino Mulas a don Francesco Brundu, da don Giommaria Farina nughedese (e pure lui vice di babbai Predu Casu, negli anni ’30, e pure lui, come Cabizzosu stesso, parroco di Ittireddu!) a don Antonino Ledda semiromano, da don Emilio Becciu a don Francesco Amadu storico attrezzato civile e religioso, di ancora fresca memoria… Davvero quanti affacci, quanti percorsi di genio e insieme di comunione, come nella sua vastissima produzione (e vorrei sottolineare in particolare nel ricapitolativo e bellissimo Logudoro e Goceano nel XIX secolo Religione e società, edito nel 2023 dalla Facoltà Teologica cagliaritana) li ha saputi evocare e raccontare Tonino Cabizzosu!
L’esordio che gli fu imposto dopo l’ordinazione – l’ho già detto – avvenne a Berchidda, e quella fu storia di un lustro: lustro temporale e lustro… formativo. La comunità berchiddese si rivelò per il giovane “don”, di lato all’assistenza religiosa da lui regalata ai ragazzi e a quelli della sua stessa età, un’efficacissima palestra di progressive ed appaganti immersioni nello specifico ecclesiale e, tanto più, nei necessari ed istruttivi inoltri biografici all’interno del ceto clericale diocesano. Perché Berchidda era stata, per un quindicennio circa, la patria (seppure soltanto elettiva) anche di don Giuseppe Ruju, comandato vice di don Casu (di cui sarebbe stato esegeta e continuatore) e confermato nell’ufficio anche sotto don Ena, fino al trasferimento alla missione di Berchiddeddu, proiezione amministrativa di Olbia nel Monte Acuto. Gran nome anche quello di don Ruju, che fu prete per sessant’anni giusti e nella sua prolificissima opera narrativa innumerevoli volte ebbe a raccontare anch’egli di preti e preti, fino allo spettacolare ed evangelico “cardinale” di Anela don Raffaele Cinellu cantato anche da babbai («In su mirare sa fotografia / chi pintat su fogosu Cardinale / sezzendh’a caddhu, leat bolu tale / sa fantasia, / chi sun muscas Omeru e Ludovicu, / Pindaru, Dante, Tasso e Tottugantos / sos chi esaltare han cherfidu cun cantos / caddhu o burricu!...»). Sicché finì per entrare pure lui, don Ruju, naturalmente, nella galleria dei ritratti d’umanità della Chiesa ozierese, biografato da Cabizzosu in un bel volume uscito nel 2012 e con quanta partecipazione prefato nientemeno che da Manlio Brigaglia! (Giuseppe Ruju, un parroco-scrittore per l’identità sarda).
E senza mancare di riguardo ad alcuno, soltanto per speciali contingenze ed a titolo puramente esemplificativo, per sviluppare un certo discorso che porti a meta, dai tutti si potrebbe sempre trarre un nome o due o tre, il nome d’un ispiratore, di un maestro… Anch’io oso farlo, adesso, mirando a don Cabizzosu ed all’elegante libro che riunisce, come in un eloquente abbraccio, tante pagine illustrative delle sue fatiche pluridecennali.
Sembra banale dirlo, ma è pur verità incontestata. Nessuno viene dal nulla, tutti siamo semi fecondati dalla società che ci ha accolti e indirizzati alla libertà delle scelte secondo le nostre naturali tendenze. Così anche fra i preti, essi in santa “combin” con il sacramento: chi si propende agente sociale o solidale, chi guida oratoriale e formatore, chi custode d’arte e di musica sacra, chi letterato e poeta, chi ricercatore storico... Non v’è, neppure nel gran popolo dei chierici, chi non abbia e non coltivi, legittimamente e anche doverosamente, il suo talento originalissimo e non sappia generosamente rifletterlo, con qualche singolare fascinazione, sui vicini.
M’accosto al profilo umano, religioso (si dica pastorale) e intellettuale di don Tonino Cabizzosu, ancora tenendo alla mente la figura di babbai Pedru Casu ch’egli biografò già nel 1977 (9 aprile) in uno speciale di Voce del Logudoro ed ancora nel 1985 (21 giugno) in un lungo articolo apparso ne L’Osservatore Romano (e neppure chiudendola lì, se è vero che un nuovo saggio è apparso nel 2008 in Theologica & Historica, con ripresa in Pastori e intellettuali nella Chiesa sarda del Novecento, edito in Sicilia da Sciascia nel 2010: “Poveros de pane, non de coro. Scrittura e identità in Pietro Casu”): babbai che parroco, lui… non mobile però, stanzialissimo perfino, fu (per quaranta e più anni nella sua Berchidda) e docente anche, fra Ozieri e Sassari, nonché novelliere-romanziere, poeta e predicatore-conferenziere, soprattutto filologo, corrispondente del Wagner e firma di libri importanti, primo fra tutti essendo (… ma un quarto di secolo dopo il suo esordio letterario!) la traduzione in «limba salda» ( logudorese) della Commedia dantesca: «A su mesu caminu de sa vida / m’incontres’in un’addhe a buscu oscura / ca sa via ’eretta fi’ peldida»… Ancora dunque tenendo alla mente babbai, m’approssimo al profilo di don Tonino che il suo primo affaccio da “don” l’ebbe proprio a Berchidda, saldandosi in schietta amicizia con tutti e in specie con quei giovani che, ormai ingrigiti, in questi giorni di festa si sono fatti presenti con ricordi e sentimento…
Divagando: come babbai Pedru Casu, come Giuseppe Ruju…
Perché nella Chiesa funziona così, o funziona spesso (ma dovrebbe funzionare sempre): il presbitero, inviato dal suo vescovo a curare il profondo e nascosto spazio spirituale dei singoli e ad animare la socialità dei tutti, passando (per regolare avvicendamento) di parrocchia in parrocchia semina relazioni ed affezioni che, superato l’atto dell’obbligato congedo finale, rimangono non soltanto nella memoria delle personali catalogazioni, ma nelle vivezze empatiche permanentemente all’erta. Nell’ordinario esse si materializzano, o trovano sempre nuove concrete espressioni, navigando nel calendario: suscitatrici possono essere le più varie circostanze di vita privata o di vita religiosa, può essere una festa patronale di richiamo zonale, o una ricorrenza liturgica nei tempi forti (quelli quaresimali e pasquali soprattutto), o una plenaria (del genere sinodale) di convocazione vescovile… Può essere, a suscitare un rinnovo di convivialità, di prossimità, di intesa (ed anche di concelebrazione del culto!) il compleanno o una vicenda familiare del presbitero rimasto nel cuore… Sicché potrebbe concludersene che un buon prete – preferisco (con amici cari come Angelo Pittau, Ettore Cannavera o Salvatore Morittu minore osservante) questo sostantivo al termine sacerdote, che dà l’idea di una alterità innaturale e misterica perfino, pagana oso dire! – è per statuto di ministero o per grazia di carisma, tale rimanendo quale che sia la sua nuova residenza, amico e fratello-padre (ma talvolta fratello-figlio), compagno sempre e sempre nell’ordinario affiancamento, nella consolazione come nell’incitamento di quanti, vicini o distanti dal campanile, sgobbano giornalmente a costruire la loro vita e già soltanto per questo vanno coltivati, dagli uomini di Chiesa, come preziosi.
Mi viene sempre e spontaneamente – ne dirò il perché –, di apparentarlo a babbai Pedru Casu, suo condiocesano ozierese di due generazioni precedenti la sua, don Tonino Cabizzosu che in queste settimane, appunto, molti festeggiano per il giubileo d’oro ch’egli, di ritorno da un impegnativo ritiro spirituale a Montecassino (e anche da una pensosa, riservata visita al camposanto fiorentino di San Miniato al Monte per onorare, ecumenicamente, la memoria del “mio” Giovanni Spadolini, statista repubblicano di altissima levatura oltreché insigne risorgimentista, storico dell’ “opposizione cattolica” e delle relazioni Stato-Chiesa), celebra, o vorrebbe celebrare, nella consueta discrezione, fra meditazione, studio e benevola consuetudine con la sua comunità di Ittireddu, l’ultima patria affidatagli dal suo vescovo ora è già quasi un decennio. Sì, proprio con quei quattro o cinquecento residenti ittireddesi (che in fondo non sono che una famiglia allargata!), per l’occasione però… implementati da quegli altri sparsi goceanini e logudoresi di Berchidda e Bottidda, di Illorai naturalmente ed Ardara, convenuti per affetto alla messa di ringraziamento nella parrocchiale antica di Inter Montes: quella stessa che, insieme con le chiesette rurali e di prima fattura addirittura millenaria (nate romaniche fra bizantini e giudicati) intitolate a San Giacomo apostolo ed alla Santa Croce, monumenta la fede locale. Un pellegrinaggio d’affetto, non organizzato ma volontario e cordiale, azionato da quei tanti che don Tonino hanno avuto per parroco o vicario in un tempo neppure così lontano nel loro paese, dove egli ha lasciato le tracce di una umanità affabile e sempre rispondente ai bisogni e alle attese (tante volte neppure dichiarate ma intercettate e prevenute dall’autentico sensus ecclesiae del ministro di culto, consiglio e perdono).
Nell’ecumene logudorese-goceanina
Il libro si gemella idealmente all’altro – Fra altare e cattedra. Cinquant’anni di missione di vita di un prete-professore. Amici ed estimatori lo raccontano – che l’editore cagliaritano Andrea Giulio Pirastu, brillante promotore anche di Giornalia.com, ha pubblicato lo scorso mese con la sua EDIUNI. Insomma, due volumi per far festa – naturalmente festa di pensiero e sentimento, sobria di forma e ricca di contenuti – ad un uomo di Chiesa che, con le sue attività, ha segnato i processi di presenza ecclesiale nella società sarda lungo i decenni a cavallo fra il secondo Novecento e questo primo Duemila.
L’occasione di scrivere ancora una volta di don Tonino Cabizzosu, prete-parroco in quel di Ittireddu e vicario episcopale per la cultura nella diocesi di Ozieri ma di larga notorietà in tutta l’Isola e in specie a Cagliari, mi viene fornita dalla uscita, ancora fresca di stampa, del secondo volume di Percorsi di fede e ricerca scientifica di un presbitero sardo, che raccoglie 99 recensioni, ricca eppur (numericamente) modesta selezione delle tante che hanno accompagnato, negli anni, le pubblicazioni del Nostro e che l’editore Carlo Delfino ha scandito lungo ben 380 pagine, con il supporto di un repertorio fotografico di prim’ordine: così anche lui omaggiando il 50° dell’ordinazione e della prima messa di questo eccellente servitore insieme dell’altare e dell’accademia, professore emerito della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna ed ovviamente agendato anche in altre cento occupazioni.
L’occasione di scrivere ancora una volta di don Tonino Cabizzosu, prete-parroco in quel di Ittireddu e vicario episcopale per la cultura nella diocesi di Ozieri ma di larga notorietà in tutta l’Isola e in specie a Cagliari, mi viene fornita dalla uscita, ancora fresca di stampa, del secondo volume di Percorsi di fede e ricerca scientifica di un presbitero sardo, che raccoglie 99 recensioni, ricca eppur (numericamente) modesta selezione delle tante che hanno accompagnato, negli anni, le pubblicazioni del Nostro e che l’editore Carlo Delfino ha scandito lungo ben 380 pagine, con il supporto di un repertorio fotografico di prim’ordine: così anche lui omaggiando il 50° dell’ordinazione e della prima messa di questo eccellente servitore insieme dell’altare e dell’accademia, professore emerito della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna ed ovviamente agendato anche in altre cento occupazioni.
Il libro si gemella idealmente all’altro – Fra altare e cattedra. Cinquant’anni di missione di vita di un prete-professore. Amici ed estimatori lo raccontano – che l’editore cagliaritano Andrea Giulio Pirastu, brillante promotore anche di Giornalia.com, ha pubblicato lo scorso mese con la sua EDIUNI. Insomma, due volumi per far festa – naturalmente festa di pensiero e sentimento, sobria di forma e ricca di contenuti – ad un uomo di Chiesa che, con le sue attività, ha segnato i processi di presenza ecclesiale nella società sarda lungo i decenni a cavallo fra il secondo Novecento e questo primo Duemila.
Nell’ecumene logudorese-goceanina
Mi viene sempre e spontaneamente – ne dirò il perché –, di apparentarlo a babbai Pedru Casu, suo condiocesano ozierese di due generazioni precedenti la sua, don Tonino Cabizzosu che in queste settimane, appunto, molti festeggiano per il giubileo d’oro ch’egli, di ritorno da un impegnativo ritiro spirituale a Montecassino (e anche da una pensosa, riservata visita al camposanto fiorentino di San Miniato al Monte per onorare, ecumenicamente, la memoria del “mio” Giovanni Spadolini, statista repubblicano di altissima levatura oltreché insigne risorgimentista, storico dell’ “opposizione cattolica” e delle relazioni Stato-Chiesa), celebra, o vorrebbe celebrare, nella consueta discrezione, fra meditazione, studio e benevola consuetudine con la sua comunità di Ittireddu, l’ultima patria affidatagli dal suo vescovo ora è già quasi un decennio. Sì, proprio con quei quattro o cinquecento residenti ittireddesi (che in fondo non sono che una famiglia allargata!), per l’occasione però… implementati da quegli altri sparsi goceanini e logudoresi di Berchidda e Bottidda, di Illorai naturalmente ed Ardara, convenuti per affetto alla messa di ringraziamento nella parrocchiale antica di Inter Montes: quella stessa che, insieme con le chiesette rurali e di prima fattura addirittura millenaria (nate romaniche fra bizantini e giudicati) intitolate a San Giacomo apostolo ed alla Santa Croce, monumenta la fede locale. Un pellegrinaggio d’affetto, non organizzato ma volontario e cordiale, azionato da quei tanti che don Tonino hanno avuto per parroco o vicario in un tempo neppure così lontano nel loro paese, dove egli ha lasciato le tracce di una umanità affabile e sempre rispondente ai bisogni e alle attese (tante volte neppure dichiarate ma intercettate e prevenute dall’autentico sensus ecclesiae del ministro di culto, consiglio e perdono).
Perché nella Chiesa funziona così, o funziona spesso (ma dovrebbe funzionare sempre): il presbitero, inviato dal suo vescovo a curare il profondo e nascosto spazio spirituale dei singoli e ad animare la socialità dei tutti, passando (per regolare avvicendamento) di parrocchia in parrocchia semina relazioni ed affezioni che, superato l’atto dell’obbligato congedo finale, rimangono non soltanto nella memoria delle personali catalogazioni, ma nelle vivezze empatiche permanentemente all’erta. Nell’ordinario esse si materializzano, o trovano sempre nuove concrete espressioni, navigando nel calendario: suscitatrici possono essere le più varie circostanze di vita privata o di vita religiosa, può essere una festa patronale di richiamo zonale, o una ricorrenza liturgica nei tempi forti (quelli quaresimali e pasquali soprattutto), o una plenaria (del genere sinodale) di convocazione vescovile… Può essere, a suscitare un rinnovo di convivialità, di prossimità, di intesa (ed anche di concelebrazione del culto!) il compleanno o una vicenda familiare del presbitero rimasto nel cuore… Sicché potrebbe concludersene che un buon prete – preferisco (con amici cari come Angelo Pittau, Ettore Cannavera o Salvatore Morittu minore osservante) questo sostantivo al termine sacerdote, che dà l’idea di una alterità innaturale e misterica perfino, pagana oso dire! – è per statuto di ministero o per grazia di carisma, tale rimanendo quale che sia la sua nuova residenza, amico e fratello-padre (ma talvolta fratello-figlio), compagno sempre e sempre nell’ordinario affiancamento, nella consolazione come nell’incitamento di quanti, vicini o distanti dal campanile, sgobbano giornalmente a costruire la loro vita e già soltanto per questo vanno coltivati, dagli uomini di Chiesa, come preziosi.
Divagando: come babbai Pedru Casu, come Giuseppe Ruju…
M’accosto al profilo umano, religioso (si dica pastorale) e intellettuale di don Tonino Cabizzosu, ancora tenendo alla mente la figura di babbai Pedru Casu ch’egli biografò già nel 1977 (9 aprile) in uno speciale di Voce del Logudoro ed ancora nel 1985 (21 giugno) in un lungo articolo apparso ne L’Osservatore Romano (e neppure chiudendola lì, se è vero che un nuovo saggio è apparso nel 2008 in Theologica & Historica , con ripresa in Pastori e intellettuali nella Chiesa sarda del Novecento , edito in Sicilia da Sciascia nel 2010: “Poveros de pane, non de coro. Scrittura e identità in Pietro Casu”): babbai che parroco, lui… non mobile però, stanzialissimo perfino, fu (per quaranta e più anni nella sua Berchidda) e docente anche, fra Ozieri e Sassari, nonché novelliere-romanziere, poeta e predicatore-conferenziere, soprattutto filologo, corrispondente del Wagner e firma di libri importanti, primo fra tutti essendo (… ma un quarto di secolo dopo il suo esordio letterario!) la traduzione in «limba salda» ( logudorese) della Commedia dantesca: «A su mesu caminu de sa vida / m’incontres’in un’addhe a buscu oscura / ca sa via ’eretta fi’ peldida»… Ancora dunque tenendo alla mente babbai, m’approssimo al profilo di don Tonino che il suo primo affaccio da “don” l’ebbe proprio a Berchidda, saldandosi in schietta amicizia con tutti e in specie con quei giovani che, ormai ingrigiti, in questi giorni di festa si sono fatti presenti con ricordi e sentimento…
Sembra banale dirlo, ma è pur verità incontestata. Nessuno viene dal nulla, tutti siamo semi fecondati dalla società che ci ha accolti e indirizzati alla libertà delle scelte secondo le nostre naturali tendenze. Così anche fra i preti, essi in santa “combin” con il sacramento: chi si propende agente sociale o solidale, chi guida oratoriale e formatore, chi custode d’arte e di musica sacra, chi letterato e poeta, chi ricercatore storico... Non v’è, neppure nel gran popolo dei chierici, chi non abbia e non coltivi, legittimamente e anche doverosamente, il suo talento originalissimo e non sappia generosamente rifletterlo, con qualche singolare fascinazione, sui vicini.
E senza mancare di riguardo ad alcuno, soltanto per speciali contingenze ed a titolo puramente esemplificativo, per sviluppare un certo discorso che porti a meta, dai tutti si potrebbe sempre trarre un nome o due o tre, il nome d’un ispiratore, di un maestro… Anch’io oso farlo, adesso, mirando a don Cabizzosu ed all’elegante libro che riunisce, come in un eloquente abbraccio, tante pagine illustrative delle sue fatiche pluridecennali.
L’esordio che gli fu imposto dopo l’ordinazione – l’ho già detto – avvenne a Berchidda, e quella fu storia di un lustro: lustro temporale e lustro… formativo. La comunità berchiddese si rivelò per il giovane “don”, di lato all’assistenza religiosa da lui regalata ai ragazzi e a quelli della sua stessa età, un’efficacissima palestra di progressive ed appaganti immersioni nello specifico ecclesiale e, tanto più, nei necessari ed istruttivi inoltri biografici all’interno del ceto clericale diocesano. Perché Berchidda era stata, per un quindicennio circa, la patria (seppure soltanto elettiva) anche di don Giuseppe Ruju, comandato vice di don Casu (di cui sarebbe stato esegeta e continuatore) e confermato nell’ufficio anche sotto don Ena, fino al trasferimento alla missione di Berchiddeddu, proiezione amministrativa di Olbia nel Monte Acuto. Gran nome anche quello di don Ruju, che fu prete per sessant’anni giusti e nella sua prolificissima opera narrativa innumerevoli volte ebbe a raccontare anch’egli di preti e preti, fino allo spettacolare ed evangelico “cardinale” di Anela don Raffaele Cinellu cantato anche da babbai («In su mirare sa fotografia / chi pintat su fogosu Cardinale / sezzendh’a caddhu, leat bolu tale / sa fantasia, / chi sun muscas Omeru e Ludovicu, / Pindaru, Dante, Tasso e Tottugantos / sos chi esaltare han cherfidu cun cantos / caddhu o burricu!...»). Sicché finì per entrare pure lui, don Ruju, naturalmente, nella galleria dei ritratti d’umanità della Chiesa ozierese, biografato da Cabizzosu in un bel volume uscito nel 2012 e con quanta partecipazione prefato nientemeno che da Manlio Brigaglia! (Giuseppe Ruju, un parroco-scrittore per l’identità sarda).
Né soltanto il nome di don Ruju, anelese di radici siniscolesi, s’accampò fra i soggetti di studio di Tonino Cabizzosu, ma anche quello di numerosi altri zampillanti nel fertilissimo capo di sopra sassarese, fra Goceano e Logudoro, con qualche inoltro… extra territorium (baroniese o dell’alta Barbagia), che nel suo sentire sociale ed ecclesiale si erano affermati come punti di riferimento. Citerei così il compaesano don Damiano Filia in quanto storiografo, del bonese, letterato di buona scrittura, don Giovanni Antonio Mura (ma, perché no pur se di più stretto recinto? del bottiddese don Giovanni Antonio Tilocca, poi canonico e cavaliere, cui era toccato di succedere al problematico parroco Gio.Maria Angioy omonimo e nipote dell’Alternos) e del dorgalese-esporlatese-olzaese-chilivanese-anelese, amatissimo oltreché ammiratissimo, don Giovanni Ortu (che di don Casu, ormai avanti con gli anni, era stato anche lui, da giovanissimo, coadiutore)… E con questi altri e altri ancora telentuosi speciali nel giro diocesano, da don Gesuino Mulas a don Francesco Brundu, da don Giommaria Farina nughedese (e pure lui vice di babbai Predu Casu, negli anni ’30, e pure lui, come Cabizzosu stesso, parroco di Ittireddu!) a don Antonino Ledda semiromano, da don Emilio Becciu a don Francesco Amadu storico attrezzato civile e religioso, di ancora fresca memoria… Davvero quanti affacci, quanti percorsi di genio e insieme di comunione, come nella sua vastissima produzione (e vorrei sottolineare in particolare nel ricapitolativo e bellissimo Logudoro e Goceano nel XIX secolo Religione e società, edito nel 2023 dalla Facoltà Teologica cagliaritana) li ha saputi evocare e raccontare Tonino Cabizzosu!
Creatori tutti di pagine di vita pubblica, e diversi di loro anche di pagine destinate a restare nella letteratura come nella storiografia o nella critica ecclesiologica: gli abbondanti carichi de La Sardegna Cristiana – titolo apripista al di là dei suoi limiti – e le arie meditative de La tanca fiorita o quelle de Il parroco di Geranio recensite in tempo di guerra da La Civiltà Cattolica, la raffinatezza saggistica presente in Magistero dell’episcopato sardo: aspetti politico-sociali (1793-1922) uscito da Fossataro nel periglioso 1968, questo ed evidentemente molto altro nella rappresentazione degli autori-chierici dell’alta Sardegna almeno nel primo e medio Novecento, mi pare vengano a spiegare qualcosa di profondo che, in quanto ad ispirazioni, maturò lungo gli anni del liceo e della teologia, fra Cuglieri e Cagliari, nel seminarista di Illorai. Quegli che alla Gregoriana e nei corsi di archivistica del Vaticano avrebbe affinato gusti e propensioni, passioni e finalmente cimenti. Basterebbe rileggere i numerosi articoli che fra 1985 e 1987 egli consegnò a L’Osservatore Romano innanzi citato, e felicemente riprodotti nel suo Chiesa e società in Sardegna (1870-1987). Appunti per la Storia, pubblicato alla fine del 1987 dalla Cooperativa Grafica Nuorese, per comprendere la strada così intensamente “produttiva” che avrebbe percorso l’allora giovane neodottore…
Biografando preti e vescovi, il lustro berchiddese
Viene qui da pensare, in accompagno ad un sentimento in sé… carezzevole, a quante energie abbia speso don Tonino Cabizzosu storico della Chiesa moderna e contemporanea a stendere, fonti (spesso o spessissimo inedite) alla mano, i profili dei suoi confratelli-padri, presbiteri o vescovi della sua venerata diocesi già bisarchiensis… né soltanto di quella, ma di quant’altre da lui attraversate nell’Isola nostra. E fra le tante, appunto, a descrivere intus et in cute le vicende di vita e sacrificio dei suoi modelli… Direi – se mi si passa l’azzardo forse retorico (ma pure veritiero) – che egli impegnò la grande riserva delle sue energie di cultura e sensibilità a tessere la gran tela che tutti, i migliori e i… meno migliori, riunisce in comunione ed anche in ideale (e mistica, oltre il tempo) concelebrazione. Perché credo che proprio per il mestiere di storico, esploratore delle originalità e delle compromissioni dei suoi tanti – tanti da costituire un ceto –, e di cui, leggendone ed ascoltandone, può aver rivissuto in proprio, dentro l’abito cioè! emozioni e riflessioni, impulsi e stanche o frustrazioni, ribellioni, resilienze e virate per nuovi approdi, e certamente incomprensioni penosamente subite e forse anche involontariamente provocate, com’è dell’umano, egli abbia acquisito la piena padronanza di quegli elementi che la biologia sociale chiama “fattori di presenza” nell’oggi e nel divenire. Sicché ogni tavola che lo storico possa stendere richiamando diacronicamente un qualsiasi evento, cadenzandone l’evoluzione e le conseguenze, non può negarsi a comprendere nel fondo, e magari a farne protagonista, le dinamiche dell’intimità segreta, cognitiva e d’intelligenza, emozionale ed infine spirituale, degli umani sulla scena. S’immagini così, estraendo il caso dal gran catino della storia-cronaca, il portato personale, di mentalità e cultura, di esperienza e di temperamento, dei nostri vescovi sardi – santi ma obsoleti – convocati al Concilio giovanneo e paolino… materia abbondantemente e analiticamente trattata dal Nostro in numerosi scritti e in vari contributi convegnistici.
E dunque “Percorsi di fede”…
Dovevo fare questa lunga premessa alle considerazioni che seguono, per associare il nuovissimo libro antologico che don Tonino Cabizzosu ha appena licenziato tanto al primo volume, strettamente autobiografico e confidenziale recante lo stesso titolo ( Percorsi di fede ecc., uscito nel 2008 e suscitato dal bisogno di… consuntivare il primo venticinquennio del suo intenso ministero condiviso fra parrocchia e università), quanto a quello recente della EDIUNI che riportava le attestazioni di stima ed affetto di ben 95 personalità delle più diverse provenienze territoriali e collocazioni accademiche e/o professionali: libere testimonianze rese come si trattasse di conferire la tessera di un mosaico composito da cui doveva risultare e risaltare la figura di un uomo di Chiesa – un sardo della Chiesa universale – di importanti esperienze di vita ed intellettuali, ora giunto al 50° della sua ordinazione e della sua prima messa. Con un risultato, per unanime riscontro e per merito speciale della intelligente e scrupolosa curatela compositrice, emerso chiaro e tangibile.
Ai quei due bei prodotti editoriali di bella lettura si va qui, seppur con intenzione differente, in parallelo. Infatti nel volume offertoci adesso da Carlo Delfino il mosaico si compone di altre tessere: quelle costituite come… potente (eppur parziale) rappresentanza delle centinaia di recensioni che, nell’arco di svariati decenni, hanno accompagnato e illustrato le fatiche storiografiche del nostro autore.
Anticipando ogni contributo non dal titolo che ebbe a suo tempo ma da un indovinato, compiuto e sapido estratto concettuale dello stesso, l’antologia consente, nella ricapitolazione del sommario, una sorta di lenta e piacevolissima doppia passeggiata sopra il testo e sopra la nota critica ch’esso ha suscitato.
Dopo una articolata scheda di complessivo contenuto bio-bibliografico (“Tonino Cabizzosu, il rigore scientifico dello storico dono alla Chiesa ed alla società degli uomini”, apparso anche come fascicolo a se stante, a mia firma, nel 2017) sono dunque riesposte, con esatta datazione e citazione della fonte (si tratta più spesso di quotidiani o periodici sardi e continentali – inclusi L’Osservatore Romano e La Civiltà Cattolica – e sono talvolta gli spazi di presentazione o prefazione dei testi stessi in uscita), le segnalazioni e le riflessioni cui i titoli hanno indotto i commentatori di varia collocazione accademica ed esperti di storia della Chiesa ecclesiastici o laici.
Penso anzi sia utile citarli questi recensori, nella successione (che è cronologica) dei loro interventi, così a dare un’idea più precisa anche della autorevolezza dei giudizi via via espressi: Giacomo Martina S.J., Pietro Borzomati, Lorenzo Del Piano, Tonino Loddo, Dolores Turchi, Franca Maria Vacante, Igino M. Ganzi, Cataldo Naro, Giuseppe Ferraro S.J., Maria Teresa Falzone, Salvatore Palese, Giampaolo Mele, Antonio Piras, Umberto Zucca, Francesco Atzeni, Ottorino Pietro Alberti, Giancarlo Rocca, Salvatore Bussu, Giorgio Rossi, Antonio Romagnino, Andrea Fenu, Giovanni Maria Cossu, Ignazio Sanna, Sebastiano Sanguinetti, Gianni Filippini, Stefano Palmas, Matteo Porru, Francesco Mariani, Corrado Ballocco, Pietro Orunesu, Renato Iori, Raimondo Zucca, Lidia Salviucci Insolera, Riccardo Mostallino Murgia, Danilo Veneruso, Maurizio Virdis, Mauro Badas, Massimo Naro e S. Mazzolini, Giancarlo Atzei, Grazia Loparco, Giorgio Puddu, Manlio Brigaglia, Giacomo Mameli, Alessandra Pasolini, Angelo Becciu, Luca Lecis, Antioco Piseddu, Antonio Canalis, Michele Calaresu, Andrea Oppo, Federico Lombardi, Giovanni Sale, Francesco Maceri, Tonino Satta, Giovanni Grosso, Diego Satta, Sandro Serreli, Gavino Leone, Giuseppe Cabizzosu, Ernesto Preziosi, Antonio Addis, Nicola Settembre, Gianfranco Murtas, Tarcisio Mascia, Cristoforo Puddu.
Le 380 pagine del volume sono arricchite, come accennato, da un amplissimo repertorio fotografico a colori comprendente in primo luogo le copertine delle monografie e dei saggi esaminati, venuti a coprire un arco temporale di giusto 43 anni!, e però anche inclusivo di diversi scatti che documentano don Tonino impegnato nelle sue varie attività, oltreché ministeriali, di servizio culturale, fra convegni e direzione degli affollati Archivi storici.
L’accorta impaginazione favorisce una gradevole lettura perché accosta le immagini ai testi, accompagna questi cioè con la copertina di riferimento. Sicché ecco balzare questo dato figurativo e cromatico che aggiunge, puntuale, una bella stimolazione alla lettura. Ed è una lettura che rimanda, nelle sintesi e nei commenti dei recensori, alle fatiche di carico ora esclusivo dell’autore ora dallo stesso condiviso (con Francesco Atzeni in prevalenza, con i collaboratori dell’Archivio Storico Diocesano di Cagliari, con Mario Puddu, con Luciano Armando, con Gianfranco Murtas, ecc.), alle curatele di miscellanee o di atti seminariali, e così via. Si parte da Chiesa e Società nella Sardegna Centro-Settentrionale (1850-1900) e da Chiesa e Società in Sardegna (1870-1987). Appunti per la Storia, e s’arriva ad Evaristo Madeddu. Una biografia – dopo aver scavalcato – o meglio, attraversato – le ricostruzioni biografiche del vincenziano Giovanni Battista Manzella e dell’oblato Felice Prinetti, dei secolari Virgilio Angioni, Salvatore Vico e Gesuino Mulas, delle religiose consacrate Maria Giovanna Dore, Maria Michela Dui, Bianca Pirisino e Maria Agnese Tribbioli, del frate laico cappuccino Nicola da Gesturi (beato)… e ancora quelle degli arcivescovi e vescovi (di larga produzione magisteriale e canonica ampiamente ripresa) Balestra, Rossi, Piovella in quel di Cagliari e Carta in quel di Sassari, di Corrias, Bacciu e Cogoni in quel di Ozieri, dei presuli sardi riuniti in conferenza regionale (1850, 1876, 1890 e via, dal primo Novecento, con frequenza pressoché annuale) e degli stessi – e di altri colleghi di più giovane generazione – quando convocati al Vaticano II, dei presbiteri Giuseppe Ruju e Salvatore Casu, Emilio Becciu e Francesco Amadu, Giovanni Deledda (missionario in Birmania) e Angelo Angioni (servo di Dio, fidei donum in Brasile), e di altri ancora…
Nel novero entrano naturalmente, e vivacizzano di colore e più ancora di contenuti l’antologia, anche i compendi (cinque finora) di Ricerche socio-religiose sulla Chiesa Sarda tra ‘800 e ’900 così come gli Inventari delle preziosità archivistiche custodite tanto nella curia di Cagliari quanto in quella della Chiesa nativa, il Bollettino Ecclesiastico ed il Notiziario ADSCA (pubblicazioni seriali dirette da Cabizzosu rispettivamente negli anni ’90 del secolo scorso e nel primo decennio del Duemila), gli omaggi di studio al cardinale Pompedda e all’arcivescovo Alberti e le ricche risultanze sia degli scavi, larghi e profondi, compiuti nella storia religiosa logudorese-goceanina che della esplorazione delle carte storiche dal 1927 al 1971 e dell’emeroteca del seminario di Montiferru, che tanta parte ha avuto nella formazione del clero isolano del Novecento.
Orientando la luce del riflettore sulla vasta produzione “marcata” Cabizzosu, resterebbe almeno da accennare alla molteplicità delle intese editoriali concluse da un così prolifico autore/curatore, e ciò sia con case sarde (oltre quella sassarese di Delfino ecco la CUEC, la AM&D e L’Unione Sarda, le Edizioni della Torre di Salvatore Fozzi ed ancora ecco Zonza, Papiros, aìsara, Arkadia, EDIUNI…) sia con case continentali o siciliane (dalla Rubbettino a Salvatore Sciascia per il centro “A. Cammarata”).
Si soggiunga che alcune pubblicazioni sono state patrocinate da soggetti “di settore” – così l’Opera Buon Pastore come la CLV dei Vincenziani –, altre dalla Facoltà Teologica di Cagliari, altre ancora – quando riferibili ad uno specifico interesse logudorese – dalla vivacissima associazione intitolata a don Francesco Brundu. Per altre andrebbe detto – perché di merito supplementare da riconoscere all’autore – attribuibili alla sua stessa liberalità e in appoggio a stamperie varie, fra cui le nuoresi Cooperativa Grafica, Studiostampa, Il Torchietto…
La storiografia di Tonino Cabizzosu – indefesso minatore nelle gallerie degli archivi secolari, divulgatore (con gli scritti e le conferenze) delle conoscenze storiche di piccola e grande portata, professore di largo eloquio, centrato e piano – è una storiografia che, interna alla scuola novecentesca dei padri Martina e degli altri con lui (De Rosa ecc.), inquadra le vicende della Chiesa nel più vasto contesto della storia sociale e perciò, nel nostro più specifico campo regionale e isolano, le ricollega anche alle ineludibili (esplorate ma mai mai esaustivamente) questioni identitarie. Senza artifici ideologici, o dottrinarismi pregiudiziali, egli ha trattato gli eventi di un cattolicesimo che di sua stessa natura – quella paolina – è di respiro universale e viaggia per meridiani e paralleli, nella loro traduzione ambientale e culturale, seguendo un impianto che non ha potuto che resistentemente corrispondere, ancora nell’Ottocento e nella prima parte del secolo nuovo, ad antiche e sedimentate materialità. Il clero via via in formazione e in esercizio, figlio esso stesso di una lenta o lentissima diacronia popolare, ha interpretato la propria missione – tanto più nelle plaghe rurali, meno esposte alle insufflazioni della modernità e della secolarizzazione – rispettando, dove meglio dove peggio, le cadenze ricevute dal tempo… (Di qui il devozionismo – certo sempre a rischio di scivolate paganeggianti – o le multiformi espressioni della pietà popolare veicolata anche dalle storiche confraternite di rimando mariano o patronale diffuse in ogni dove).
Invero, a fronte di tale continuismo o conservatorismo, e purtroppo senza aver ancora maturato o saputo elaborare le prospettive offerte dalla cosiddetta “inculturazione” – carta necessaria e vincente in tempi successivi –, non sono certamente mancati fattori come d’un illuminismo clericale che puntavano, con supponenza autoreferenziale, ad astratte validazioni. Ciò è avvenuto da parte di una certa docenza estranea alla tradizione locale così come da parte di un certo episcopato di provenienza continentale (con meravigliose eccezioni, si pensi al vescovo Emanuele Virgilio) che, riunito in concilio d’imperio curiale o romanocentrico – quello oristanese del 1924, e già, nella storia d’Italia, a pesante influenza d’un fascismo nazionalista che s’affacciava irrispettoso –, andava per proibizioni (di lingua e di processioni) e per omologazioni imposte. Paganeggianti – si pensi alle impetrazioni a pro del dittatore – certamente non meno di quelle che si volevano osteggiare.
Lo studio e la penna di Tonino Cabizzosu hanno affrontato in diverse occasioni queste pagine anche scomode della storia della Chiesa, e della Chiesa sarda, così come hanno toccato criticamente le fedeltà antirisorgimentali di tante obbedienti falangi clericali, anche però per salvare le voci profetiche e additarle al giudizio dei contemporanei come sagge e coraggiose anticipatrici delle conquiste avvenute un secolo dopo, appunto nella stagione conciliare giovannea e paolina: e qui mi riferisco alla straordinaria figura del canonico tempiese Tommaso Muzzetto, invocante – con il clero gallurese che egli allora governava come vicario capitolare – l’evangelica rinuncia da parte di Pio IX del temporalismo. Il papa rispose allora con scomuniche che screditarono, agli occhi della storia, lui (oggi fatto inopinatamente beato, anche nonostante il rapimento Mortara e il suo licet alla ghigliottina), e la stessa Chiesa romana… Avrebbe detto, un giorno, Paolo VI – San Paolo VI – che la perdita del potere temporale fu un dono della Provvidenza alla storia della patria nostra!
Si potesse, si potesse! continuare a scavare ed a trovare chi, pur figlio di una stessa storia e da essa inevitabilmente condizionato, ha saputo scorgere i segni dei tempi da altri invece ignorati – e a seguire Cabizzosu si potrebbe dire del Prinetti umiliato dal suo arcivescovo, dell’Angioni accusato di modernismo, del Madeddu emarginato dall’alleanza episcopale… -, e dare loro l’onore dovuto. Ché il conformismo è il condizionamento che troppo spesso frena gli uomini di Chiesa – anche della Chiesa sarda d’oggi – e nega loro la nobiltà della parresia e della testimonianza, e ne svuota (o corrompe) la pedagogia.
Concludo queste mie libere e modeste osservazioni recuperando dal primo volume di Percorsi di fede e ricerca scientifica di un presbitero sardo (quello uscito ora sono già quindici anni) una suggestione: narrativamente molto bello, esso rimandava alle sensibilità familiari all’interno delle quali maturò progressivamente la vocazione religiosa del bambino poi ragazzo illoraese, ed alle percettività personali a noi rivelate dal protagonista di quella storia raccontata stadio per stadio, dalle medie presso i salesiani di Lanusei e poi di Roma al liceo cuglieritano, agli anni di studio teologico che significarono anche un impattante ma gradevole ambientamento a Cagliari, città meravigliosa per luoghi di natura e per vicende millenarie fissate nelle pietre dei suoi monumenti e delle sue chiese più note.
Ecco quindi l’ordinazione presbiterale da parte dell’arcivescovo metropolita di Sassari (e temporaneo amministratore apostolico di Ozieri) Paolo Carta, il viceparrocato a Berchidda e, a seguire, il quadriennio “di svolta”, quello degli studi specialistici a Roma, alla Gregoriana, con quei salti collaborativi propiziati nello stesso tempo dall’arcivescovo-vescovo di Spoleto e Norcia, il sardo nuorese Ottorino Pietro Alberti… Si potrebbe e dovrebbe approfondire il rapporto fra il giovane chierico ed il presule destinato a diventare negli anni futuri (quando gli sarebbe stata affidata la guida della Chiesa di Cagliari) il suo mentore: perché a lui – all’ancora giovane don Cabizzosu che aveva superato brillantemente tutti gli esami impostigli dall’università gesuitica allora sotto il rettorato dello spagnolo Urbano Navarrete Cortes (successore del cardinale Carlo Maria Martini appena inviato da Giovanni Paolo II alla testa della più grande diocesi del mondo, quella di Milano) – pensò allora, l’arcivescovo Alberti, di affidare la direzione dell’Archivio Storico Diocesano che progressivamente, negli ammodernati locali presso il seminario di San Michele, sarebbe divenuto il polmone culturale della intera archidiocesi. Tale rimase anche sotto l’episcopato (per molti versi problematico e antipatico) di Giuseppe Mani. Avrebbe poi pensato il successore di questi, Arrigo Miglio, ad imporre arretramenti ancora non spiegati.
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