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Franco Meloni

Le radici antropologiche della nostra città

Una testimonianza preziosa delle radici antropologiche di Cagliari: la Domus de janas di San Bartolomeo e le sue pertinenze topografiche

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di Carla Deplano

img_5516Sullo sperone di San Bartolomeo che si affaccia sul viale Calamosca, in una zona lambita dalle pertinenze militari e dal Borgo di San Bartolomeo, si affaccia una domus de janas che deve il proprio nome al colle che la ospita. Si tratta di una cella funeraria artificiale parzialmente conservata di pianta sub-ellittica di 6 metri di lunghezza ricavata all’interno di una grotticella naturale originariamente modellata dal percolamento dell’acqua, che presenta sulla parete di fondo un’apertura con modanature scolpite nella roccia e una nicchietta del tipo a forno siculo di 1,15 metri di lunghezza x 1,10 di larghezza. I pochi frammenti ceramici rinvenuti dall’archeologo bolognese Francesco Orsoni nel 1878 e durante i successivi rinettamenti sono ascrivibili alla cultura prenuragica Ozieri del Neolitico Recente. img_5521
img_5517Nei pressi della nostra domus de janas insisteva la Grotta San Bartolomeo, da cui provengono le prime tracce della vita preistorica cagliaritana. Oggi non più visibile perché franata in seguito all’apertura di una delle tante cave di calcare da cui trarre la calce per la ricostruzione del secondo dopoguerra, è conosciuta dagli addetti ai lavori anche come Grotta Orsoni dal nome del suo scopritore, che vi condusse le prime indagini nel 1878. Questi rinvenne frammenti di ceramiche impresse Cardiali del Neolitico Antico (VI-V millennio a. C.) decorate a crudo con le valve dell’arsella rugosa (cardium edule) e pertinenti alla più antica colonizzazione del promontorio di Sant’Elia. Emersero anche resti di inumati ed un corredo funerario con vasi Ozieri del Neolitico Recente (IV-III millennio a. C.); pugnaletti in rame triangolari ascrivibili alla cultura Monte Claro, insieme ad altri reperti del Vaso Campaniforme coerenti con una successiva stratigrafia inquadrabile nell’Eneolitico (metà del III-inizi del II millennio a. C.); frammenti di vasi tripodi e ciotole carenate Bonannaro del Bronzo Antico-Protonuragico (prima metà del II millennio a. C.).
Nel complesso, accanto a resti ossei e avanzi di pasto si rinvennero diffusamente punte di lancia, coltellini, raschiatoi e schegge di ossidiana, frammenti di vasellame e conchiglie; tutti i reperti all’epoca furono acquistati dal Museo Preistorico-Etnografico Luigi Pigorini di Roma, dove si trovano tuttora. I rinvenimenti attestano un uso abitativo accanto a quello funerario, similmente a quanto evidenziato nelle Grotte del Bagno Penale, dei Colombi e di Sant’Elia.
Entrambi i siti – la Domus de janas e la Grotta di San Bartolomeo – appaiono in diretto rapporto topografico con l’abitato capannicolo rintracciato da Antonio Taramelli all’inizio del Novecento ad una ventina di metri di quota sopra il porticciolo di Marina Piccola. Il sito, denominato Stazione A di Marina Piccola, ha restituito frammenti fittili cardiali ascrivibili al Neolitico Antico.
A sua volta, questo abitato appare collegato alla coeva Stazione B individuata dallo stesso Taramelli sulle pendici del colle di Sant’Elia in un’area compresa tra l’attuale parcheggio ubicato dopo la caserma della Monfenera e l’inizio di Marina Piccola, in corrispondenza del curvone di viale Poetto. Si tratta di un secondo nucleo di fondi di capanne: una stazione all’aperto con resti di focolari, punte di freccia in ossidiana e frammenti di ceramiche Ozieri.
Proprio di fronte alla domus di San Bartolomeo insisteva un altro sito individuato dall’Orsoni e denominato Grotta di Sant’Elia, ormai non più visibile perché letteralmente fagocitato dalla cava aperta sullo sperone del colle di Sant’Ignazio prospettante sul viale Calamosca e la piana di Sa Mesa. Anche questa grotticella mostrava un rapporto topografico diretto con gli altri per la presenza di ceramica Cardiale e Ozieri, spilloni in rame e bottoni in osso del Campaniforme, ciotole carenate con le tipiche anse a gomito rialzato Bonannaro.
I ritrovamenti di fine Ottocento e inizio Novecento, frutto di sopralluoghi sporadici limitati e molto parziali, rilevano nondimeno fin da subito la presenza di insediamenti all’aperto costituiti da capanne di paglia e frasche di cui residuano unicamente i fondi, affiancate da grotte in cui coesistono l’uso abitativo e (più saltuariamente) quello funerario, con fasi culturali inquadrabili tra il Neolitico Antico e il Bronzo Antico-Protonuragico.
Le domus de janas note più vicine del Cagliaritano rimangono, per ora, quella di S’acqua de is dolus nel territorio di Settimo San Pietro e le mono/bi-cellulari di Monte Zara e Monte Olladiri di Monastir ubicate in prossimità dei villaggi di cultura Ozieri e i cui reperti riferiscono di una frequentazione prolungata dal Neolitico Recente al periodo tardo nuragico (fine IV millennio a. C. – VII-VI sec. a. C.).
Chissà quante altre domus lambivano i colli di San Bartolomeo, Sant’Ignazio e Sant’Elia e si sono perdute nell’opera di sbancamento e scavo che ha interessato ampi lembi di un territorio tanto suggestivo quanto snaturato e svilito per troppo tempo …
In assenza di auspicabili indagini, bonifiche e rilevamenti stratigrafici per il momento l’unica domus de janas visibile e tangibile (accanto ai resti di altre non supportate da letteratura archeologica) rimane quella di San Bartolomeo, quale simbolo solitario e iconico delle nostre più antiche radici antropologiche.
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Le foto sono opera di Carla Deplano, con l’eccezione della penultima (rilievo del prof. Enrico Atzeni) e dell’ultima [ autore Marco Cocco].

Fonte: Aladinpensiero online
Autore: Carla Deplano ARTICOLO GRATUITO
RIPRODUZIONE RISERVATA ©

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Franco Meloni

06 Ago 2025

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