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Franco Meloni

I martiri di Palabanda, come i martiri cristiani: il loro sangue non sarà stato versato inutilmente

Riflessioni sul libro di Andrea Pubusa “PALABANDA, La rivolta del 1812. Fatti e protagonisti di un movimento che ha scosso la Sardegna

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Riflessioni sul libro di Andrea Pubusa “PALABANDA, La rivolta del 1812. Fatti e protagonisti di un movimento che ha scosso la Sardegna”

di Franco Meloni

Sui fatti di Palabanda, al termine di una approfondita disamina sul piano storico, su quello giuridico e su quello politico, alla luce delle informazioni a tutt’oggi disponibili, Andrea Pubusa arriva a conclusioni precise e inequivocabili:

“Palabanda non fu congiura, ma non fu neppure rivolta. Palabanda, piuttosto che rivolta o congiura, fu repressione. Un momento in cui il governo sabaudo – temendo il peggio o presagendolo – decise di porre fine agli indugi e perseguire coloro che credeva capaci di metterne in pericolo l’egemonia. Fu il colpo di coda della Corona, volto a far fuori fisicamente gli esponenti della Sarda Rivoluzione, quelli di loro ancora in vita o scampati alle precedenti repressioni. Fu un atto voluto, meditato e preordinato, che determinò la decapitazione del movimento democratico sardo”.

Dunque quasi una sentenza che se da una parte mette fine alle supposizioni di quanti intendevano ridurre i fatti a semplice congiura e a intrighi di corte, dall’altra nega agli stessi il carattere di rivolta, perché dalle carte non risulta che nella notte tra il 30 e il 31 ottobre de s’annuì doxi, a Cagliari ci fu alcuna insurrezione. “Si può capire – argomenta Pubusa – che quanti sostengono la tesi della rivolta lo facciano in polemica con chi parla di congiura per dare alla Sardegna una maggiore dignità storica”, ma l’evidenza dei fatti cancella tale interpretazione.

Ma allora si potrebbe concludere che Andrea Pubusa tenda a ridurre il tutto come insignificante per la storia della Sardegna. Neppure per idea, anzi, al contrario! Subentra qui la proiezione politica dei fatti storici sulle prospettive future. I protagonisti di quelle vicende, parliamo dei patrioti e non certo dei loro avversari, vengono da più parti definiti “martiri”, più specificamente “martiri della libertà” forse per distinguerli da un’altra tipologia di “martiri”, i “martiri della fede”; parlo precisamente dei “martiri cristiani”. Tra queste due categorie vi sono tratti comuni. Proviamo ad approfondire.

- “(Martirio nel cristianesimo) Il martirio secondo il cristianesimo è la condizione che il seguace (martire, dal greco μάρτυς, cioè «testimone») subisce per difendere la propria fede in Cristo o per difendere la vita di altri cristiani. Nella storia della chiesa primitiva i martiri cristiani venivano torturati o uccisi tramite lapidazione, crocifissione e morte sul rogo. ( …) Il periodo del cristianesimo primitivo precedente al regno di Costantino viene considerato “l’era dei martiri”.

- (Martirio laico) I martiri di Palabanda erano precisamente persone che per difendere la propria fede nella libertà subirono torture, uccisioni tramite impiccagione. Il periodo della Sarda rivoluzione (un’“era dei martiri”) precede e in certo senso prepara, la costruzione di una società democratica e comunque contribuisce fortemente a costruire un “sentimento nazionale”, che sta alla base del riconoscimento se non dell’indipendenza almeno dell’autonomia speciale della Sardegna.

E’ un’accostamento azzardato? Ritengo di no, anche perché in argomento mi sento in sintonia con Andrea Pubusa: dal suo operare nella ricostruzione della latitanza di Salvatore Cadeddu, nei luoghi ove si svolse: “(…) mi ci recai con un gruppo di democratici cagliaritani nel 2016, compiendo una sorta di pellegrinaggio laico volto a ricordare la figura del grande martire per la libertà che, da queste parti, aveva trovato rifugio (…)”; e, dalle bellissime conclusioni del suo libro, che voglio qui riportare integralmente.

“Palabanda, oggi come ieri, rappresenta un sogno di libertà, una rivolta culturale permanente, capace ancora di ispirare e dare un indirizzo. Inutile chiedersi se Angioy, Cilocco, Cadeddu e tutti gli altri fossero indipendentisti, monarchici, repubblicani o altro. Basti sapere che ognuno di loro, per quanto potè, e talora con travagli e incertezze, contribuì a costruire un sentimento nazionale che gli spagnoli avevano letteralmente distrutto e i piemontesi sanguinosamente contrastato. L’importanza dell’azione di uomini di tal fatta non risiede tanto nell’avere portato o meno a compimento l’idea rivoluzionaria, quanto aver cosparso il campo di semi di libertà destinati ad attecchire e ad attraversare l’Ottocento e il Novecento, consegnando a noi una visione dell’Isola finalmente libera”.

Si intravedono benissimo le conseguenze di tali conclusioni e il messaggio che ne scaturisce per l’impegno politico presente e futuro, per noi e per i nostri compagni di strada che speriamo sempre più numerosi.

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*A. Pubusa, PALABANDA, La rivolta del 1812. Fatti e protagonisti di un movimento che ha scosso la Sardegna. Ediz. Arkadia, maggio 2019.

Fonte: Aladinpensiero online
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