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Gianfranco Murtas

La SEA di Martino Contu e dei suoi amici: la storia, che passione…

di Gianfranco Murtas

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Sono passati ormai più di dieci anni dacché ho scritto per l’ultima volta di Martino Contu e delle sue ricerche, del Centro Studi SEA ch’egli, con altri valorosi amici di Villacidro, Iglesias e d’altre parti dell’Isola, ha fondato ora è già quasi un quarto di secolo. Ed in cui ha coinvolto perfino un parroco, personalità di vigoroso spessore culturale come don Giovannino Pinna, purtroppo scomparso anni fa, ed a cui è stata intitolata una Fondazione e del quale sono stati dati alle stampe diversi lavori tanto più di storia ecclesiastica.

I miei rapsodici incontri con lui, fra Villacidro e Cagliari, tengono sempre alta l’intensità della relazione, proprio a dispetto della frequenza: lo incontrai, Martino, nel 1989, a Cagliari, all’Auditorium di piazzetta Dettori, alla presentazione di un mio libro dedicato al sindaco Paolo De Magistris. Portava, da Villacidro, dalla patria paesana di Salvatore Cosseddu – un agricoltore povero e idealista mazziniano delle campagne di Parte d’Ispi (direbbe Dessì) – simpatie ideali e politiche che lo riportavano alla mia famiglia repubblicana, di taglio liberaldemocratico ed azionista. La comune amicizia con Tito Orrù, poi, e le collaborazioni che, e l’uno e l’altro, al professore offrivamo sempre con grande piacere rinforzarono poi i vincoli di confidenza.

Abile organizzatore del congresso regionale dei giovani repubblicani, mi pare nel 1993, aveva presentato una lista con lo storico simbolo dell’Edera mazziniana – emblema della Giovine Europa del 1834 – alle amministrative cidresi del 1990 e nel 1995 fece il passo (a me sgradito e, dal mio punto di vista, sgradevole) di una personale partecipazione alla lista del PDS che per cinque anni lo portò in Consiglio comunale.

Come fratello maggiore mi dette modo, ripetutamente, negli anni del suo inoltro nel campo delle ricerche storiche e delle pubblicazioni, di intervenire secondo necessità. E nel 1996 firmammo insieme perfino un libro “tutto amore” a Villacidro nel suo nesso con la Cagliari d’inizio Novecento – siamo entrambi nati a Cagliari, come Dessì stesso – ed a Villacidro anche nella sua teatralità ispirativa della poetica (in italiano ed in sardo) di Ignazio Cogotti.

Ho seguito, negli anni, la imponente e preziosa saggistica di Martino Contu e in varie occasioni ho avuto l’opportunità di introdurre, presentare o commentare la sua produzione. In particolare l’ho fatto, a dir di giornali, sulle pagine di La Gazzetta del Medio Campidano. Questa la rassegna: 

10 settembre 2004 – Pasqualino Cocco ed Agostino Napoleone, candidati alla morte a 24 e 26 anni: un libro di Martino Contu e Manuela Garau dedicato a due vittime sarde delle Fosse Ardeatine

25 marzo 2009 – Le fatiche di Martino (con occhiello: “Sono usciti recentemente tre saggi storici, fra loro molto diversi per argomento, che segnalano la capacità di ricerca e scrittura del Centro Studi SEA: un ponte fra il medio Campidano e l’Italia e il mondo” e con sommario: “Con Martino Contu collaborano ormai stabilmente una decina di giovani studiosi impegnati a disseppellire dagli archivi pubblici e privati i filoni segreti della grande storia isolana – come è stato per gli insediamenti minerari a Guspini e Villacidro fin dal Settecento – e le vicende umili dei sardi fra emigrazione per lavoro e testimonianza eroica nei valori democratici”)


10 aprile 2009 – Le fatiche di Martino (con occhiello: Insediamenti minerari nel guspinese-villacidrese e l’emigrazione nel sudAmerica” e con sommario: “Dopo quello dedicato a Gavino De Lunas – martire sardo delle Ardeatine – meritano una speciale attenzione due nuovi saggi a firma di Martino Contu e del suo gruppo di studio pubblicati dalla SEA. Raccontano la storia delle prime intraprese estrattive nelle aree montuose del medio Campidano e le vicende umili di numerosi sardi proprio di questo stesso bacino territoriale costretti all’emigrazione nelle terre dell’America latina”).

Ecco di seguito questi ultimi miei interventi.


Le fatiche di Martino 

Bisogna capirli questi signori, giovani o anziani che siano, che scrivono e firmano i libri. E capirli questi libri in rapporto ai loro autori. 

Villacidro, e più in generale quel medio Campidano che allo scrittore ha offerto abbondanti motivi e materiali di studio e narrazione, hanno questo ancora giovane Martino Contu, cavaliere per meriti provati, che bisognerà meglio conoscere attraverso una produzione ormai ricca, sorprendente nelle quantità e anche, evidentemente e soprattutto, nella qualità. I tre titoli che, nell’arco dell’ultimo anno e mezzo, egli ha consegnato agli scaffali delle librerie ed al gusto di lettura del pubblico fotografano, in logica di conferma, i tre ambiti principali della sua ricerca degli ultimi tempi, quelli di maggior maturità, ma che, di fatto, paiono presenti già nei suoi esordi di scrittura ad gentes. Si tratta di Gavino De Lunas (“Rusignolu ’e Padria”). Vita di un cantante, ufficiale postelegrafonico, martire delle Fosse Ardeatine; poi di Storia dell’industria mineraria nel Guspinese Villacidrese tra XVIII e XX secolo. Vol. I Il Settecento (curato in coppia con l’ottimo Raffaele Callia); quindi di L’emigrazione sarda in Argentina e Uruguay (1920-1960). I casi di Guspini, Pabillonis, Sardara e Serrenti. Scoperto minimo comune denominatore dei tre compositi saggi è la casa editrice che s’identifica con il Centro Studi SEA – ponte ideale, dal 1998, fra Sardegna, Europa ed America –, che è una invenzione (molto, molto intelligente) dello scrittore e di alcuni suoi amici. I quali hanno dimostrato, anche con questo strumento, che in anni in cui ormai sembra finito il mecenatismo pubblico e con esso l’amore del rischio imprenditoriale degli editori (se mai c’è stato per la maggioranza degli operatori sul mercato, dopo l’antica stagione dei Carta Raspi e del Nuraghe), sono gli autori medesimi che si industriano, già essi lavorando pressoché gratis, per reperire risorse finalizzate e adeguate al progetto. Senza piatire elemosine e senza ostentare supponenze. Frazionando il supporto finanziario, impegnando le amministrazioni locali e i sodalizi di cultura (nel giro largo e in quello stretto) più interessati ai temi di studio. Proponendo essi stessi l’esito in volume delle proprie ricerche che investono materie attraverso cui si esprime la loro coscienza civile, la loro sensibilità culturale e sociale, la loro passione democratica. 

Perché dire di antifascismo – e di quel filone minoritario dell’antifascismo liberal-mazziniano, che non mirava ad abbattere un tiranno per sostituirlo con un altro, Stalin cioè –; dire del protagonismo industriale di uomini ed imprese nel nostro territorio, progressivamente modernista e insieme però carico di pesi talvolta insopportabili per quella parte dell’azienda che si chiama mano d’opera e può essere, ed è stata tanto a lungo, senza difese; dire infine di emigrazione, e cioè delle vicende di vita amare e con prospettive forse illusorie, ma pur inevitabili nell’urgenza di fuga da un presente di miseria; ecco tutto questo è dichiarare, da parte dell’autore (o degli autori), una scelta di campo che è pienamente nel segno e nel contenuto della democrazia come tutti la possiamo intendere e gustare, e vogliamo sostenere. Ed è anche un puntare a cogliere i nessi fra il passato e l’oggi, fra le generazioni trascorse, che hanno penato per noi, e queste nostre, che alle precedenti sono debitrici.

Un martire delle Ardeatine

Lo schema narrativo (e a monte quello di ricerca) di Gavino De Lunas replica il modello sperimentato con le biografie di altre figure riscoperte, può dirsi, dal nulla, dalla intuizione e con il coraggio indagatore di Contu. Mi riferisco ai quattro militari sardi vittime delle Cave infernali in quel marzo 1944: Candido Manca e Gerardo Sergi, entrambi dell’Arma dei Carabinieri, Pasqualino Cocco e Agostino Napoleone, l’uno dell’Aeronautica, l’altro della Marina (questi ultimi due proposti, dopo che nel cospicuo volume biografico uscito, per AM&D edizioni, nel 1999, anche con un supplemento autonomo di lettere e documenti inediti, apparso in edizione propria nel 2004). Né solo ai quattro militari, dovrei aggiungere: perché fin dal 1996 il tema e l’impianto di studio e narrazione veniva anticipato dall’opuscolo promosso dall’ANPPIA cagliaritana per onorare la memoria del comunista Sisinnio Mocci, un villacidrese martire delle Fosse Ardeatine (così il titolo).

Colpisce di questa e quell’altra pubblicazione la dimensione dello scandaglio archivistico, che recupera fonti edite e soprattutto inedite, nazionali e locali. Per limitare adesso il riferimento all’opera appena uscita, si tratta non soltanto dell’Archivio Centrale dello Stato e degli archivi pubblici governativi (presidenza del Consiglio, ministero delle Comunicazioni, ministero della Difesa) o dell’Amministrazione postale e di quella militare, ma anche dell’Università di Macerata (per la parte avuta dal suo Istituto di medicina legale nella invenzione della salma del martire biografato) e del Tribunale militare di Roma, delle scuole e direzioni didattiche, dei comuni e parrocchie di Padria e Pozzomaggiore, Lotzorai e Tresnuraghes (e della stessa capitale), e ancora – valore aggiunto – delle carte private della famiglia Luna – questo il cognome ufficiale del “Rusignolu’e Padria” – residente attualmente a Roma, dei Meloni di Padria, dei Recupero di Oristano...

Una parola sulla personalità di Gavino De Lunas (1895-1944) sembra, anche in questa circostanza, d’obbligo. Rampollo umile di umile famiglia (il padre era sarto) che aveva avuto però un trascorso nella antica nobiltà aragonese, reduce della grande guerra – reduce invalido (menomato alla gamba sinistra) – iniziò, parallelamente alla carriera lavorativa nell’Amministrazione postale, quella artistica incidendo, per conto della milanese Società Anonima Nazionale del Grammofono, diversi 78 giri.

Sposatosi frattanto con una insegnante elementare originaria di Tresnuraghes, passato di ufficio in ufficio nel rosario territoriale delle Poste, dopo un precariato di cinque anni prese servizio a Cagliari (trovando casa in quel di Pirri) e da qui, per il mancato ritiro della tessera fascista, fu trasferito a l’Aquila. Assegnato alla sede centrale della capitale come premio per il volontariato offerto in occasione del terremoto abruzzese del 1933, a Roma restò fino alla morte (salvo una breve parentesi, in epoca bellica, in quel di Lubiana).

Capitano del Battaglione Volontari di Sardegna intitolato all’Angioy, che era inquadrato nell’esercito della Repubblica Sociale Italiana, operò di fatto contro gli interessi dei collaborazionisti sicché, tradito da una spia, venne arrestato dai burgundi e rinchiuso nel famigerato carcere di via Tasso. Da cui mosse quell’ultimo giorno alla volta delle Ardeatine.

Questo l’impiegato pubblico, questo il militare, questo l’antifascista di orientamento azionista (come quel Salvatore Canalis, professore di latino e greco e suo amico e frequentatore; che con lui condividerà anche l’ultimo giorno alle Cave). 

Intrecciata a questa dimensione civile e politica (già da giovane era simpatizzante lussiano) fu la sua attività artistica sulla quale dettagliatamente, e con un corredo documentario straordinario, si sofferma Contu, offrendo anche i testi di poesie e canzoni che nel tempo Luna/De Lunas scrisse e portò in pubblico. Frequenti erano infatti le sue esibizioni in vari centri dell’Isola, non escluso il capoluogo (al Politeama si presentò vestito con il costume nuorese): muttos modernos, serenate amorose, un’infinità di cantos… Resta da dire, al riguardo, che il libro biografico si completa con un allegato di gran pregio: un Cd-Rom curato dal Municipio di Padria che raccoglie dalla viva voce dell’artista la prova certa del suo valore.

Merita infine segnalare che, oltre ai testi inediti delle sue poesie per chitarra e delle canzoni (in sardo ed italiano) incise nel 1930 per l’etichetta non ignota de “La Voce del Padrone”, le lunghe appendici del libro – quasi duecento pagine! – offrono frammenti di un delicato carteggio familiare (alla moglie e alle bambine) risalente agli anni del secondo conflitto mondiale (quelli di Lubiana), nonché alcune lettere variamente riferite alle circostanze dell’arresto e l’agghiacciante rapporto medico-legale sulla salma «numero 59» raccolta dall’inferno nazista. Questi gli oggetti repertoriati, insieme con i fazzoletti bianchi: «Fogli di carta stampata identificabili, come facenti parte di opuscolo di propaganda antifascista del “Partito d’Azione”».

Opportuna, sempre secondo il collaudato schema espositivo di Contu, la sezione iconografica che chiude il volume. Sono fotografie del privato ed istantanee risalenti invece alla contingenza bellica.

Dell’industria mineraria

Non meno ricco, per la quantità delle schede compilate esaminando carte d’archivio perlopiù inedite, è il volume Storia dell’industria mineraria nel Guspinese Villacidrese tra XVIII e XX secolo, con i riflettori puntati al Settecento (primo di una serie di tre volumi), curato da Martino Contu con Raffaele Callia e altri amici e studiosi pressoché tutti (come i curatori) giovani o giovanissimi: da Giampaolo Atzei a Gianpiero Carta, da Vanna Ciampi a Manuela Garau, da Monia Gemma Manis a Tiziana Mori. Hanno la loro parte, peraltro, anche i meno giovani Antonio Assorgia, Carlo Pillai e Giovannino Pinna (parroco di Santa Barbara a Villacidro).

L’opera è articolata in dieci capitoli, in prevalenza integrati da una specifica appendice di approfondimento documentario. Ecco così, in successione, e dopo una introduttiva esposizione delle caratteristiche giacimentali e minerogenetiche del Guspinese, le zoomate sulla concessione mineraria esercita dalla cagliaritana società Nieddu-Durante (1721-1741); sulla singolare lite giudiziaria che ebbe per protagonista Carlo Gustavo Mandell, iniziatore della celebre fonderia del Leni; sulla figura di Isacco Netto, rabbino ebraico-sefardita venuto da Londra a Villacidro nei primi decenni del Settecento; su alcuni imprenditori e tecnici pure essi d’importazione che operarono nell’Isola in quello stesso secolo; sulle relazioni di Pietro Belly (1760-1763, poi 1762-1773, e più tardi ancora: 1783) descrittive della realtà mineraria nel Guspinese; sugli impianti di fusione di Villacidro, la miniera di S’Acqua cotta e l’impiego dei forzati nelle fatiche estrattive secondo una relazione firmata nel 1767 dall’Intendente generale Vacca; sulle risposte provenienti dai parroci di Arbus, Fluminimaggiore, Gonnosfanadiga, Guspini e Pabillonis ad un questionario inviato dal vescovo Giuseppe Maria Pilo nel 1762, pochi mesi dopo aver assunto la responsabilità della diocesi, riguardante lo stato della vita spirituale delle varie comunità più coinvolte nelle nuove iniziative industriali. (Varrà ricordare che pochi anni dopo, nel 1767-68 per la precisione, anche la parrocchia di Villacidro sarebbe passata sotto la giurisdizione del vescovo alerese, in permuta con Villamar, entrata a sua volta nella metropolia di Cagliari).  

Se è concessa, di passaggio, una critica sul punto particolare, la fisserei sulla mancanza della traduzione dei testi forniti in spagnolo datato (e non tutto comprensibile, neppure intuitivamente), ancorché essa sia giustificata con la «mancanza di spazio». Un vero peccato, neppure troppo veniale (da confessare).

Per quant’altro verrebbe da dire che diverse sono le parti assolutamente gustose della ricostruzione storico-cronachistica di accadimenti tanto lontani nel tempo, e pur tuttavia non senza conseguenze sui destini del comparto minerario del secolo successivo e che meglio conosciamo, per letture o studi. Fra tali pagine segnalerei in particolare quelle da Contu dedicate agli scritti del rabbino Isacco Netto, o Nieto, ed in cui ritornano motivi che già ebbero occasione di essere esposti nella giornata convegnistica svoltasi proprio a Villacidro, ad iniziativa della SEA medesima, nell’aprile 2002, i cui atti sono poi stati pubblicati dalla editrice Giuntina sotto lo stesso titolo del seminario: Ebraismo e rapporti con le culture del Mediterraneo nei secoli XVIII-XX (a cura di Contu, Nicola Melis e Giovannino Pinna). Così specialmente nella documentatissima relazione di Maria Grazia Cugusi.

In questa nuova monografia (si rileva infatti la sua compiutezza) è di tutta evidenza, già soltanto dallo scorrere della bibliografia consultata, l’intelligenza dello scandaglio indagatore e l’esito della ricerca: socio (con il Pincheiro) del console svedese Mandell nella gestione di una fonderia a valle del Leni, per la lavorazione dei minerali estratti nel territorio, Netto fu tra i destinatari del salvacondotto, o disciplinare, reale che stabiliva in dettaglio le condizioni di vita e relazione comunitaria degli ebrei trasferitisi nel cuore della Sardegna. Villacidro contava allora poco più di 3.600 anime.

Abbastanza presto si alzarono accuse (poi rivelatesi infondate) circa abusi che sarebbero stati commessi dai “figli di Sion”, derogando agli obblighi di religione. (Ne avrebbe scritto, un secolo e passa dopo, anche il can. Giovanni Spano, autore di uno studio importante sulla millenaria storia ebraica in terra di Sardegna). E può immaginarsi, soltanto da questo, quanta carica di attualità abbiano pagine che a prima vista sembrerebbero volte soltanto a raccontare di scavi e produzioni per i grandi mercati, ben più che di uomini in carne ed ossa e sempre tribolati…

Storie d’emigrazione e d’emigrati

Terza fatica che merita un cenno almeno di segnalazione, confermando i riconoscimenti di valore della ricerca di Contu (con la brillante collaborazione ancora di Giampaolo Atzei, Raffaele Callia, Manuela Garau e Monia Gemma Manis), è il quadro dei flussi migratori, nel quarantennio 1920-1960, di nostri corregionali nativi di Guspini, Pabillonis, Sardara e Serrenti, alla volta dell’America latina, e più particolarmente in Argentina ed Uruguay. Flussi che, va detto, non sono quantitativamente molto rilevanti, trattandosi infine di una cinquantina di unità complessivamente, ma ciò non di meno rivelatori di una necessità e di uno stato socio-economico (materiale) e psicologico (immateriale) da cui occorreva emanciparsi operando un taglio, imponendosi un’arditezza. 

Sembrano uno “spoon river” in prosa molte di queste trecento pagine dense di notizie ed immagini che restituiscono l’umanità piena dei protagonisti di una vicenda insieme negativa (per la condizione di costrizione alla base dell’abbandono della propria terra, talvolta – e almeno per qualche tempo – della propria famiglia) e positiva per il nuovo radicamento, spesse volte fortunato e felice, nella nuova patria.

Sono quasi una trentina i fondi familiari messi a disposizione della pattuglia del valente gruppo di studio, ed essi integrano le carte comunali dei centri interessati e quelle compulsate presso taluni archivi pubblici, da quello Centrale dello Stato (nelle sezioni degli Affari Generali e Riservati, del Casellario Politico Centrale, della Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, del Ministero dell’Interno) e del Distretto militare di Cagliari a quello del Museo Historico de Avellaneda.

Va ricordato che anche questo lavoro, come il precedente, rimanda molti dei suoi esiti a una progressione di ricerca che, nel caso, dovrà coinvolgere altri 24 comuni della nuova Provincia del medio Campidano. Inquadrata in un progetto internazionale che vuole indagare sui flussi migratori dalle isole mediterranee (e segnatamente la Sardegna, Malta e le Baleari) al continente sudamericano – non esclusi i rari ritorni –, l’indagine si propone in termini autenticamente interdisciplinari, raccogliendo ed elaborando fonti scritte (ufficiali e pubbliche e no: schedari storici comunali, registri delle emigrazioni, archivi dell’AIRE – l’anagrafe degli italiani residenti all’estero – e del CEMLA di Buenos Aires), orali (testimonianze) e materiali (fotografie, filmati, ecc. di appartenenza privata). 

Degni di nota sono i supporti statistici così come le cartine geografiche che aiutano il lettore a meglio collocare nello spazio le vicende narrate. Narrate, va soggiunto in conclusione, con parola semplice e piana, che consente effettivamente di entrare nel vissuto dei protagonisti, anche noi coinvolti, emotivamente, nella loro impresa di vita.

   

  





Fonte: Gianfranco Murtas
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