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Gianfranco Murtas

In mortem di Eugenio Lazzari, professore-matematico e calciatore, rotariano e Venerabile massone

di Gianfranco Murtas

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Ci è rimbalzata improvvisa, e dolorosa, la notizia della morte di Eugenio Lazzari, pisano tutto cagliaritano classe 1925, nella nostra città certamente personalità fra le maggiori, per la complessità (e varietà e il raggio largo, anche internazionale) dei campi in cui si impegnò lungo la sua intensissima vita: dall’associazionismo allo sport, dalla professione all’università, fra docenza e ricerca. Nell’ottobre 2009 ci dividemmo il lavoro, presso la biblioteca comunale di Cagliari (in via Newton), presentando il tema “Storia della Massoneria in Italia ed in Sardegna”. Ne furono promotori l’IUS 3 (Istituto Universitario Sardo per le tre età), l’Archivio storico-Biblioteca Comunale e la Circoscrizione n. 5 del Comune di Cagliari.

Tre anni fa registrai con lui una lunga conversazione – racconto di una vita – e ne pubblicai l’esito nel felice sito di Fondazione Sardinia. Ecco qui di seguito riproposto, quel documento, in omaggio alla sua memoria. Dovrei soltanto aggiungere, che al tanto da lui pubblicato presso varie editrici, e di cui nel testo a seguire è fatto l’elenco, l’altro, più recente, da lui prodotto e che cortesemente sempre provvide a recapitarmi con franco spirito d’amicizia. Mi riferisco a “C’era una volta… il simbolismo nelle fiabe” con sottotitolo “Un percorso iniziatico attraverso il meraviglioso mondo dei racconti di fate” (coautrice Daniela Fadda) e “L’acqua nelle varie culture e nella leggenda. Simbolismi e tradizioni popolari in Sardegna” (con la collaborazione dell’ottimo Nicola Castangia per le fotografie dei siti archeologici), ancora fresco di stampa per i tipi delle Edizioni della Torre. 


Scrittore per diletto

Novantuno anni, quasi novantadue, e un libro, un altro, in uscita, anzi freschissimo di stampa per i tipi della Bastogilibri (collana Studi interdisciplinari, «Per insegnanti, genitori e ragazzi»). Stavolta sulla matematica vedica, dopo quelli portanti titoli che volano fra la musica e la scienza, la storia (sarda ed universale) e la cabala od il misterico, forse per trovare un filo rosso che tutto presenti in un’armonia ancora, dai più, non colta: “L’esoterismo dei numeri” e “I numeri…questi simpaticoni”, “L’Acqua nella storia e nella cultura quale fonte di ispirazione per narratori e poeti” e “Leonardo Da Vinci: precursore della scienza idraulica”, “L’ideologia massonica nella vita e nella musica di Mozart” e “I Templari in Sardegna”, più di recente “Da Convento Benedettino a casa Massonica – la storia di un palazzo di Cagliari”.

Eugenio Lazzari è così, un ingegnere, anzi un ingegnere-professore dal “cuore di carne”, come direbbe la Bibbia nel libro del profeta Ezechiele: un umanista che la vita l’ha vissuta e la vive in tutte le sue possibili declinazioni, attraversando ogni coordinata artistica e sportiva, scientifica e spirituale, sposando la curiosità alla cultura, le domande alla intelligenza, tutto al buonumore, al pensiero positivo, al gusto della famiglia e della conversazione. E se vuoi sfogliare anche i libri sulla storia, campionato dopo campionato, del Cagliari calcio che ormai va diritto, pur fra alti e bassi, verso il suo primo onorato secolo di vita, te lo ritrovi anche lì, l’accademico prossimo venturo (degli anni ’30-40) nelle pagine compilative di Bruno Corda e Valerio Vargiu, o magari – ultime in ordine di uscita – di Corrado Delunas, bellissime ed evocative, fra classifiche, commenti e più ancora fotografie seppiate. 

Personalità eclettica, impegnata a fondo nei vari campi di studio e lavoro, certamente in primis nella sua facoltà complessa di Ingegneria – professore di idraulica –, ma anche nelle attività rotariane, delle quali pure è stato una delle anime più solerti, e così della Massoneria, nelle cui gerarchie di governo e d’onore ha pure fissato meriti non da poco.

Con lui mi è capitato, anni fa, di condividere una serata alla Biblioteca comunale di Cagliari – al tempo ancora in via Newton – proprio per parlare di Massoneria, lui sul piano soprattutto filosofico, io su quello storico applicato alla Sardegna dell’Otto-Novecento. Mi sono poi letto e riletto alcuni dei suoi lavori di più stretto interesse personale – in testa a tutti quello ricostruttivo delle complesse vicende del cagliaritano palazzo Sanjust, nei suoi molti prima e nel suo dopo, che è poi il presente nostro, in cui esso si presenta alla città puntuale, a cadenza annua, come teatro museale e convegnistico delle logge giustinianee, all’appuntamento della manifestazione di Monumenti Aperti.  

Ma forse l’opera che di più mi ha conquistato, degli scritti di Eugenio Lazzari, è uno fuori commercio, per statuto rimasto nel range dei parenti e, al massimo, degli amici: “La storia della mia Famiglia, 1870-2011”. Una ricostruzione genealogica ricchissima di fotografie.


Come i Berlinguer e i Siglienti

Questo bel lavoro di Lazzari mi riporta, fra i molti del genere che mi è capitato di scorrere, a quel “Ai Nipoti” che Ines Berlinguer produsse – anche lei per lo stretto ambito familiare e amicale – nella sua tarda età per aiutare le più giovani generazioni dei Berlinguer e dei Siglienti a far memoria degli avi, delle loro imprese ora nel civile e perfino politico, ora nel più domestico recinto delle relazioni interfamiliari, tanto più, essi, nella Sassari di passaggio del secolo, fra XIX e XX.

Per applicarsi ad un’opera così bisogna avere davvero un “cuore di carne”, una sensibilità spiccata alla morale e alla storia, perché nel ripasso generazionale i riflettori che si accendono per illuminare personalità ed eventi sono quelli che rimandano alla vita come missione, come dovere da compiere per sviluppare e valorizzare socialmente i talenti, le qualità di ciascuno. Di più: come raccoglitori dei risultati delle altrui fatiche, e come seminatori di spunti per l’altrui prossima felicità. «Fa parte proprio della natura umana chiedersi quali siano le nostre radici, o in quali parti del mondo abbiano vissuto i nostri antenati, o chi siano o dove vivano i nostri parenti, o più semplicemnete chi siano quelle persone che si trovano fotografate nell’album di famiglia. Allora perché lasciare passare il tempo senza dare risposta a queste domande? Più generazioni crescono, vivono e muoiono, senza delle risposte, più difficile sarà andarle a ricercare», scrive Lazzari nelle conclusioni del suo libro. 

E subito aggiunge, per chiarezza definitiva: «Forse, con questo mio piccolo impegno, ripondendo a queste domande, ho reso un po’più semplice, per i miei figli, i miei nipoti e pronipoti, sapere chi, cosa e come eravamo, come abbiamo vissuto e cosa abbiamo amato… Posso in effetti dire di aver cercato di creare un ricordo tangibile dei nostri antenati e parenti, ma come posso essere certo che la mia ricerca duri e continui nel tempo? Poiché, come scrive il Terzani, “La fine è il mio inizio”, se qualcuno dei giovani miei parenti decidesse di portare avanti questo lavoro per descrivere cosa ha riservato loro il futuro, ritengo giusto concludere ricordando a questo giovane che “questa è la fine, ma è anche l’inizio di una storia che è la mia vita e di cui mi piacerebbe ancora parlare con te, giovane, per vedere insieme se, tutto sommato, ne è valsa la pena”».

Lui, il patriarca, ha sposato oltre cinquant’anni fa una Murtas – Elena cagliaritana – e da lei ha avuto due figli: Maura ed Andrea, medico padiatra la prima, ingegnere civile (e pallavolista, campione poi alleanatore) il secondo in forza alla Regione. Da Maura e Sergio Codipietro sono venuti tre nipoti: Claudia, Cinzia e Luca. Da Andrea e la sua compagna Daniela Fadda l’ultimo nato: Marco. Nipoti e pronipoti anche dal filone della sorella Maria Luisa, sposatasi con Enrico Devoto. 


L’intervista con il patriarca: ottanta, novant’anni fa…

La comunanza di molti interessi facilita la conversazione cui Eugenio Lazzari mi ammette per esplorare, per il presente ed a futura memoria, l’intensità e la varietà delle sue esperienze, e di queste combinate, nell’accademia come nello sport o nell’associazionismo, alla esperienza di vita di molti altri nella nostra Cagliari e nella nostra Sardegna, durante e dopo la dittatura, dopo la fine della guerra e negli anni ottimistici della ricostruzione e dello sviluppo, anche nel riflusso degli ultimi tempi.

Caro Eugenio, partiamo da te, da quel tanto che sei stato e sei, uomo di università e di sport, di club e di scrittura, di varia socialità. Un flash sulla tua infanzia, in una Cagliari remota, proprio da fotografia seppiata, credo possa aiutare ad inquadrare il protagonista di questa nostra conversazione. 

Sono sardo, cagliaritano, anche se nato a Pisa e anche se i miei avi sono stati tutti continentali. Chiarisco: mio padre, ingegnere, fu trasferito in Sardegna nel 1925 – lo stesso anno in cui io sono nato – per lavorare con l’impresa Ansoldi di Roma. I primi anni di vita li ho trascorsi a Pisa: solo d’estate io e mia madre venivamo a trovarlo per fare i bagni al Lido di Cagliari. Ci trasferimmo definitivamente solo nel 1931, dunque in tempo per frequentare la prima elementare, ci trasferimmo fissi anche noi, a Cagliari. Mi iscrissi alla scuola intitolata al poeta Sebastiano Satta, che aveva ingressi, allora come oggi, nella piazza del Carmine ma anche nella via Crispi e nella via Angioy. Le cinque classi del ginnasio e le tre del liceo le frequentai al Dettori, ingresso nella omonima piazzetta. Il busto di Dante vigilava. In verità io avrei voluto non frequentare il liceo classico ma, dopo il ginnasio, iscrivermi al Conservatorio di musica perché desideravo diventare direttore d’orchesta. Mio padre si impose: “Io sono ingegnere, i tuoi tre zii sono tutti ingegneri e tu devi diventare ingegnere!!”. E mi fece fare il ginnasio e liceo classico, anziché lo scientifico, perché affermava che lo studio del latino e greco mi avrebbe dato, oltre che una maggior cultura, anche una notevole capacità nel ragionamento matematico. Allora pensavo che fossero stupidaggini, ma mi dovetti a posteriori ricredere perché, durante l’università, ho notato che, pur avendo fatto fatica i primi due anni, in quanto non ero abbastanza pronto proprio in matematica, nel seguito ho raggiunto e sorpassato velocemente i compagni di corso che provenivano dallo scientifico. Dovetti obbedire, e fu la mia fortuna.

E la musica?

Fortunatamente ottenni da mia madre,anche lei molto appassionata di musica e ottima pianista, che, in parallelo al liceo, la famiglia mi pagasse le lezioni private di pianoforte con un professore “tutto mio”, sino a quando facessi il diploma, il che infatti accadde abbastanza presto. Però ad orecchiare la musica e a strimpellare il pianoforte avevo cominciato già da piccolino, e aggiungo che ho continuato a studiare musica anche in età adulta, intendo dire anche negli anni degli studi universitari che svolsi a Pisa.

Ricordi di compagni e professori?

Gli insegnanti che ricordo del ginnasio e del liceo, con cui ho sempre avuto un ottimo rapporto anche in seguito, cioè dopo l’esame di maturità, sono un certo professor Inguanti, che era un prete evangelico, che spiegava Dante in maniera meravigliosa tanto che ancora ce l’ho nella mia memoria, i professori Sebastiano Dessanay – che negli anni della repubblica e dellìautonomia regionale fu un importante esponente politico prima comunista poi socialista – e Rodolfo Maran, titolare della cattedra di storia e filosofia, il professor Danilo Murgia di latino e greco che mi aiutava moltissimo nell’apprendere queste due materie per me, soprattutto all’inizio, piuttosto ostiche. Un ricordo speciale ho della professoressa Stagno di matematica, tanto brava che riuscì a farmi amare questa materia che, visto che sono poi diventato ingegnere e professore della facoltà di Ingegneria, dovevo per forza farmi… alleata.

Tra i compagni di classe o sezione con i quali ci siamo sempre incontrati anche dopo, nelle altre stagioni di vita, dovrei citare Sergio Muntoni, divenuto medico e professore a Medicina, purtroppo deceduto di recente, Paolo Villasanta, divenuto sacerdote salesiano e anche parroco a San Paolo, in piazza Giovanni, a Cagliari. E ancora Giorgio Cugusi, Marcello Marci che è stato giornalista alla redazione RAI di Cagliari, e ancora Mario Brozzu, divenuto docente di scienze delle costruzioni nella mia stessa facoltà di Ingegneria… Ma davvero potrei allungare l’elenco. Per quanto possibile con tutti ho cercato di mantenere i rapporti.

Gli anni ’30 erano gli anni cosiddetti del consenso popolare al regime di dittatura. Un po’ di marzialità l’avrai vissuta anche tu, nella protezione soffocante e illiberale del fascismo. Cosa te ne è rimasto?

Mah!... Nonostante mio padre fosse da sempre un antifascista, estraneo alla vita del regime – seppi più tardi che mio nonno Eugenio faceva parte della Massoneria carbonara di Pisa –, io ho seguito tranquillamente, nel pacifico conformismo cagliaritano, tutta la trafila che si prospettava a bambini, ragazzi e giovani, età dopo età: balilla, avanguardista marinaro, premilitare… In quegli anni era podestà di Cagliari l’avvocato Endrich, era arcivescovo monsignor Piovella, era rettore dell’università il professor Brotzu e prima di lui il professor Mario Aresu – autentiche autorità scientifiche – , L’Unione Sarda entrava in tutte le case ed era organo ufficiale del Partito Fascista, con i direttori Raffaele Contu e Vitale Cao di San Marco. L’intero sistema scolastico viveva la mistica del regime, il culto della personalità del duce… La conciliazione del 1929 aveva avvicinato il trono e l’altare, la politica e la Chiesa, anche nella formazione dei ragazzi, nella scuola. Ho vissuto quelle atmosfere anche nel Dettori e nella vita di tutti i giorni. 

Facciamo un flashback familiare. Per capire come i Lazzari continentali sono diventati Lazzari sardi.

Posso tentarci. La mia famiglia, sia nel filone paterno che in quello materno, è di remote origini emiliane, pur se questo o quel personaggio dell’albero genealogico ebbe residenze provvisorie anche altrove, perfino in Sicilia e anche in Puglia, come mio nonno mio omonimo, tant’è che mio padre nacque nel Foggiano. La ricostruzione dell’albero familiare è stato, per me, faticoso ma anche gustoso. Ho trovato storie incredibili, o forse credibilissime, storie del “tempo che fu”: di matrimoni impediti per differenze sociali, di fuitine non consumate e di nozze imposte, di tradimenti più o meno giovanili, di famiglie numerose… Siamo nel tempo di passaggio dal ducato di Parma al regno d’Italia, nel tempo del consolidamento poi dello stato unitario, nel tempo degli uffici pubblici che erano vissuti come l’ossatura del nuovo stato liberale e monarchico… I personaggi più antichi, nella mia ricostruzione, poco dopo la sconfitta di Napoleone, erano lui un conte colonnello delle guardie ducali di Maria Luigia di Parma, lei una dama di compagnia ricamatrice e guardarobiera della stessa duchessa: da loro, non consacrati dalle nozze, venne una tale Giuseppina Pagani Scotti che sposò un Enrico Lazzari, piuttosto amante della vita mondana, con cui fece cinque figli, uno dei quali – mio nonno, appunto Eugenio – era invece il contrario del padre, regolarissimo e disciplinatissimo impiegato dell’agenzia delle entrate a Parma, poi a Ferrara, a Messina, a Cerignola, infine a Pisa. Eccoci arrivati alla Pisa anche della mia nascita. Mio nonno sposò una tale Cornelia Guidi, che per il suo matrimonio, non gradito in casa, fu diseredata, ma dette amore alla famiglia che si allietò di ben undici figli, fra i quali mio padre Howsky, classe 1897. I nomi dei suoi fratelli e delle sue sorelle erano, in parte, originali: Esther, Irnes, Jadi, Thea, Waldeck ecc. Undici fratelli voleva dire che fra il maggiore e il minore correvano quasi vent’anni di differenza… Naturalmente non mi trattengo sulle singole figure, ognuna con una sua caratteristica. Faccio eccezione per Giuseppina Lazzari Guidi: era classe 1886, si laureò in medicina e chirurgia con il massimo dei voti, fu la prima laureata in medicina e chirurgia in Toscana, credo. Era il 1910 lavorò all’ospedale di Pisa, da tenente medico fu militarizzata nella prima guerra mondiale, fu chirurga di fama fin oltre la seconda guerra mondiale. Era medico anche suo marito, Guido Colombini, primario e anche lui docente universitario.

Una bella carrellata, ho scorso anch’io il libro: la microstoria d’una famiglia italiana nella macrostoria dell’Italia, un po’ come nel film di Ettore Scola “La famiglia”, quello interpretato da Vittorio Gassman, che però si sviluppa soltanto lungo il Novecento. Ma adesso arriviamo a tuo padre e tua madre.

Mio padre Howsky si laureò, come ho detto, in ingegneria dopo aver partecipato alla grande guerra sul fronte dell’Isonzo, nel Goriziano, come suttufficiale e poi ufficiale artigliere. Fu ferito, tornò poi in prima linea nel Veneto, fra Venezia e Treviso. Fece ospedale anche dopo la fine dei combattimenti. Ebbe la croce di guerra e la medaglia di bronzo. Riprese e completò gli studi, a Pisa, nel 1922. L’anno successivo, 25enne, venne eletto consigliere comunale proprio a Pisa. E intanto cominciò a lavorare nell’Ufficio tecnico delle Finanze di Trieste: doveva accertare i danni di guerra a Tolmino e Caporetto. Dopo anni di precariatato nella pubblica amministrazione, per dare anche maggiore stabilità alla famiglia che voleva formare, accettò poi l’assunzione propostagli dall’impresa Carlo Ansoldi di Roma che aveva suoi cantieri in Sardegna. Si trattava di costruzioni militari costiere sia nel capo di sopra, fra La Maddalena e Caprera, che nel Cagliaritano, fra Is Mortorius e Pula. In coincidenza con questa missione professionale nell’Isola si sposò. Mia madre – Lina Vettori – era pisana, diplomata maestra senza però esercitare, invece si dedicò allo studio del pianoforte, era molto brava, mi ha trasmesso l’amore alla musica. Le nozze furono celebrate nella primavera 1925. Giusto dopo nove mesi nacqui io.

E dunque come funzionò, fra Sardegna e Toscana?

Lui continuò a lavorare in Sardegna, in varie altre zone dell’Isola. Nei primi anni ’30 si interessò dello stabilimento della Manifattura tabacchi, consolidò la cupola della chiesa di Sant’Antonio nella via Manno a Cagliari, lavorò a Vallermosa e a Decimoputzu dove fece varie sistemazioni idrauliche e di bonifica, lavorò a Piscina Longa, a Villasor, nel Rio Girasole e nel Rio Foddeddu di Tortolì. Poi ancora – siamo ormai però nella seconda metà degli anni ’30 – diresse qualche cantiere sul colle di Sant’Ignazio a Calamosca – erano appalti del Genio Marina – e soprattutto a Carbonia, la città che andava sorgendo allora a supporto della politica autarchica del regime. A Carbonia rimase fino al 1942, anche se con qualche pausa. Perché nel 1938 fu richiamato sotto le armi, per un aggiornamento nel Genio Militare a Palermo. Fu ancora richiamato nel 1940, all’entrata in guerra dell’Italia, ma poi restituito all’impresa Ansoldi data l’importanza delle opere a cui attendeva. Nel 1942 fu lui a dirigere tutte i lavori del Genio Militare ed aeronautico relativo alle postazioni antiaeree e ai rifugi antischegge di Elmas e Decomomanu. Nel 1942 lavorò ai rifugi antiaerei nelle carceri di Buoncammino e altrove. Certo a ripensare a tutto questo, tappa dopo tappa, la mente va da sola alla storia sociale, economica e politica del tempo, fra pace e guerra.

E come finì?

Nel 1944 l’impresa lo assegnò a cantieri importanti che aveva nel Lazio. Tornò, insieme con mia madre, in Sardegna – terra che ormai aveva eletto a sua patria di vita non soltanto professionale ma anche morale ed affettiva – nel 1945. Lavorò in gran parte, sempre come dirigente ingegnere della Ansoldi, alla ricostruzione di Cagliari devastata dai bombardamenti. Chiusa la società Ansoldi per la morte del titolare, fu assunto dall’allora nascente Regione Sarda, e , per la sua grande esperienza, chiamato a dirigere i servizi di edilizia scolastica presso l’assessorato ai LL.PP, dove concluse la sua carriera nel 1953. Collaborò anche con il Centro Regionale Antinsetti e ancora come collaudatore. Morì nel 1966, è sepolto al monumentale di Bonaria, nella tomba di famiglia, dove riposa anche mia madre, deceduta nel 1975.

Lo sport, avventura e disciplina

So che una delle ribalte pubbliche in cui Eugenio Lazzari ha potuto, in anni lontani, affermare il suo nome, prima ancora delle performance professionali e accademiche che lo hanno segnalato in quell’ambiente di qualifiche super, è stata lo sport. Mi sono sfogliato alcuni dei libri della mia biblioteca che rifanno la storia del Cagliari calcio. Vi ho trovato almeno una decina di fotografie, da solo o in compagnia della squadra, di Eugenio Lazzari diciotto-ventenne o poco più: lì in maglietta e calzoncini – lo scudetto dei quattro mori nel centro e la scritta Cagliari a stampatello sotto – questi nella stagione del 1946-47, la conclusiva della carriera di dilettante – con Farris e Dessì, Grandesso, Pau e Corrias, Masala, Cocco e Siddi, i due Atzeni e Piscedda. Ho scoperto la rosa dei giocatori, già allora in prima divisione regionale nella stagione 1944-45 (torneo “patrioti” ed amichevoli) e in quella successiva: Lazzari portiere con Loi e con Sulis, e con cinque difensori ed otto centrocampisti, con nove attaccanti. Ho naturalmente rintracciato i risultati delle partite fra tornei e amichevoli: le squadre avversarie si chiamavano Dolianova e Selargius, Monteponi e Aeronautica, Pirri e Aviazione, Incrociatore Duca degli Abruzzi ed Esercito, RAF e Comando Marina, Università e Forze Armate; poi ancora Torres e Macomer, Tharros ed Ozieri, Carbonia e Sardegna, e in altre dispute anche Carloforte e Quartu, Calangianus ed Aquila, Bacu Abis ed Arborea, ed ancora Tempio e Nuorese, Olbia e Montevecchio, Ilva ed Alghero. Alterni i risultati, ma con finale promozione “d’ufficio” del Cagliari.

Delunas cita Lazzari, per la prima volta, a proposito del campionato 1941-42: una sola presenza (contro l’Olbia: rossoblù sconfitti 2-0 il 19 aprile 1942) e ancora si diffonde sul campionato 1942-43, con Lazzari nuovamente alla prova ad Olbia, il 21 febbraio 1943 (un’altra sconfitta 2-0). Un mese prima, al torneo CONI, Lazzari ha difeso la porta del Cagliari che ha battuto la Karalis addirittura 9-0.

La società ha allora Giuseppe Depperu per presidente (lo saranno poi Umberto Ceccarelli ed Emilio Zunino) , Renzo Carro per segretario (inamovibile) e la sede dell’Unione Sportiva in via Napoli (andrà in via Malta), l’allenatore è Mariolino Congiu (poi Raffaele D’Aquino) e massaggiatore Peppino Olla. Il campo ovviamente è quello di via Pola, capace di 10mila spettatori.

La pausa imposta dall’emergenza bellica dura qualche mese, tutti i campionati sono sospesi. Si riprende, da parte di varie squadre per metà composte da militari, nell’aprile 1944, il Cagliari però, salvo errore, dal febbraio 1945. Lazzari ancora sorveglia la porta. Così lo inquadra Corrado Delunas: «ottimo portiere del Cagliari, dove ha esordito ancora minorenne… Si riproporrà alla fine della guerra partecipando ai campionati di ricostruzione, dimostrandosi atleta dalle spiccate doti fisiche e temperamentali». Lui intanto s’affaccia, divertito e vitalista, all’obiettivo della macchina fotografica ora con Puppo Gorini e Gianni Pisano, ora con Pau e Siddi.

Va alla grande l’ultimo campionato giocato – rossoblu terzi in classifica dopo il Quartu e il Carbonia, ma prima di altre tredici squadre, 74 i goal fatti, 32 quelli subiti, seconda miglior difesa. Si chiude un ciclo e un altro se ne apre. Il Cagliari lascia la divisione regionale e può iscriversi, dal campionato 1947-48, al girone A della serie B. Ma Lazzari ha, per adesso, terminato la sua partecipazione.

Mi viene di chiedere una testimonianza più precisa al protagonista, naturalmente collocandolo, ragazzo, nel suo tempo e nello spazio cittadino, dei quartieri del capoluogo nella metà degli anni ’30 e dopo.

Dove abitavate?

Noi stavamo in viale Merello e quindi frequentavo l’oratorio dei salesiani, che era ed è nel viale Fra Ignazio dove ho anche imparato a giocare al calcio. Sicché il calcio è diventato facilmente e molto presto una grande passione. Ero portiere, il ruolo al quale mi sentivo più portato. Avevo dodici, tredici anni, anzi, quando ho cominciato anche meno, dieci o undici.

Ecco, andiamo dritti allo sport: vuoi ricostruire quelle prime fasi del tuo impegno agonistico?

Intanto mi piace ricordare la squadra del liceo Dettori, di cui facevo parte, che vinse il campionato studentesco. Doveva essere forse il 1940 o il 1941, anni di guerra. Prima della tragedia dei bombardamenti e dello sfollamento, naturalmente. Pur nelle ovvie difficoltà del momento, lo sforzo di tutti era quello di vivere normalmente la nostra vita di ragazzi che erano impegnati soprattutto con la scuola… Scuola a parte, non iniziai però con l’Unione Sportiva Cagliari, ma con la Karalis, che era la squadra dell’istituto salesiano di Cagliari. E allora avevo davvero dieci o undici anni, perché quando passai all’Unione Sportiva Cagliari, che giocava nel campo di via Pola - dove poi fu costruito uno dei mercati civici e dove oggi è il grande stabilimento della Mem –, era il 1936. Fui inquadrato nel settore giovanile sotto la presidenza di Mario Banditelli, coadiuvato dal ragionier Renzo Carro, giocando, sempre come portiere, nei campionati “allievi” della Società.

Dal 1940 al gennaio del 1943 giocai nel campionato di “propaganda” – si chiamava così – e successivamente in “prima divisione”, sotto la guida degli allenatori Mariolino Congiu e Ginetto Brusa, fino a quando non fu sospesa ogni attività a causa della guerra. L’ultima partita giocata dal Cagliari con una formazione di elementi presi dalla settore giovanile fu quella di Olbia, persa 2-0, giocata ad Olbia il 21 febbraio 1943. Ero in porta, naturalmente.

Che ricordi ne hai?

Quella fu, per me, se non mi sbaglio, la prima partita in prima squadra, avevo diciassette anni. Al ritorno a Cagliari il treno ci fece scendere dopo Elmas in quanto la stazione era inagibile poiché vi era stato il primo bombardamento e ricordo che feci a piedi sino a casa. Dovrei precisare che allora erano militari tutti i giocatori titolari e la squadra allora di serie “C” o di “divisione regionale” era stata preparata con molti allievi, ed io, neppure 18enne, ero fra loro.

Età mitica. Chi erano allora i tuoi compagni di squadra?

Credo di conservare di tutti un ricordo speciale, affettuoso e nostalgico. Citerei Franco Servetto, che in seguito andò a giocare con il Genoa, Giampaolo Schinardi, che era un difensore potente, Pau, Marco Dessì, Enrico Cocco, Magherini, Puppo e Nino Gorini, Mamberti, Gianni Pisano, Tore Dettori…, e naturalmente i tre allenatori ai quali fui affidato, e che ho prima citato: Ginetto Brusa e Mariolino Congiu, e con loro anche Roberto Winckler, un ungherese (o boemo?) che da noi si era trovato benissimo.

Hai accennato allo sfollamento. Dove andaste?

Dopo il secondo bombardamento di Cagliari (anche se noi in viale Merello eravamo abbastanza tranquilli, e poi avevamo il rifugio nella grotta della Croce Rossa di fronte a noi) mio padre ci fece trasferire tutti a Sardara, dove affittò una villetta, per cui l’ultimo mezzo anno di liceo lo feci nella sede staccata di Mogoro dove sostenni anche l’esame di licenza. E poiché mio padre verso la fine di maggio venne trasferito a Roma, decise di portare tutta la famiglia a Pisa a casa dei nonni.

Torniamo al calcio. Dopo la guerra giocasti ancora con il Cagliari? Eri ancora giovanissimo, venti-ventunenne, se parliamo del 1945 o 1946…

Subito dopo la guerra, ricostruita la vecchia Unione Sportiva Cagliari, sotto la presidenza di Eugenio Camboni prima, ed Emilio Zunino poi, disputai ancora in via Pola, i campionati di “prima divisione regionale”. Fu così per tre anni, il 1944-45, 1945-46 e 1946-47, con allenatore Mariolino Congiu.

E poi?

Alla fine del 1947, trasferitomi a Pisa per motivi di studio, cioè per completare il corso di ingegneria, fui ceduto, come professionista, dall’Unione Sportiva Cagliari alla Società F.C. Pisa, e da questa alla F.C.Viareggio. Giocai quindi in Toscana, partecipando al campionato di serie “C” negli anni 1947-48 e 1948-49. Allora associai al calcio lo sci. Mi andò bene, naturalmente si trattava di una attività a carattere dilettantistico. Nell’inverno del 1949 feci anche parte della rappresentativa universitaria toscana ai campionati italiani tenutisi al Sestriere, nella specialità “slalom gigante”, e mi classificai al decimo posto.

Dopo la laurea, tornato in Sardegna, negli anni 1950-51 e 1951-52, presi parte al campionato di “prima divisione regionale” con il CUS Cagliari allenato nuovamente da Mariolino Congiu, e sotto la presidenza di Andrea Arrica. Mi dovetti fermare nel 1952, dovendo, ancora per motivi di studio, trasferirmi per qualche anno negli Stati Uniti, a Boston per la precisione. Abbandonai, giocoforza, il calcio e, al rientro dall’America, mi dedicai alla palla “a nuoto” – come si diceva un tempo –, naturalmente a carattere dilettantistico, giocando con la Rari Nantes Cagliari. Intanto il Cagliari aveva preso a giocare allo stadio Amsicora – credo dal campionato 1951-52 –, su un campo ancora in terra battuta (e tale è rimasto fino agli anni ’60, addirittura fino alla promozione del Cagliari in A). 

Finita la stagione dello sport praticato cominciò quella del dirigente sportivo. Come è andata?

Nel 1967 fui tra i fondatori della Polisportiva Johannes di Cagliari. Naturalmente siamo qui in un’epoca in cui professionalmente ero già impegnato con l’insegnamento universitario, e con i giovani ero in rapporto quotidiano in aula… Mi è sempre piaciuto vivere e condividere l’impegno, qualunque esso sia, con i giovani… La Johannes era nata con lo scopo di propagandare, promuovere, praticare e incrementare l’attività ricreativa, sportiva ed associativa tendente all’educazione morale e sociale dei giovani. Mirava al conseguimento della maturità umana della gioventù. 

Nel 1970 ne diventai il presidente, carica che ho tenuto sino all’anno 1997, quasi trent’anni! Durante la mia presidenza, la Polisportiva è cresciuta notevolmente, specie nel settore giovanile: oltre al calcio e all’hockey su prato, le attività delle Johannes sono state lo judo, la pallacanestro e la pallavolo. Nel 1977, all’interno della società, ho fatto nascere, prima in assoluto in Sardegna, una scuola calcio per i giovanissimi, con i migliori istruttori esistenti a Cagliari. Sono molto orgoglioso di questo, credo legittimamente. E immodestamente aggiungo che per tale motivo, il Settore Giovanile della FIGC, nel 1982, mi assegnò un diploma di benemerenza e la stella al merito sportivo.

Una vita per lo sport. Forse non hai concorrenti fra i professori che si occupano di materie… alte, come sono le tue. Sbaglio?

Forse è così. Le iniziative, a enumerarle tutte, sarebbero molte, troppe. Ne accenno qualcuna: sempre nel 1967 fui invitato ad entrare nel Panathlon International Club di Cagliari, dove collaborai con i diversi presidenti succedutisi nel tempo e tenendo anche diverse conferenze sullo sport. Nel dicembre 1979 fui premiato dal Panathlon con una medaglia al merito sportivo per aver realizzato opere e strutture che, oltre i rilevanti contenuti sportivi, assolvevano compiti di notevole valore sociale. Fui anche eletto presidente del club di Cagliari per il biennio 1980-82 e riconfermato per il biennio 1982-84, e durante questa mia presidenza si celebrò, con grande entusiasmo, il 25° anniversario del club con una manifestazione che ha realmente idealizzato le “nozze d’argento” tra lo sport cittadino ed il Panathlon. Ancora nel 2003 fui nominato, con delibera del Consiglio direttivo, socio onorario del club. Il che costituisce un’altra bella medaglia che… sono contento di appuntarmi sul petto. Sì, ho amato ed amo molto lo sport, ne comprendo la portata pedagogica eccezionale. 


Ingegnere civile idraulico, e professore

Presente, con onore, nelle cronache sportive d’un tempo ormai lontano in quanto al puro agonismo e di tempi ancora relativamente recenti, invece, riguardo alle funzioni di dirigente di sodalizi ora calcistici ora di altre discipline, il nome di Eugenio Lazzari è naturalmente in primo luogo legato alla sua prolungata attività di docente universitario. Ho visto il quadro delle anzianità: assistente incaricato e poi ordinario dal maggio 1949 all’ottobre 1971, libero docente dal giugno 1961, professore straordinario nel triennio 1971-1974 ed ordinario fino al 1996, in cattedra fuori ruolo per ulteriori tre anni, fino all’ottobre 1999: sono in tutto cinquanta anni tondi spesi fra la didattica e la ricerca chissà con quante centinaia di studenti. 

So, per sentimento generale, che il nome del professor Lazzari, ora che sono passati tre lustri dall’abbandono della cattedra, rimane nella memoria della facoltà con uno speciale profilo istituzionale. Destino dei professori d’un tempo. 

Siamo partiti dai tuoi dieci anni di età e siamo arrivati agli ottanta circa, e poi novanta, tutti segnati dalla tua presenza ora sul campo ora sulla tribuna dello sport. Mi sembra sia stato come il filo rosso che lega tante altre vicende della tua vita, sia nell’avvio che nella maturità della tua attività professionale. Ne vuoi cavalcare i passaggi fondamentali?

Ho accennato di essermi laureato in Ingegneria Civile Idraulica presso l’Università di Pisa nell’anno accademico 1947-48, e di essermi poi specializzato in Idrodinamica presso il Massachusetts Institute of Tecnology di Boston, svolgendo un lavoro di ricerca nel laboratorio di Idrodinamica diretto dal professor Ippen.

Nel 1961 conseguii la libera docenza in Idraulica, e nel 1970 fui primo ternato nel Concorso alla Cattedra di Idraulica dell’Università di Cagliari, dove, dall’anno accademico 1971-72, venni chiamato ad insegnare tale disciplina appunto presso la facoltà di Ingegneria. Ho tenuto questo corso per ventisei lunghi anni, fino alle soglie del 1997, quando andai fuori ruolo. Tenni la mia ultima lezione, nell’aula magna di Ingegneria, davanti ad un folto pubblico di colleghi, anche venuti da altre Università, di ex-allievi e di studenti. Svolsi il tema “Una valutazione dell’Idraulica alla fine del secolo ventesimo”, nel quale tratteggiai un esatto quadro della scienza idraulica al suo stato attuale, cercando di definirne le tendenze future. Presso la stessa facoltà tenni ripetutamente, per incarico, anche i corsi di Costruzioni Idrauliche e di Sistemazione dei Bacini Idrografici e Difesa del Suolo. Nel 1993 fui nominato direttore del Dipartimento di Ingegneria del Territorio della facoltà, incarico tenuto sino al pensionamento avvenuto nel 2005.

Bene così. Io mi sono occupato in tempi recenti del rettorato Peretti che si prolungò per ben tre lustri e lasciò il segno in molti ambiti della vita universitaria cagliaritana e direi della stessa vita cittadina. Tu, come uomo di accademia, hai avuto contatti con il professor Peretti e, nel caso, che ricordo nei hai?

Direi di no, ero molto amico del figlio Giovanni, laureato nel 1937 in Medicina e Chirurgia, che nel 1980 vinse l’ordinariato e fu chiamato a ricoprire la cattedra di Clinica Ortopedica e Traumatologica dell’Università degli studi di Milano: è stato lui ad operarmi per ben tre volte di protesi alle due anche.Purtoppo è morto, prima di me, qualche anno fa. 
Del rettore Peretti ho pochi ricordi perche ero da poco tornato da Boston e stavo preparandomi per entrare assistente ad Ingegneria: ricordo la sua figura di uomo di grande cultura, che si adoperò moltissimo e con indubbio intuito per la realizzazione della Cittadella dei musei e della stessa nostra facoltà di Ingegneria in piazza d'Armi, incaricando il professor Rattu di seguirla più da vicino. Infatti è con lui che io ho avuto i contanti per la sistemazione dell'istituto di Idraulica e Costruzioni idrauliche e la realizzazione (con le esperienze che avevo fatto a Milano e a Boston) del laboratorio Prove idrauliche ed altro in piazza d'Armi.  

Di fianco all’attività di docente però sei stato anche un tecnico presente nel mercato professionale. Hai avuto uno studio tuo?

No, sono stato consulente della pubblica amministrazione, e lo sono stato in più occasioni. Intanto mi iscrissi all’Ordine degli Ingegneri della provincia di Cagliari in data 14 maggio 1949… sono ormai il decano o il vicedecano. Dal 1980 al 1999 ho avuto la responsabilità dell’Unità Operativa del CNR per la Sardegna della linea di ricerca “Piene ed alluvioni” del Gruppo Nazionale per la Difesa dalla Catastrofi Idrogeologiche, ed in tale veste ho collaborato con il Coordinamento della Protezione Civile.

Nel 1967 mi iscrissi all’Albo Progettisti e Direttore dei Lavori della ex Cassa per il Mezzogiorno. Già lo ero, fin dal 1961, all’Albo Speciale dei Collaudatori della Regione Autonoma della Sardegna, nell’amministrazione dei Lavori Pubblici. Sono stato consulente per tre anni, dal 1965 al 1968, per le opere di piccola bonifica idraulica, del Centro Antimalarico della Regione.

 Dal 1968 al 1972 ho fatto parte del Comitato Tecnico Regionale dell’Assessorato ai LL.PP. e dal 1980 al 1982 del Comitato Tecnico Amministrativo del Provveditorato alle OO.PP. della Sardegna.

Solo Sardegna? E fuori Sardegna?

Beh, intanto per due decenni, dal 1980 al 1998, sono stato consigliere nazionale dell’Associazione Idrotecnica Italiana, e per altri due, in parte sovrapposti, dal 1984 al 2005, ho fatto parte della giunta di presidenza della medesima Associazione.

Circa l’estero, dal 1980 al 1991 sono stato consulente del Ministero degli Esteri appunto per i lavori appaltati fuori dai confini nazionali, eseguendo controlli di varia natura presso le imprese costruttrici in quasi tutti i continenti: in Sud-Africa, in Kenia ed in Etiopia, in Cina, in Australia, in Messico.

Mentre elenchi tutti questi appuntamenti ora accademici ora professionali, mi vien da pensare al ragazzo che, nella porta della Karalis o del Cagliari, cercava di parare rigori e punizioni e volate, rovesciate o colpi di testa degli avversari. Mi pare un… complemento, oltre che un complimento.   

Ho seguito la vocazione, come ho detto prima, non mi sono mai risparmiato. Bisogna far bene sempre, in qualsiasi campo ci cimentiamo. E il bello è che sono venuti anche i riconoscimenti, e quindi le gratificazioni hanno compensato la fatica. Pensa che, nel 1986, mi è stata conferita “ad honorem” la Gran Croce al Merito per l’Ingegneria, nel 1998, dall’Università degli studi di Pisa, la medaglia d’oro per i cinquant’anni di laurea, nel 1999 dall’Ordine degli Ingegneri della provincia di Cagliari la medaglia d’oro per i cinquant’anni di iscrizione all’Ordine.  

Nient’altro? 

Ma è chiaro che chi ha avuto la fortuna di poter prolungare la sua vita professionale, oltre che la sua vita umana, la vita tout court, tanto quanto io ho potuto, è stato in grado di collezionare incarichi e applausi. E’ normale questo… Io ho amato molto la disciplina che ho insegnato per tanti anni e seguito in queste numerose attività di consulenza in mezzo mondo. E d’altra parte, se vuoi che completi l’elenco – sempre per metterlo in ideale sovrapposizione alla pratica formativa nello sport giovanile – potrei dirti anche che dal 1991 al 1995 ho fatto parte del Consiglio Scientifico del Centro di Ricerca e Formazione per il controllo dei Sistemi Idrici (Hydrocontrol), di cui nel 1996 sono stato eletto perfino presidente. L’anno successivo fui nominato, per un triennio, revisore per conto dei Garanti del sistema di valutazione dei “Progetti di rilevanza nazionale del Ministero dell’Università e della Ricerca”.

Sembra banale, ma mi viene spontaneo chiederti: hai lavorato contento? Cioè, ti sei sentito realizzato a fare l’ingegnere e il professore? Quale spirito ti ha accompagnato in questi cinquanta e passa anni di lavoro?

L’ho detto: ho amato la meccanica dei fluidi e l’idraulica, discipline complesse ma bellissime. E poi… lo spirito del dovere non è uno spirito oppressivo, invece è uno spirito di libertà. E mi sono sentito sempre libero, impegnato nella responsabilità. Accanto all’attività didattica e di ricerca, ho sempre prodigato la mia competenza specifica e la mia esperienza partecipando a pubblici organismi anche nella consapevolezza di dover rendere un servizio civico alla mia città, alla mia regione, alla patria. Questo, nel concreto, l’ho potuto fare adempiendo ai compiti di pubblica utilità che, volta a volta, mi venivano assegnati.

La mia attività di ingegnere consulente ha riguardato numerosi lavori di stima di risorse idriche, la programmazione ed il progetto di grandi schemi acquedottistici, fognari ed irrigui, il progetto di opere di sistemazione idraulica, ecc. E’ chiaro l’interesse pubblico di questi lavori. Andato in pensione, ha continuato come consulente di opere di sistemazione idraulica e di risorse idriche, pubblicando anche alcune monografie. 

A proposito: dato che stiamo facendo bilanci, posso chiederti quanti lavori scientifici, fra memorie, relazioni e conferenze, hai pubblicato?

Sono 156, ne ho tenuto un elenco con continuo aggiornamento. Peraltro questa è la norma per i professori universitari. 

E la musica?

Sono sempre un appassionato di musica classica, ho coltivato l’arte, ho suonato il mio piano – e ancora continuo – nei necessari momenti di relax, di completo riposo mentale dalla mia attività tecnica. La musica è un ricostituente, la musica come la poesia, la lettura e l’arte, anche lo studio della storia, dico la grande storia ma anche la storia minore, quella locale.    


L’associazionismo: il Rotary e la loggia massonica

Eugenio Lazzari è un uomo naturaliter sociale, con la vocazione all’associazionismo. Rivela una capacità, che non è di tutti, di vedere in prospettiva le potenzialità che possono esprimersi dai molti partecipanti e realizzare così l’obiettivo, o gli obiettivi, che insieme ci si è dati. Ho notizia certa che così è stato tanto più nelle sue esperienze rotariane e massoniche, dopo o in contemporanea a quelle sportive. Vorrei particolari.

Questi riferimenti alle passioni extraprofessionali, alla musica oltre che allo sport, mi fanno pensare alle occasioni di socialità conviviale, di convegnistica non troppo dottorale però, che appartiene all’associazionismo rotariano di cui sei stato fra i maggiori esponenti negli ultimi trent’anni. Ho visto che hai pubblicato diverse cose sulla storia del club cagliaritano: il volumetto “Il Rotary in Sardegna”, edito nel giugno del 2000, ed ho visto il lungo contributo a “60 anni al servizio della città”, a cura del Rotary club Cagliari, e altro ancora.

E’ vero. Nel 1980 sono entrato a far parte del Club Rotary di Cagliari, ed il Rotary, al pari dell’Università, mi ha dato una mano nel sentirmi utile ai giovani, al loro processo di crescita. Nel club di Cagliari mi sono subito distinto, e ne sono orgoglioso, nello stare vicino ai giovani del Rotaract, nel capirne i problemi e nello stimolarli a guardare in faccia al futuro. In loro ho sempre visto me stesso giovane che cercava di affermarsi, faticando sì ma anche con molta gratificazione per ogni piccolo successo. 

Motivi di lavoro, attività scientifica e di progettazione mi hanno portato, dal 1980 in poi, a compiere frequenti e lunghi viaggi in molti paesi del continente asiatico, in Africa, in America latina, nelle Filippine ed in Australia, consentendomi così di sviluppare amichevoli rapporti con gli ambienti tecnici locali e di visitarn diversi club nei quali spesse volte i colleghi del posto erano soci. Ho anche tenuto varie conferenze nei diversi club Rotary della Sardegna, pubblicando anche numerosi articoli sulle riviste “Realtà Nuova” e “Voce del Rotary”. In quanto alle cariche via via ricoperte, in seno al Distretto 2080, che ha una dimensione interregionale, dovrei menzionare la presidenza della Commissione Distrettuale per la Gioventù (Rotaract e Interact), che ebbi nel 1985-86 dall’allora governatore Fazi; e, dal 1984, la partecipazione, che divenne nel 1989 (e fino al 1993) la presidenza della Commissione Distrettuale “Scambio dei Gruppi di Studio della Fondazione Rotary”. 

Nell’anno sociale 1993-94 sono stato presidente del Club di Cagliari, e dopo questa esperienza ebbi dal Distretto, per tre anni di seguito, la responsabilità della sub-Commissione“Contributi Annuali” della Fondazioni Rotary e di seguito la presidenza di quella delle“Sovvenzioni e Contributi”. Infine nell’anno 1998-99 svolsi l’incarico di Assistente del governatore Nati per la Sardegna meridionale, organizzando il convegno annuale del Distretto 2080 a Nora. Ho sempre creduto e credo ancora moltissimo al valore sociale ed umanitario, oltreché culturale, di una organizzazione internazionale come il Rotary.

Dopo il Rotary la Massoneria. Qui andiamo per inversione, perché è notorio che il Rotary fu, cento e passa anni fa, un parto della Massoneria americana. Come si colloca all’interno dei tuoi interessi e come si qualifica la tua esperienza di loggia?

Intanto un po’ di storia personale. Fui accolto nella Rispettabile Loggia “Hiram” n. 657 all’Oriente di Cagliari: il mio brevetto n. 43.951 porta la data del 19 gennaio 1990. Nell’Istituzione massonica del Grande Oriente d’Italia–Palazzo Giustiani fui presentato dal futuro Gran Maestro Onorario Vincenzo Racugno, e fui iniziato, essendo Maestro Venerabile Gianfranco Porcu – già funzionario della Regione –, nella tornata del 26 febbraio 1990. E’ trascorso oltre un quarto di secolo. Passai al grado di Compagno d’arte (brevetto n. 37.680 del 3 aprile 1992) nella tornata dell’11 maggio 1992, e Maestro (brevetto n. 38.505 dell’11 dicembre 1993) nella tornata del 31 gennaio 1994.

Nel 1997 fui uno dei Fratelli fondatori della Rispettabile Loggia “W.A.Mozart” n. 1147 all’Or. di Cagliari, nella quale il 25 settembre 1997 venni eletto alla carica di Primo Sorvegliante per il biennio 1998-99, e negli anni successivi, dal 2001 al 2005, ne fui il Segretario. Nel biennio 2005-06 fui chiamato alle difficili funzioni di Maestro Venerabile, cioè di presidente della stessa loggia, che nel frattempo era andata distinguendosi, nell’Oriente cagliaritano e nella Circoscrizione sarda per numerose iniziative sia sociali che convegnistiche.

Queste le cariche. Hai memoria di lavori specifici presentati alla discussione o di attività che hai promosso?

Molte, credo una trentina, sono state le tavole – intendo le relazioni che aprono la discussione – presentate prima alla “Hiram” poi alla “Mozart”. Ne cito alcune soltanto: «I Templari in Sardegna», tavola tracciata nel 1995; «Il simbolismo esoterico: alla ricerca delle origini», questa del 2000; «Alcune considerazioni su l’era volgare e l’era massonica», quest’altra del 2002; «L’ “Ordine degli Illuminati” nella simbologia esoterica del dollaro», dell’anno successivo; «Il significato simbolico dei guanti», tavola tracciata ancora presso la “Mozart”nel 2008;

«Musica e mistero nel “Flauto magico” di Mozart», tavola invece tracciata presso la “Tetraktis”, una loggia cagliaritana della quale fui ospite, nel 2014; «Il significato simbolico-esoterico dei candelabri ed in particolare della Menorah», nuovamente alla mia “Mozart”nel 2015.

Attività particolari della tua loggia?

Quando ci siamo costituiti come loggia “Mozart” eravamo in diciotto, fra gli altri erano con noi l’attuale Gran Maestro Onorario Vincenzo Racugno ed i compianti Fratelli Walter Angioi e Vincenzo Tuveri. Da subito ci eravamo proposti di costituire una specie di circuito nazionale e internazionale delle logge intitolate a Mozart, e così ci siamo mossi con incontri periodici con le logge di Genova e Milano, Roma e Lecce, Pino Torinese e Porto Santo Stefano, e poi anche con quelle estere. Talvolta questi incontri combinavano la parte rituale, quella convegnistica e quella puramente musicale, della esecuzione e dell’ascolto…

Sul piano delle attività culturali e sociali, sovente combinate fra loro, ricordo l’impegno anti-AIDS, anche con borse di studio a giovani studenti che parteciparono a concorsi di studio dell’argomento. Ci muovemmo d’intesa con l’autorità scolastica e con i medici della divisione Infettivi dell’ospedale di Is Mirrionis di Cagliari. E’ stato così per alcuni anni. Avevamo coinvolto con noi anche il padre Morittu, un benemerito assoluto sul campo. Sul piano interno ne trattammo anche in occasione di incontri con le logge del capo di sopra, in particolare con la “Gallura” e la “Caprera”.

Con le logge “Asproni” e “Conti” organizzammo una giornata sull’Alzheimer, nei locali della Fiera internazionale della Sardegna, con presenze qualificatissime sul piano scientifico. Avemmo anche un messaggio della Levi Montalcini. 

Abbiamo anche promosso formule originali di approfondimento della posizione filosofica di Giordano Bruno, sempre lavorando con logge sorelle interessate anch’esse all’argomento – questo fu nel 2005, se ricordo bene – ed anche fornendo piccole borse di studio agli studenti delle secondarie, ma poi abbiamo speso tante energie, soprattutto con il nostro Fratello Vincenzo Tuveri, che purtroppo abbiamo perso qualche anno fa, per aprire la casa massonica alla cittadinanza, ai circoli culturali, alle scuole. Abbiamo cooperato intensamente per un rilancio della nostra presenza massonica ad Iglesias, che pure era un Oriente storico dei giustinianei, abbiamo collaborato ai quaderni pubblicati ogni anno dal circolo di corrispondenza denominato “Quatuor Coronati” di Perugia, abbiamo dato alcuni dei nostri uomini migliori agli organismi di governo dell’Ordine, tanto in Sardegna quanto in campo nazionale.

Soddisfatto?

Molto soddisfatto, intimamente soddisfatto, sia per il contesto spirituale-iniziatico – cioè per il contenuto specifico della esperienza massonica –, sia per il contesto puramente associativo, per le relazioni personali molto affettuose. Nell’aprile 2003 ebbi la decorazione in bronzo dell’Ordine di “Giordano Bruno” con la seguente motivazione: «…ha accettato, con uno spirito quasi animato da giovane goliardia, di sottoporsi alle fatiche della segreteria, mostrando sempre grande impegno in tutte le peculiari incombenze che sono connesse alla suddetta carica». Pochi mesi fa, mi riferisco al 28 maggio 2016, e dunque dopo aver superato i… novanta, mi è venuta un’altra onorificenza molto, molto gradita: la decorazione in oro ancora dell’Ordine di “Giordano Bruno” consegnatami personalmente dal Gran Maestro Stefano Bisi in una tornata a logge congiunte, a Cagliari, con la seguente motivazione: «...per le sua costante attività nella nostra Istituzione» evidenziando poi «…che il valore di un’onorificenza non sta nel, peraltro, poco valore del metallo di cui è fatta, ma bensì nelle doti umane e fraterne del fratello che la riceve…».


La conversazione finisce qui. Credo utile. Personalità d’eccellenza Eugenio Lazzari.





Fonte: Gianfranco Murtas
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