Francesco Alziator e i suoi contributi all’“Almanacco letterario ed artistico”. La collaborazione ad “Arcobaleno di Sera” oltreché agli Amici del Libro. Il caso Rilke e Radio Sardegna
di Gianfranco Murtas
Io non so da dove abbia tratto il suo alter ego, od a chi si sia ispirato Francesco Alziator calandosi nei panni di un Renato Marino – magari un vecchio compagno di scuola, o un commilitone del tempo di guerra –, così negli anni successivi al 1948. Né, panni o nome, coltivati durevolmente, e invece limitati a due anni soltanto, 1948-1949. Salvo poi risvegliarlo, il suo alter ego, nel 1971 – dunque oltre vent’anni dopo – per firmare un articolo apparso su Sardegna Fieristica, l’elegante e densa rivista di Vittorio Scano in uscita ogni anno in occasione della apertura della Fiera campionaria (poi internazionale) della Sardegna, in fogli sciolti dal 1962 al 1977 e dall’anno successivo e fino al 2003 in brossura. Un articolo dal titolo, che bene spiega il contenuto della lunga e brillante esposizione: “Mezzo milione di volumi: la Biblioteca dell’Università di Cagliari fondata nel ’700, vanta un’eccezionale raccolta di libri”.
Nella biblioteca “Studi Sardi”, associata alla Comunale di Cagliari ed ospitata nel palazzo della MEM, a firma Renato Marino è, con il resto, anche un prezioso deposito classificato come “Materiale documentario: così Cagliari divenne un enorme cimitero”.
Parentesi. Ho confessato di non conoscere per certo la derivazione di quello pseudonimo, ignoto anche in casa dello stesso professore. Ma avanzo una ipotesi, un’altra in aggiunta alle precedenti, almeno con riferimento al cognome: Marino – al singolare, quasi in una concentrazione… solipsistica – rimanda a Marini, che fu il cognome della madre di Francesco Alziator. Matilde Marini, nata in città nel 1883 morì all’età di 47 anni nella primavera 1930, quando Francesco era appena divenuto maggiorenne, ventunenne universitario iscritto in facoltà di Lettere dell’università di Cagliari, allora ancora tutta assorbita a palazzo Belgrano. Lei era a sua volta figlia di Gerolama Carossino e Salvatore Marini, questi fratello minore (quarto dei sei nella casa di via Sant’Eulalia) e fratello preferito di Efisio Marini, il medico noto come pietrificatore dei cadaveri. Dunque Marino da Marini… Renato non saprei, magari da Ri-nato Marini, quasi un secondo battesimo, tutto laico, per Francesco Alziator, come un generato da se stesso. Chissà, sono queste elucubrazioni cui peraltro ammette la geniale creatività dello scrittore e del memorialista. Attenzione: dico memorialista, non storico. Ché come storico il suo riferimento fu sempre rigorosamente il documento: ed esso non è qui in discussione, anzi è rispettato ed ammirato. Al più, attorno al documento, e quando il caso e senza mai abusi, egli si permetteva – né doveva chiedere l’autorizzazione ad alcuno – un libero viaggio interpretativo…
Gli… aggiustamenti marcati Franz
Certamente un libero viaggio interpretativo, e di più anche, egli si permise nella memorialistica per i filtri personalissimi propri della categoria. Lo spostamento delle date, il loro aggiustamento nel calendario – divenuto così un calendario probabile, non storico – poteva essere funzionale al racconto ed egli fu un maestro nell’arte. Così scrisse diffusamente, andando perfino al particolare episodico, del suo rapporto con la nonna paterna, lassù nella casa di via Lamarmora, negli anni che erano press’a poco quelli della grande guerra o della sua preparazione. C’erano, nelle descrizioni del postumo Attraverso i sentieri della memoria (ma anticipato a pezzi negli anni), i dettagli delle recite vespertine del rosario, in comunità anche con la servitù, e le ginocchia doloranti sul pavimento di casa, c’era la cronaca delle risalite in s’arruga Deretta alla volta della cattedrale, lei accompagnata dai figli militari e scortata come i carabinieri evocati nel Pinocchio di Collodi… Ma quella nonna – nella verità dei fatti – egli non la conobbe mai: morì due mesi prima della sua nascita, lui frignante alla Marina, lei austera e pia, stanca signora ormai 76enne, a Castello.
Così, per dire di qualcuna delle innumerevoli riprese di memoria non soggette a rigorosi riscontri fattuali, fu anche per le vicende di casa Marini, negli appartamenti che si affacciavano sulla via Sant’Eulalia schermati dal sobrio prospetto neoclassico disegnato nientemeno che dal Cima, e riferiti nelle due puntate del tratteggio biografico uscito su Il Convegno nel 1946: il vecchio Gerolamo non poté chiudere gli occhi della giovane nuora – la Carmina (che era Giuseppina) sposa di suo figlio primogenito Efisio – né quelli del piccolo nipote Vittore, per una sola ragione: che egli morì prima di loro. Lui nel 1875, lei – peraltro a Napoli e non a Cagliari – nel 1879, all’età neppure giovanissima di 42 anni… ed in quanto a Vittore bisognerebbe dire che egli se ne andò all’altro mondo non da bambino ma da adulto, già sposato e reduce anche da suoi personali malesseri che lo indussero perfino a tentare il suicidio nel 1904, a Casoria, nei pressi della città partenopea… (Chi invece morì piccolo, neonato, fu il primogenito di Efisio e Carmina-Giuseppina, di cui Alziator aveva certamente sentito parlare in casa, trattandosi di una questione lontana più di mezzo secolo, del 1854 addirittura, e che aveva motivato – non la morte ma la nascita s’intende – il matrimonio riparatore nella chiesa di Santa Caterina alessandrina celebrato dallo zio canonico Marturano).
Credo sia virtù supplementare di Francesco Alziator questa modellazione del calendario, così come, per impulso impressionista, avesse voluto plasmare la creta con le sue mani provette, strumenti naturali della sua arte che, dati i campi riservati alla letteratura, sempre aggiungevano umanità ai suoi lavori (si pensi, per dirne un’altra, al fascino semitico da lui gustato nelle ragazze di Villanova… e derivato, nella sua singolare fantastica percezione, dalla presenza nel quartiere – là dove poi sorse la parrocchiale di San Giacomo –, nell’alto medioevo, di una sinagoga…).
Gli aggiustamenti erano funzionali al racconto ed Alziator, che non si proponeva come biografo storico né della nonna paterna Vincenza né del bisnonno materno Gerolamo o della prozia Carmina-Giuseppina o dello zio Enrico/Ercole Vittore (registrato Enrico in parrocchia ed Ercole in municipio!), e neppure come certificatore delle reali ascendenze ebraiche delle villanovesi: egli intendeva sempre e soltanto donare al suo lettore gentili evocazioni di atmosfere cittadine…
L’esperienza di “Arcobaleno di Sera”
Come detto, Arcobaleno di Sera uscì irregolarmente per quattro anni ad iniziativa di Marcello Serra, allora giovane (33enne nel 1946) professore di lettere italiane alle scuole medie e mente brillante, personalità poliedrica e coinvolgente attorno ai suoi programmi e alle sue frequentazioni più stabili un numero sempre largo, e però alquanto selezionato, di amici (fra le sue migliori produzioni editoriali ricorderei, della metà degli anni ’60, precisamente nel 1966, Tribuna della Sardegna, che poi fu rilevata dal mio amico perfetto Bruno Josto Anedda che la arricchì di contenuti repubblicani storici ed attuali, inducendo lui a reinventarsi, in sostituzione, un bis magari meno impegnato con testata La Tribuna dell’Isola!). Era stato, Serra, fra le anime più attive di Sud Est, la rivista della Gioventù Universitaria Fascista di Cagliari, dal 1934, lui allora soltanto ventunenne, ed ora, nel 1946, ripartiva e riprovava. Chiaro e non camuffato il suo pensiero politico che rimandava, con qualche nostalgia, alle esperienze della dittatura e forse non aveva attraversato il filtro autocritico – all’interno s’intende di una più generale autocritica nazionale – che la tragedia della guerra avrebbe dovuto destare a riguardo del duce e delle sue burocrazie e delle sue leggi e delle sue perfide e criminali alleanze.
Fu prudente all’inizio, non valeva evidentemente marcare nostalgie e revanchismi senza orizzonte, senza futuro cioè, ma certamente un contributo alla nascente democrazia repubblicana con i suoi ordinamenti sarebbe stato giusto offrirlo nei modi giusti a tempo debito. Come professore della scuola pubblica, peraltro, quel che fuori poteva essere una scelta, in aula doveva essere compimento leale di un dovere. Intanto non mancavano i temi d’interesse generale da affrontare in logica di proposta e di confronto (ad esempio sul regionalismo, data l’ormai ravvicinata svolta della specialità autonomistica in Sardegna) senza necessità di rinchiuderli in uno spazio di perenne ed asfittico dottrinarismo.
Quelli che già dai mediani anni ’30 avevano preso a riunirsi al caffè Genovese, o al Torino di via Roma o ancora negli altri della città, magari di San Benedetto, per discutere di letteratura, e s’erano anche confortati per oltre un anno con la presenza di Salvatore Quasimodo – a Cagliari comandato come funzionario del Genio civile –, non si dispersero: Nicola Valle nel gruppo, e Vittorio Stagno caporedattore, e Porrino il musicista, e Oliveti – avvocato civilista con un futuro di militanza nel Partito Liberale Italiano – e diversi altri via via aggiuntisi… Camillo Camillucci (pastore della chiesa evangelico-battista), Sergio Montani, Emilio Carboni, Paolo Mocci, Andrea Saltorelli, ecc. E Francesco Alziator.
Spazio per tutti, tanto più nel 1948 e primi mesi del ’49, con qualche prevalente occhiata al campo sardista, ma per colpirlo nelle sue fragilità e contraddizioni: “L’attacco alla parete di Alcide [De Gasperi] montanaro”, “Amici di Truman gli evangelisti di Cagliari”, “Banco d’esperimenti la scuola. Cavie gli studenti…”, “Primo tempo 0 a 0 Branca-Caput in tribunale”, “Riconoscente alla galera… Secondo tempo del processo…”, “L’oratore col cappello. Sardista senza Lussu… l’avv. Gonario Pinna”, “Emilio Lussu, autore troppo lodato divertì i salotti di Parigi”, “Destra o sinistra incerti i sardisti. Titino ha levato il saluto”, “Aperta la lotta contro l’autonomia”, “Sciopera il parroco [di Oliena]”, “Piace De Bellis ma Mya non persuade”, “Ovidio Pitzurra”, “D’Aspro, ritratto del pittore Melis Marini”, “Umberto di Savoia accademista fece due per volta i gradini di San Pancrazio”, “24 professori italiani al convegno internazionale di Cagliari”, e altri cento titoli così.
La fotografia del matrimonio del professor Antonio Romagnino con Anna Maria Pes nella parrocchiale di San Giacomo, quella di Annamaria Cappicciola eletta “Reginetta dei [500] portuali”… Alla parte artistica del settimanale “di tutte le attualità” – così nella sottotestata – pensava soprattutto il condirettore Aurelio Galleppini, il magnifico disegnatore di Tex, romagnolo di sangue fatto sardo da tre generazioni nell’Iglesiente, lunghi anni trascorsi a Cagliari e belle opere lasciate in dono alla città (si pensi alle pitture religiose realizzate negli anni della guerra ed ancora conservate nella cappella dell’asilo San Vincenzo, nell’omonimo viale sopra sa Duchessa)…
Una cinquantina in tutto le uscite (ogni numero composto da una ventina di pagine di formato tabloid): le primissime, presto interrotte però, nel 1946, partendo da novembre (con le sue rubriche: “Diorama delle attualità”, “Apollonio in vetrina”, “Vernice in galleria”, “Calumet” ecc.); poi in relativa distensione nel 1948 (da febbraio); lungo il primo semestre l’anno seguente, fino al fatidico (e temuto) appuntamento con l’elezione della prima assemblea legislativa regionale.
Proprio le elezioni regionali – con la presenza della lista missina (35mila voti e tre eletti) in accompagno di quella monarchica (67mila voti e sette eletti) – costituì il terminale ed anche il termine della vita del giornale: alla costituzione anche a Cagliari del Movimento Sociale Italiano non mancò il concorso attivo di Marcello Serra e di qualcuno dei suoi più vicini, e ad Arcobaleno di Sera si ritenne esaurita la missione forse all’inizio neppure confessata. Gli articoli di stretto argomento politico presero sì, nell’arco temporale fra le parlamentari dell’aprile 1948 e appunto le regionali del maggio 1949, sempre maggior spazio nella foliazione marginalizzando quanto dalla cultura in senso lato – letteratura, poesia, figurativo e scultura, musica e teatro – avrebbe meritato ancora una propria intangibile tribuna, data anche l’importante produzione locale nel periodo, e…
L’incompletezza delle collezioni disponibili nelle biblio-emeroteche pubbliche, fra Cagliari e Sassari, non consente un censimento completo degli articoli, inclusi quelli di Alziator nella sua versione sia diretta che mediata, quella cioè dello pseudonimo di Renato Marino.
L’esordio degli Amici del libro e quel numero unico di “Almanacco letterario ed artistico”
Come detto, Arcobaleno uscì a novembre del 1946. Quello fu l’anno di molte rinascite, nel paese in generale e in Sardegna in particolare, in uno con l’evento storico del referendum istituzionale che aveva portato l’Italia dal regime monarchico (e fascista-monarchico, dopo che liberal-monarchico) a quello repubblicano, o democratico-repubblicano. Nello stesso giugno fu eletta l’Assemblea costituente che redasse il testo di costituzione entrato in vigore il 1° gennaio 1948 e “generativo” della legge costituzionale 26 febbraio 1948 che dette dignità appunto costituzionale allo statuto della Regione Sardegna in versione piuttosto moderata rispetto a quella esitata dalla Consulta regionale.
Nel 1946, dopo l’elezione del nuovo Consiglio comunale (avvenuta a marzo) e giusto all’indomani del referendum e del voto per la rappresentanza a Montecitorio, a Cagliari cessò la gestione commissariale de L’Unione Sarda da parte della Concentrazione provinciale antifascista e il giornale tornò nella pienezza amministrativa e commerciale, ed ovviamente politica, della famiglia proprietaria Sorcinelli (che la deteneva fin dall’estate 1920); intanto vari giornali periodici di partito avevano preso, e almeno fino al 1949 avrebbero continuato, a riempire l’edicola sarda e ad animare il dibattito pubblico.
Fra le pubblicazioni non politiche ma di larga cultura fu, dal numero di gennaio-febbraio, Il Convegno, periodico dell’associazione Amici del libro, in attività, nel capoluogo, ormai da un biennio. Fondatore-direttore e anima perfetta ne fu il presidente Nicola Valle.
A Valle e alla sua associazione si deve anche, nello stesso 1946, l’uscita dell’Almanacco letterario ed artistico della Sardegna, un volume di duecento pagine che si pose sulla linea, ad otto anni soltanto di distanza – ma in quale altro contesto storico! –, di Vita poesia di Sardegna, l’antologia curata, nel 1938, da Remo Branca e Francesco Pala per gli editori Fratelli Pala in Genova e di cui il nostro Carlo Delfino ha ristampato l’anastatica nel 2000, con importante introduzione e, direi, superbo inquadramento critico di Antonio Romagnino.
Ma non solo Vita poesia di Sardegna, perché – pur su altri versanti, questi artistico-musicali – anche Diorama della musica in Sardegna, che uscì nel 1937 a cura della Confederazione fascista dei professionisti e degli artisti, e ristampato in anastatica nel 2003 anch’esso da Carlo Delfino editore, con presentazione di Myriam Quaquero, poteva ricollegarsi al filone delle produzioni antologiche sarde che sono insieme, sul piano strettamente tematico, tanto riscoperta di un lontano passato quanto testimonianza attuale di autori sempre validi.
In Diorama, in particolare, si ritrova Alziator, l’allora giovane (28enne) Alziator, ancora quasi all’esordio della sua quarantennale attività di docente. Qui è un breve saggio di una ventina di pagine, articolato in sei paragrafi, sulla storia del teatro in Sardegna: “Dall’età Roma al trionfo del Cristianesimo”, “La drammatica religiosa” (materia, questa, della sua tesi di laurea discussa nel 1932 ed oggetto varie di pubblicazioni negli anni ’60), “Il tempo spagnolo: le loas, i teatri gentilizi, il teatro di San Pancrazio e il perdurare della drammatica religiosa”, “La Sardegna Sabauda: il Teatro Civico di Cagliari”, “Teatri di Cagliari dell’ottocento”, “Il Politeama Regina Margherita e gli altri teatri sardi”.
L’Almanacco dunque: comprensivo di circa 60 contributi, fra racconti, versi e articoli di critica: in bella sequenza le firme di Grazia Deledda e Salvatore Quasimodo, Salvatore Cambosu e Filippo Addis, Raimondo Manelli e Vincenzo Cardarelli, Raffaello Delogu ed Eugenio Tavolara, Pietro Casu e Vincenzo Soro, Antioco Casula e Pietro Pancrazi, Marcello Serra e Girolamo Sotgiu, Salvatore Farina e Giuseppe Susini, Salvator Ruju e Gemina Fernando, Mercede Mundula e Francesco Zedda, Lorenzo Giusso e Nicola Spano, Gavino Leo ed Attilio Momigliano, Giuseppe Dessì ed altri ancora come Francesco Alziator naturalmente, con arricchimenti grafici – disegni, xilografie, caricature di Tarquinio Sini e Felice Melis Marini, Antonio Mura e Stanis Dessy, Ubaldo Badas e Giuseppe Biasi, Sinopico e Vico Mossa, ecc.
Due i contributi di Alziator: “Scrittori inglesi in Sardegna” (pp. 59-64: «Il primo Ottocento, si sa, è l’età d’oro del romanticismo…»), “Inchiesta: attitudini letterarie dei sardi” (in composizione con la Mundula, Casula e Manelli, pp. 86-88: «Ogni indagine sulla storia politica o artistica della Sardegna…»).
Ma Alziator compare anche nelle pagine iniziali. Di lui sappiamo dalla sintesi che Nicola Valle curatore dell’Almanacco-antologia e presidente degli Amici del libro fa dell’attività associativa nel 1944 e nei primi mesi del 1945: «Nell’aria rarefatta e desolata che gravava su Cagliari, dove le strade erano ostruite dalle macerie o allagate dall’acqua perduta dalle condutture sconvolte, dove si camminava tra buche enormi e rifiuti di ogni genere, polverone e lezzo infernali, il palazzone dell’Università – restato miracolosamente illeso – custodiva ancora intatta la Biblioteca Universitaria. All’ombra di essa si è costituita in un momento così critico il più fiorente sodalizio a carattere culturale che finor abbia avuto la Sardegna: l’Associazione “Amici del Libro”. Il 2 marzo Nicola Valle inaugurava il 1° ciclo di conferenze nell’Aula magna della stessa Biblioteca, con queste brevi parole: “Forse non solamente per puro caso l’inaugurazione di questo ciclo di convegni culturali avrebbe dovuto coincidere con l’inaugurazione della primavera, martedì scorso, 21 marzo…”» e da qui il riepilogo del tanto fatto con cadenza pressoché settimanale: conferenzieri Dessanay, Lilliu, Crespellani, Carboni, Valle, Atzeri, Mauro Manca… un concerto corale per voci bianche preparato e diretto da Lyna Valle con musiche di Palestrina, Cimarosa, Donizetti…
Alziator quindi, e dopo di lui Severino, Lamberti, Murroni, Susini, Pirrone, Dolia, Marongiu, Jacobelli, Taralli… e fra i temi trattati ecco gli opuscoli recenti di Benedetto Croce, i nuovi studi dei nuraghi, la produzione di Giuseppe Dessì, la critica di Pareto al pensiero di Marx, la bibliografia autonomistica, l’enciclica Rerum Novarum, la pittura di Cezanne, la legislazione francese del fronte popolare, il liberalismo visto da parte cattolica, la giustizia nel regime fascista, la narrativa italiana, le “delizie” dell’edilizia, Ravà e l’eticità del diritto, la figura di Giaime Pintor… E in aggiunta trenta conversazioni culturali tenute, bisettimanalmente, dai microfoni di Radio Sardegna, e per tre volte ogni settimana, dalle stesse stazioni, la lettura di novelle sarde…
Alziator, a fine maggio, ha parlato di Rainer Maria Rilke… e torna nel 1945 e ancora, naturalmente, nel 1946, nel mix delle conferenze di vario oggetto, le letture dantesche, i concerti e le mostre di pittura e scultura (ne ho dato conto nell’articolo del 1° febbraio u.s. “Francesco Alziator, gli Amici del libro e la Dante nel primo decennio associativo, dopo la guerra. Repertorio di una collaborazione”).
Una conversazione a Radio Brada
Della fine degli anni ’40 è anche una collaborazione che Francesco Alziator è chiamato ad offrire a Radio Sardegna.
Il volume, di bella edizione RAI-ERI e uscito nel 2004, scritto a molte mani e diffuso con il felice titolo di Radio Brada. 8 settembre 1943: dalla Sardegna la prima voce dell'Italia libera (dove la qualificazione di “brada” sembra sia di copyright Jacobelli) riporta il testo di una conversazione svolta dal professore sul tema “E’ arte la radio?”. Testo importante, direi didascalico, che gioca sui molti piani frequentati dalle muse mitologiche e però anche rimanda, a comprenderlo oggi, alla funzione che la radio svolge nella nostra società nazionale e sarda all’indomani della guerra, nell’economia sociale della faticosa ricostruzione, ancora sei od otto anni prima dell’esordio delle trasmissioni televisive. Ne riporto, per pura testimonianza, alcuni brevi passaggi.
«Come già il cinematografo, così oggi la radio si trova dinanzi un deciso interrogativo: “E’ arte la radio?”. E come già per il cinematografo, così oggi per la radio, diverse e opposte sono le risposte, e la polemica, apertasi appena da qualche anno, è ben lontana dall’essere conclusa. D’altronde, non bisogna dimenticare quanto recente sia l’invenzione della radio e come solo da una quindicina d’anni essa sia divenuta qualcosa di più e di diverso di un semplice mezzo meccanico per la trasmissione di notizie a distanza, né dimenticare come soltanto adesso, e ancora a denti stretti, la maggior parte dei critici conceda, finalmente, al cinematografo, nato subito come forma spettacolare, e ormai vecchio di mezzo secolo o quasi, la possibilità di essere arte».
E più oltre: «La radio così in sé e per sé è chiaro che non è arte, allo stesso modo in cui non è arte il teatro o la scultura o la musica; ma è opera d’arte quel dramma, quella statua o quella sinfonia. Così potrà o non potrà essere opera d’arte questa o quella trasmissione.
«La domanda va meglio impostata allora in questi termini: “Si può avere un’opera d’arte tipicamente radiofonica, cioè con caratteristiche tali da non essere teatro adatto al microfono, documentario o altro, ma esclusivamente radio?”. In tale caso la risposta non può esse altro che “Sì”. Ma procediamo per ordine. Come la musica, il teatro, la danza e – perché no? – il cinematografo, la trasmissione radio acquista il suo vero valore a un determinato momento. In altri termini c’è anche per essa un momento dinamico nel quale essa vive, esiste rispetto a un tempo indeterminato, nel quale essa semplicemente è. E come lo spartito esiste solo nel momento in cui viene eseguito, il dramma o la commedia quando recitati, e il copione quando viene tradotto in quell’insieme di suoni, parole e mimica destinati a impressionare la pellicola, così anche il pezzo radiofonico può semplicemente “essere”, cioè essere un insieme di parole e di segni sulla carta, oppure “esistere” e cioè diventare una trasmissione irradiata da una determinata stazione, in una determinata ora, su una certa lunghezza d’onda.
«Come in tutte le espressioni d’arte, anche per essa vi è dunque un dato fantastico, suggestivo: il copione, e un dato più o meno obiettivo o tecnico: il modo come questo copione viene messo in onda. Né più né meno di un qualunque pezzo musicale, nel quale vi è un dato fantastico – la creazione dell’autore – e un dato più o meno obiettivo – il suonatore e lo strumento che debbono eseguirlo».
E ancora e infine (con magistrale pirotecnia): «Come la musica si serve esclusivamente del suono, la pittura del colore, la scultura della forma, così la radio ha come suo mezzo la sola parola o, per meglio precisare, la parola parlata, cioè la parola che esiste, che vibra nell’aria come suono, non parola letta.
«Nessun dubbio sulla superiorità, almeno fino a oggi, delle opere scritte in musica pura sul melodramma. Eppure la prima dispone del solo elemento suono, mentre il secondo ha l’azione, la parola, la coreografia.
«I rapporti musica pura-melodramma sono inequivocabilmente identici ai rapporti radio, teatro e cinema. Orbene, se nella storia del bello è stato possibile l’eccellere di creazioni fondate su un unico elemento in confronto a quelle basate su più elementi, perché questo non dovrebbe ripetersi per la radio? Quello che tuttavia è doveroso dire è che finora questo non è avvenuto nella storia della radio. Ma è anche doveroso chiarire che è per lo meno presuntuoso parlare di storia della radio, poiché quindici anni o pressappoco sono nella storia del bello qualcosa di assai simile al dantesco paragone dei mille anni fatti semplice volger di ciglia di fronte all’eternità, e, per essere più pratici e meno poetici, alla prima pipì nei pantaloni in confronto all’imponenza della vita e delle opere di un grand’uomo».
Tra facezie redazionali e giochi di società
Torno ad Arcobaleno di Sera. Alziator-Alziator e/o Alziator-Marino, che compaiono con una certa assiduità nella serie e già dal primo numero, rimbalzano con l’aneddotica o l’occasionale ora in brevi corsivi redazionali ora in contributi di altri autori. E forse, prima di diffondermi a riferire dei pezzi originali di taglio giornalistico recati al periodico, faccio bene a dar conto, per la gradevole loro levità, di queste indirette e involontarie comparsate che puntano sul personaggio recante qualche simpatica singolarità, non sull’indiscusso intellettuale.
Così in “Preludio in sol” e in “Calumet” (entrambi del numero d’esordio, novembre 1946) e così in “Accadde… mille volte” ed in “Quattro fontane” (entrambi del secondo numero datato 15 novembre 1946), ma anche in “Muta d’accento non di pensiero Franz Alziator” (del 4 aprile 1948). Alziator-Marino compare invece, per essere… redarguito per un refuso tipografico, in una “Lettera al direttore” di Ernesto Concas (del 14 marzo 1948).
Mi soffermo brevemente su queste accidentali – posso definirle così? – apparizioni anche per dire del curioso contesto.
C’è, all’inizio, il racconto della «laboriosa gestazione della nostra rivista», scrive Marcello Serra il direttore. Spiega che «La prima idea sorge di norma al caffè, tra un crocchio di amici aduggiati dal tedioso pomeriggio domenicale. Il discorso cade naturalmente sugli inconvenienti della provincia, sull’isolamento, sulla necessità di più intensi scambi culturali col Continente… Francesco Alziator ribadisce: “io, quando feci la traversata del Mediterraneo Orientale sul Garibaldi (gita dopolavoristica durata otto giorni: £. 270,50, vitto e alloggio compresi!) io mandai dei pezzi sensazionali a diversi quotidiani che valutarono la mia firma come quella di Ojetti: ora, qui in provincia, sono costretto a collaborare alla “Sardegna Enigmistica” ed a scrivere di cani su “Diana Sarda”: mondo cane!”». Interloquiscono anche gli altri, Assetta e Maccioni, Cabitza e Pau, Cappa e Vittorino Fiori dall’intercalare sassarese… Interviene a sorpresa uno dei presenti, il più taciturno (Vittorio Di Siena): «Voi parlavate di una rivista: un editore che finanzi? Ebbene, io sono disposto». Il fuoco prende tutti: «“Cameriere, grida qualcuno, portate carta, penna e calamaio”. Si discute della copertina, di giustezze, di corpi, di inchieste, di interviste: una felicità tumultuosa si impossessa di tutti. La solennità del momento è confermata dal fatto che Alziator ha inforcato la caramella e Umberto Cardia, sempre castigatissimo e lindo nel suo linguaggio, questa volta si abbandona all’insolita voluttà di alcune parolacce»…
E al “Quattro Fontane”? Era buia via Alghero e via Alagon deserta, ignorata e anzi ignota, poi il miracolo delle luci della nuova sala cinematografica, e nell’atrio «di acqua smeraldina» ecco il comm. Giacomo Doglio con il figlio Ivan e «i gruppi della maldicenza. Il conte Spetia [direttore de L’Unione Sarda] con Franco Porru, Nino Fara, Vittorino Fiori da una parte. Dall’altra il conte e la contessa Fournier, Francesco Maramaldo della Minerva, Antonello Sequi, Guido Martis [prossimo direttore di Rai Sardegna], Aldo Assetta», in mezzo altri invitati all’inaugurazione: «Lilli Marchetti, le bionde e sognanti Sorcinelli, Paola Traverso e suo padre che tutti scambiano per suo marito, Maria Antonietta di San Sebastiano, Miss Patritia Mac Gordon» e altri patroni dell’UNRRA, Efisio Zanda capo di gabinetto dell’Alto Commissario e sua moglie Licia…«Francesco Alziator tiene a battesimo la nuova sala. Dai grandi pannelli del Villari, figure di ogni secolo sorridono verso il completo verde cupo dell’oratore. Alziator chiama in causa il Sindaco. L’avv. Crespellani ha un balzo, salta dalla sua poltrona, traversa con passo rapido la sala, il pubblico lo segue applaudendo… Crespellani indossa un bel doppio petto turbino. La sala è visibilmente soddisfatta che anche il primo Cittadino di Cagliari vesta bene… Qualche maligno dice che Alziator e Crespellani sono stati il primo avanspettacolo del “Quattro Fontane”. Infatti subito dopo le loro parole si è iniziato il film»…
Nel corsivo “Preludio in sol” – dove “sol” sta per “sole” – si gioca con le parole immaginando «di ardere in onore del Dio alcuni degli attribuiti, delle caratteristiche che distinguono i personaggi del nostro bel mondo cagliaritano». Primo caso in esame: «il monocolo di Francesco Alziator, suo temibile strumento di penetrazione pacifica col sesso gentile».
Fa il paio lo scherzo di “Calumet”: «Sono note le avventure dongiovannesche di Francesco Alziator. L’ultima si è svolta con la signora di un ufficiale della marina da guerra, abbondantemente titolato. Durante un tete-à-tete strettamente confidenziale, il marito li sorprende e indignato grida: - Uscite, Signore! -. E Francesco Alziator aggiustandosi il monocolo nell’orbita risponde: - I vostri antenati, Signore, avrebbero detto: Usciamo!».
Nel numero del 4 aprile 1948 esce un mezzo colonnino dal titolo “Muta d’accento non di pensiero Franz Alziator”. Il riferimento è a una conferenza annunciata nella programmazione degli Amici del libro con il titolo “L’espressionismo e il brutto dell’arte contemporanea” e, per quanto pareva dedursene come giudizio dell’oratore, all’apprezzamento previo, di condivisione, di molti appassionati all’arte riuniti alla galleria Della Maria. Se non che… «quando distinto ed elegante come sempre, Francesco Alziator dimostrò con prove irrefragabili chiamando in rinforzo gli illustri mani dei filosofi, letterati e storici di tutto il mondo antico e nuovo […] che l’espressionismo è arte, la sorpresa e lo sconcerto divennero generali.
«Eleganti signore ed austeri ascoltatori insorsero in difesa della “Gioconda” per scagionarla dall’accusa di “insulso minestrone”, la discussione si accese vivissima tra il pubblico. Tra gli altri l’avv. Crespellani ed il pittore Oppo … si alternarono al tavolino sotto la lampada.
«A conclusione Nicola valle ha cercato di conciliare, per ragioni di bottega, l’intellettualismo convenzionale e salottiero di certo pubblico con la sprizzante originalità non conformista del conferenziere. La sua voce acidula-ferruginosa ci ha dato l’impressione dell’acqua di Santa Lucia messa a temperare la gagliardia del vino del Campidano con un bicchiere di araldico Tokav».
E per Marino? Per Marino il rimbrotto del professor Ernesto Concas, il dantista numero uno di Cagliari: «Leggo infatti: “Nella notte del 29 febbraio lo spettacolo ecc.”. Dato che si parla dei bombardamenti su Cagliari del 1943 ho trasecolato e mi son chiesto se caso mai, senza che me ne fossi avvisato, avessero modificato il calendario rendendo bisestili tutti gli anni. Poiché ignoro che simile riforma sia stata attuata…». Pacata risposta del direttore: «Un chiarimento? Non possiamo che riconoscere il nostro errore attribuendolo alla solita linotipe, al solito svagato correttore di bozze, al solito diavoletto che aggrappandosi alla penna del giornalista la induce a terribili storture talvolta suscettibili di conseguenze insospettate». E pace fatta.
Uno pseudonimo con molte produzioni
Quali dunque i contributi di Francesco Alziator (e/o Renato Marino) ad Arcobaleno di Sera? Eccoli:
a firma propria (in un solo caso siglato “F.A.”):
15.11.1946 “Dal polo artico il ciclone in Sardegna” [rubrica Diorama delle attualità]
15.11.1946 “Parlano male di Gabriela Mistral” [rubrica Apollo in vetrina]
1.12.1946 “Premio Nobel: Ermanno andrà in società” [rubrica Apollo in vetrina]
16.5.1948 “La personale Martin e Guerrero al Partito Liberale
4.11.1948 “Dimenticata a Iglesias la biennale di Venezia” (siglata)
25.11.1948 “La città scomunicata à accolto i 150 congressisti: guelfi e ghibellini si scontrano ad Iglesias”
10.2.1949 “Ciusa – Floris – Sulas : tre pittori alla Passeggiata Coperta”
19-26.5.1949 “Oltre i ponti radio, la cultura ci collega all’Europa: il II convegno di studi internazionali”
a firma invece dell’alter ego (intera Renato Marino o abbreviata “r. mar.”):
15.2.1948 “La messa del vecchio re”
22.2.1948 “Umberto in Sardegna” (siglata)
29.2.1948 “Così Cagliari divenne un enorme cimitero”
7.3.1948 “La campana lancerà i desolati rintocchi della fame”
14.3.1948 “A Cagliari una metropolitana. Lavori di allaccio col tunnel Stampace-S.Benedetto”
28.3.1948 “E riportano il Cristo le dame velate di nero”
4.4.1948 “Materia di spionaggio l’uranio in Sardegna”
18.4.1948 “Non credettero i professori al miracolo della santa di gesso”
25.4.1948 “Tra la Scafa e Giorgino un villaggio di sirene”
2.5.1948 “Sant’Efisio non ci delude”
7.1.1949 “Sotto i ponti radio. Il mare non isolerà la Sardegna”
Soggiungo che, fra le annate repertoriate, compare (nel numero del 13 aprile 1948) una foto firmata da Francesco Alziator e ritraente sullo sfondo del largo Carlo Felice una nota figura popolana di Cagliari che sarebbe stata anche deliziosamente descritta, molti anni dopo, da Paolo De Magistris: “Saggio pitocco Pietro Evento”. Questo il toccante accompagnamento che potrebbe attribuirsi allo stesso Alziator: «Siamo alle ultime inquadrature del film della storia di un uomo, l’inizio fu come tanti. In una culla dove un piccolo bimbo roseo gridava la sua gioia di vivere si chinarono con un sorriso i parenti in festa. E il bambino crebbe, fu un ragazzo, la scuola in quella dei ragazzi che divengono grandi. Dietro un bancone di tipografia l’uomo della nostra storia unì caratteri a caratteri sul compositoio di metallo bianco e fermò sul piombo le parole degli altri. Per qualche anno fu la felicità, ma come sempre per assai poco. Vennero le stagioni senza sole e col cielo sempre più nuvolo. Il cuore e il corpo sentirono uno sconfinato freddo e l’uomo pensò che il vino scaldasse anche il cuore. Al tornare dei giorni buoni gli occhi dell’uomo non riconobbero più il sole che e sotto il velo del pianto che nessuno aveva rasciugato pensò che non ci fosse più il sereno. L’uomo non ritrovò più parole sensate e gli altri uomini lo derisero, e nella crudeltà di chi non comprende il dolore che non è suo pensarono che l’uomo fosse un pagliaccio. Infine si chiuse dietro le spalle dell’uomo la porta di una casa di mendicità, porto dai moli infranti per carene sfondate. Sull’ultimo tempo della storia di un uomo sale il mixage di una canzone in voga e un vociare di ragazzi che gridano un nome. Quello dell’uomo che si chiama Evento».
Intorno ad un mirato repertorio
Nel suo meritorio lavoro di schedatura dei lavori di Francesco Alziator (e su Francesco Alziator) destinato a pubblicazione nel cofanetto Vita e opere di Francesco Alziator – Antologia di brani tratti dalle opere di Francesco Alziator, Cagliari, Edizioni Castello, 1986, il professor Luigi Spanu – insigne spagnolista e amico-allievo del Nostro (che ho avuto il piacere di sentire alcuni giorni fa al telefono, il più soltanto per un saluto, io rispettoso dei suoi 92 anni!) – ha attribuito in blocco ad Alziator i testi pubblicati in Arcobaleno di Sera nel 1948 e 1949, senza valutare la circostanza della duplice firma. E’ possibile e forse probabile che i testi assunti nel repertorio siano stati a lui presentati dalla signora Dolores Ghiani, indimenticata generosa vedova di Francesco Alziator, in cartelle da cui forse non emergeva l’opzione “Marino”.
Il regesto che ho compilato e sto qui esponendo va ad integrazione e/o rettifica della schedatura realizzata dal professor Spanu. In più rispetto a quelli che io ho sopra citato (talvolta correggendo le date di pubblicazione che per refuso tipografico risultano sbagliate, per esempio nella confusione delle attribuzioni fra 1946, 1948 e 1949) egli menziona “Luna Park in periferia” (11 aprile 1948) e “Iglesias non è Sardegna” (28 ottobre 1948); per parte mia aggiungo “Premio Nobel: Ermanno, ecc.” del 1946, “La personale ecc.” e “La città scomunicata ecc.” del 1948, “Ciusa-Floris-Sulas ecc.” e “Oltre i ponti radio ecc.” del 1949.
Il veleno di un critico
Merita infine ricordare un ultimo pezzo, pubblicato il 17 febbraio 1949 dal titolo “Alziator-Rilke in edizione di lusso”, a firma di Kriss (nomignolo che già sola pare anticipare la sua opera: si tratta infatti, notoriamente, di un coltello malese pronto ad ogni crudeltà..). L’articolo severo, espressione di un’ironia severa, o forse di cattiveria pura e semplice servita con bella scrittura, fa riferimento ad una… abusiva appropriazione del grande poeta e scrittore austro-boemo da parte del Nostro cagliaritano che di tanto avrebbe fatto mostra plateale una conferenza agli Amici del libro. Eccone i particolari e larga parte del testo.
Accennato allo studio di Vincenzo Errante che precede la sua traduzione dei Quaderni di Malte Laurids Brigge e da esso recuperando il concetto della “presa” assoluta che la poetica di Rilke può esercitare negli spiriti affini, tanto da non potervi mai più rinunciare, e tanto più… godendo, gli “iniziati”, del suono delle due sillabe Ril-ke e dei misteriosi riversamenti nel subcosciente umano delle atmosfere di Verlaine, Mallarmé, Valery, Gide e Proust…, arriva Kriss ad impallinare Alziator conferenziere!
Data la premessa, egli scrive, «non sarà incomprensibile e sorprendente per noi il furioso ed esclusivista amore che Francesco Alziator ha concepito per l’autore delle Elegie di Duino, fin dal suo primo provvidenziale incontro con quel “poet maudit”». E subito aggiunge per evitare equivoci: «Incontro favoloso che aveva tutti i crismi dell’iniziazione, dopo la quale Francesco Alziator si è autoproclamato sacerdote infallibile della nuova religione rilkiana per Cagliari e circondario. E come tutti i neofiti divenuti apostoli egli ha svolto tra coloro che potevano intenderlo una intensa e persuasiva opera di proselitismo, che ha iniziato alla nuova setta esoterica una schiera aristocratica di creature, prevalentemente femminili, ammaliate di “angst-neurose”, ossia di neurosi d’angoscia.
«Tutti questi iniziati si son dati dunque convegno domenica agli Amici del Libro per ascoltare religiosamente il Maestro, che in abito scuro e in cravatta pallida come una colomba al crepuscolo ha tenuto una conversazione sulle Elegie di Duino.
«Più che una conversazione, un rito, celebrato con raffinata eleganza e con dosata regia da quel consumato attore che è Francesco Alziator. E questi non ha omesso o trascurato alcun particolare per creare un clima adeguato, per suscitare un effetto magico e suggestivo.
«Anche le luci hanno avuto una parte notevole nel suo gioco: il suo volto stanco e crepuscolare immerso in una penombra da golfo mistico dal paralume e le due mani pallide e vibratili come ninfee illuminate creavano un contrasto efficace ed evocativo, che s’accordava sapientemente con le tonalità della voce. Quella sua voce duttilissima che con abile trasposizione di registri passava dal “la bemolle” voluttuoso al “fa naturale” grave ed interiore come se affiorasse dal piloro.
«Con questa Circe degli oratori, questo Hammond dei conferenzieri ha affascinato il suo pubblico innanzi tutto con le sue risorse vocali; ma lo ha posseduto anche con i suoi scintillanti paradossi, con la stanchezza mortale che corrugava la sua bella fronte in ombra, col sorriso ermetico che scopriva a tratti i suoi bianchissimi denti, con le mani che si elevavano armoniosamente e ricadevano affrante come dopo aver liberato il suo ipotetico mantello dalla polvere depostavi da tutte le strade del mondo.
«E per completare questa edizione di lusso di se stesso Francesco Alziator ha aperto con raffinata “nonchalance” la sua vetrina poliglotta, abbandonandosi doviziosamente e ghiottamente alle citazioni nelle più diverse lingue europee. E sembrava dire maliziosamente a quei pochissimi ascoltatori che lo conoscono a fondo, come un “croupier” di Montecarlo: Faites votre jeux, signori, che io faccio il mio! Poi lentamente, senza che il pubblico ne avesse la percezione esatta, si è verificata un’altra miracolosa trasposizione suggerita ed evocata dalla maestria dialettica e registica dell’oratore. Come in una dissolvenza incrociata per cui due sequenze cinematografiche si sovrappongono e quasi si identificano, l’immagine di Francesco Alziator, con una graduale carrellata ha soverchiato quella di Rainer Maria Rilke, impostandosi successivamente sullo schermo con più decisa autorità ed invadenza».
E ancora, direi con ferocia: «Il binomio Rilke-Alziator per questa diabolica dissolvenza si è così trasformato in un monomio assoluto e categorico e gli ascoltatori, attanagliati dal paradossale inganno, hanno attribuito alla conferenza di Francesco Alziator un valore autobiografico.
«Come se lui avesse scritto le Elegie di Duino, lui il Libro d’ore e i Quaderni. E d’altronde ad incoraggiare questa… illusione concorreva quel richiamo costante, nella poesia rilkiana, a quei tre motivi del giocoliere, dell’eroe e dell’angelo nei quali i più avveduti hanno riconosciuto senza sforzo tre aspetti biografici dell’oratore.
«L’incantesimo si è protratto ancora per qualche tempo: anzi si è, come dire, perfezionato quando Alziator ha letto con voce consustanziale la sua traduzione della Terza elegia duinese. Ma quando Alziator ha sospirato gli ultimi versi, quelli cioè nei quali Rilke, condannando l’amore per il desiderio che ha l’amante di possedere la donna amata, ammonisce una fanciulla affinché trattenga il suo amante dal possesso, l’incanto nella sala si è spezzato. Ed una ragazza, stringendosi dispotica al suo fidanzato, gli ha detto: - Bada, amore, non voglio che legga i versi di questo Rilke!
«E questa protesta tacitamente è stata condivisa da molti altri ascoltatori d’ambo i sessi. I quali, ormai smagati, hanno guardato il conferenziere con una certa diffidenza, preoccupati dei suoi angeli muscolari e ancor più dei suoi angeli in crisi. Questi ascoltatori, poi, resi cauti, non hanno accolto l’invito di Alziator che li esortava a cercare la cifra di Rilke e, col metodo della non collaborazione, non lo hanno aiutato a trovare un misterioso “dasein” (“dasain”) che sostituiva questa settimana il “logos” dell’altra domenica.
Tuttavia, nonostante questi inevitabili dissensi, il folto pubblico ha applaudito calorosamente alla fine Francesco Alziator autore, attore e regista di grande talento. Anche il prof. Desogus si è vivamente congratulato con l’oratore dicendogli: Caro professor Rilke, bene, molto bene. Questo suo Alziator è un grande poeta, un caso interessante. Vorrei esaminarlo più attentamente. Me lo mandi, in clinica, per favore, caro Rilke!
«Dicono che a questa richiesta del professore, Alziator abbia fatto borghesemente un gesto di scongiuro».
Vittorio Desogus era un noto psichiatra in esercizio a Cagliari.
***
Scrivo queste note mentre continuano a giungere, drammatiche, le notizie da Kiev e dalla Ucraina tutta. Sia maledetto chi ha scatenato l’inferno ed ha provocato la morte e la sofferenza di tanti innocenti. (Ed ancora una volta abbiamo la plateale dimostrazione della nullità liberale degli esponenti della destra italiana, pagana e imbrogliona, da cui insistenti sono venuti, negli anni, gli accarezzamenti ad un pericoloso dittatore nato).
Fonte: Gianfranco Murtas
Autore:
Gianfranco Murtas
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