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Gianfranco Murtas

Lettura d’onore del 25 aprile. Il Diario di… prigionia soft d’un sardo nella Germania hitleriana del 1944-1945

di Gianfranco Murtas

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Di buon mattino a piccoli gruppi andiamo al bagno, bisogna ben finire d'ammazzare pidocchi con una buona disinfezione, gli italiani siamo gli ultimi a fare il bagno, il soldato destinato alla disinfezione tira un respiro di sollievo e chiuso il disinfittatoio se ne va per i fatti suoi mentre noi aspettiamo nudi in una stanza malamente riscaldata. Da un pezzo si sente un puzzo di... mah! forse i pidocchi che mortiscono, dice uno, infine ci accorgiamo che il puzzo viene dal disinfittatoio e precisamente dai nostri vestiti che bruciano, viene intanto il soldato apre e una nube di fumo ci investe, le fiamme già divampano, non si può salvare nulla, si butta qualche lavamano d'acqua, non vi sono recipienti e quell'acqua che si butta è insufficiente, fra poco l'intero fabbricato sarà in fiamme, conviene pigliare il largo e seguendo l'esempio degli altri apro una finestra e coperto dall'impermeabile salto sulla neve e via verso una carretta a circa mezzo km., un caccia inglese che volteggia mitragliando picchia su noi però con buone intenzioni osserva l'incendio e s'allontana mentre noi con il cuore in gola c'infiliamo nella carretta, due italiani s'armano di coraggio e di corsa si avviano in paese per mandare qualche straccio, cosa che viene fatta soltanto dai nostri compagni italiani e polacchi, mentre i superiori non si curano di nulla sebbene sappiano che siamo nudi e al freddo, a me danno un calzone e me la filo mentre continua dal cielo il mitragliamento. Nessuno si cura di noi ad eccezione d'una specie di caposquadra tedesco che fa la nota degli oggetti persi… dove si va noi vengono i bombardieri alleati e così anche Bedburg ha la sua con il bombardamento della stazione e continui mitragliamenti, durante questi giorni per non lasciarci del tutto inoperosi ci fanno fare qualche ora di marcia, una mezza giornata andiamo a levar la neve dai camminamenti, un'altra mezza a spalar neve per le strade del paese e ancora un'altra mezza a caricare un po' di sabbia da spargere per le strade per non slittare sulla neve gelata, con ciò si chiude il ciclo d'operosità a Bedburg.


La nota è di Giovannino Sardu Piras, gonnese 36enne, operaio coatto in Germania ancora in quel giorno (28 gennaio 1945) che è forse il duecentosettantesimo del suo purgatorio e precede di giusto tre mesi il suicidio, mai troppo tardivo, di Adolf Hitler l’infernale fuhrer già padrone padronissimo di mezza Europa, padrone anche dell’Italia fascista, o di quanto d’essa è rimasto: dico dell’Italia che a lui s’è consegnata per la propria delittuosa autodistruzione.


Un libro di Angelo Abis

Alla vigilia della santa ricorrenza dell’80° della Liberazione mi giunge, gradito e prezioso, un libro di Angelo Abis che alle vicende della guerra nazi-fascista rimanda con pagine inedite di una storia tanto interessante quanto fin qui, almeno per alcuni aspetti, nascosta. Titolo: Diario di un sardo prigioniero dei tedeschi 1944-1945. Testimonianza scritta di un gonnese che, passata la drammatica esperienza bellica vissuta nei ranghi della Marina Militare, e ancora per qualche tempo nella divisa onorata, a Cagliari trascorse il resto della sua vita, lasciandoci nella primavera del 1985. (Ho avuto ed ho anch’io, nel giro parentale e fra le amicizie di Parte d’Ispi di più solida durata, le stirpi Sardu gonnesi, e Sitzia ecc. e scrivendo oggi, e pur di rimbalzo, di Giovanni, o Nino com’era chiamato – e ripensando alla sua Fiorenza, rodiota ma di robusto ceppo nostro, a Franco e Fausto e agli altri di casa Sardu – mi pare di dare onore anche a loro che hanno arricchito la mia vita).

Va detto che il volume, uscito nelle collane del varesino editore Pietro Macchione, è – relativamente alla sua lunga introduzione – un utile opportunissimo rilancio di quanto Angelo Abis, direttore della testata on line Excalibur (le cui annate sono attualmente in felici riversamenti su carta), scrisse sul suo periodico nell’ottobre 2020 (in stagione covid e di salvifica restrizione sanitaria): “Credere, disobbedire, combattere. L’originale motto del M.M. Giovanni Sardu di Gonnosfanadiga, in un drammatico episodio della 2.a Guerra Mondiale”.

 



Angelo Abis è uno studioso competente e appassionato, mosso sì da idealità assai assai assai lontane dalle mie (che sono, le mie, mazziniane ed azioniste) ma al quale debbo riconoscere, e sempre ho riconosciuto, una apprezzabile capacità di lettura neutra – se l’aggettivo possa qui valere a sottolinearne la serietà dell’approccio alle carte cui va in esplorazione – quando passa dalla pubblicistica (che guarda al corrente e segue anche le vie della polemica di parte) alla saggistica. Nella quale saggistica ha dimostrato – prova dopo prova – una speciale originalità nel reperimento delle fonti per il massimo estranee al “giro” degli interessi prevalenti presso gli storici professionali od accademici e le case editrici di più largo accredito.

Merita qui rielencarli, alcuni almeno, i titoli che egli ha offerto, negli anni, non soltanto alla platea dei suoi consentanei nella destra politica ma anche, e vorrei dire soprattutto, a noi altri che non soltanto dal fascismo ma anche dal postfascismo marchiamo distanze di gusto (come avrebbe detto l’imbattibile Ciccio Cocco Ortu gran liberale) prima ancora che di sentimento ed idee: dal fascismo in quanto esperienza tragica imposta infine dalla nostra patria, ma già dal 1922, anzi dal 1919, gravemente, insensatamente e colpevolmente calatosi come agente diseducativo di un’intera generazione alla quale aveva offerto il modello di una nefasta dittatura guerrafondaia e razzista; dal postfascismo per il carezzamento mai negato né agli estremisti della piazza né ai devianti in certe pubbliche istituzioni comprese le forze armate. Ché ben sappiamo come alla elaborazione della carta costituzionale – il nostro vangelo civile – il postfascismo (o neofascismo) materializzatosi in partito politico per riunire i nostalgici del ventennio condotto in duumvirato con i Savoia ed i neri repubblichini salodiani sia stato totalmente estraneo, e ancora permanga distante e perfino avversario dei suoi presupposti, delle sue luci e della sua grazia.

Eccoli i titoli bibliografici che recano la firma di Angelo Abis, la cui lettura mi permetto sempre di consigliare a chi, visitando la mia biblio-emeroteca sempre aperta alla fruizione pubblica, mi pare incuriosito dalla abbondanza dei testi illustrativi delle vicende della destra politica novecentesca presenti nella sezione della storia contemporanea: L’ultima frontiera dell’onore: i sardi a Salò (2009), Il fascismo clandestino e l’epurazione in Sardegna 1943-1946 (GIA, 2013), Neofascisti: le origini del Movimento Sociale italiano in Sardegna: 1943-1949 (con Giuseppe Serra, Macchione, 2016), Sud Est: rivista culturale del GUF di Cagliari: tra sardismo e fascismo (ancora con Giuseppe Serra, 2021), I sardi a Salò (Macchione, 2022). La scrittura rapida e precisa e sempre strettamente associata al documento dal quale sa rilevare e rivelare l’umanità, non soltanto la dottrina o l’incidente di vita, di chi vi s’è rispecchiato con senso di appartenenza (ora critico ora, purtroppo, acritico e allineato), ha favorito – da quanto ne sappia, e credo di saperlo bene – una larga diffusione di questi lavori: dico di lavori che ancor più meriterebbero, oltre alla gratificazione del riconosciuto (e rispettato) deposito a futura memoria, il confronto d’opinioni con quanti obiettano la marginalità creativa (e la mancanza di eroi, di esemplarità democratiche) della destra italiana nella costruzione della nuova Italia repubblicana, europeista ed atlantica, quale fu impostata, a partire dai confinati a Ventotene! nella resistenza e dopo, da uomini di pur assortita estrazione. Così del cattolicesimo popolare (quello che era stato di don Giovanni Minzoni, assassinato nel 1923, e anche di don Luigi Sturzo costretto all’esilio ventennale) e del socialismo riformista turatiano tanto di frequente bollato dalle infami sentenze del Tribunale speciale, del liberalismo pedagogico e dell’azionismo di radice amendoliana o giellista (e anche sardista) aperto alle visioni della più laica modernità civile e socio-economica, insomma di quel vasto arco che rimandava alle grandi scuole del pensiero politico continentale (e che per lunghi decenni fu cosa – obiettivo ed impresa – purtroppo aliena, nonché alla destra, anche alla sinistra comunista di cieco rimando sovietico, la quale pure un immenso contributo aveva offerto alla causa dell’antifascismo militante e combattente).


23 e 24 febbraio 1945

Prima giornata di vero lavoro alla stazione per rimettere a posto i binari divelti, smettiamo alle 18,30 e siamo ricompensati con una, dico una sigaretta, vorrei rifiutarla e dire al sor capo “sciase” ma poi la piglio e la fumo.

Nottesta birau a Fiorenza, sroga, senora stella, Fiorenza coiada c’unu russu e totu a is tresi in pari tranquillus, tottu sa di non fazzu atru che penzai a Fiorenza.

Tutto il giorno continue corse dalla stazione al buncher. Alle 16,10 nuovo allarme, pigliamo gli attrezzi e via a casa, al passaggio a livello un caccia picchia e meno male che non sgancia se no… il passaggio dei ponti è fatto alla lesta, siamo vicini a casa, cinque caccia ci ronzano sul capo, non so se osservano il traffico o i ponti, s’allontanano, uno picchia ci precipitiamo in un camminamento, alzo la testa e nelle vicinanze del ponte s’alza una nera nube di fumo, un altro caccia picchia e sgancia ancora due altri, le bombe scoppiano con ritardo senza centrare, un altro picchia e sgancia in direzione della casa ma la bomba va lontana, s’allontanano i caccia…


Due o tre premesse. Patrioti furono i partigiani, non i fascisti

Debbo ancora insistere in questa mia premessa d’accompagno al riflessivo commento della bella fatica editoriale di Abis, non certo per diminuirla ma invece per contestualizzarla: ciò anche e soprattutto per rispetto al curatore (oltre che a chi pazientemente mi legge), trattandosi di una materia che nel mio giudizio non può prescindere – assolutamente non lo può – dalle figurazioni ideali in cui, fin dalla più giovane età, ho innestato la mia vita ora al capolinea e che tanto si scostano da quelle, appunto, di Abis. Ché sempre mi pare una banalità di zero valore l’assunto (dalla destra proveniente come ripetitivo slogan di spavento) che il dirsi antifascista in un’epoca che vede il fascismo superato (battuto, sconfitto) già da ottant’anni non abbia senso alcuno. Io credo il contrario: che qualsiasi generazione viva la propria contemporaneità avendo una matura consapevolezza della diacronia del suo svolgimento, dunque delle sue pagine dialettiche o di contrasto così come di quelle delle sue naturali maturazioni, comprenda nella propria anche l’esperienza dei padri e dei nonni e dei più remoti ancora, nel quadro della grande storia (che, crocianamente, è sempre storia contemporanea)… Per cui ancora oggi, per dirne una, ha certamente senso che, davanti al rifiuto del cardinale (ateo) Camillo Ruini di celebrare i funerali religiosi a Piergiorgio Welby per il suo “delitto” di liberazione dalla sla, ci s’interroghi sulla coeva beatificazione del papa Pio IX che pure aveva azionato la ghigliottina sul collo dei condannati dello Stato pontificio chissà quante volte e fino alla “campagna Asproni” del 1868. Quando erano già sulla scena del mondo i nostri nonni e bisnonni.

Dunque la nobiltà di un antifascismo dichiarato claris verbis contro ogni riduzionismo di convenienza rimane in permanente conforto di chiunque, venuto al mondo dopo la guerra e tanto altro, abbia udito e memorizzato fin da bambino dai notiziari radiofonici, o abbia adocchiato sulla prima pagina del giornale che entrava in casa, i progressivi rinforzi della democrazia repubblicana, aperta agli incontri e agli scontri in tutta e piena libertà. E questo abbia colto, nutrendosene, già appunto in quei pur tribolati passaggi fra anni ’50 e anni ’60 – quelli della scuola elementare e della media –, scoprendo sempre più e meglio il mondo d’attorno ed anche quello lontano, le logiche della religione e della politica, della scienza e dello spettacolo o dello sport, della decolonizzazione in avvio presso i continenti raccontati dai grandi giornalisti e della rinascita promessa al territorio di casa.

Allora, già allora, parve chiaro ai nuovi venuti nell’Italia bella e fiocchettati scolari delle classi della scuola Santa Caterina e disciplinati poi della Numero 1 (ribattezzata presto Giovanni Battista Tuveri, caro padre repubblicano! con le lezioni del professor Fernando Pilia) come il patriottismo fosse quello del rosso sangue dei resistenti. Nel primo centenario dell’unità d’Italia (1861-1961), negli esordi della politica di Rinascita (1962) e dell’apertura alla responsabilità di governo della sinistra di classe (1963) venne nell’insegnamento, sì venne nell’insegnamento adeguato alle età delle scolaresche, quel che anni e decenni dopo il presidente Carlo Azeglio Ciampi – resistente azionista nella sua giovinezza – avrebbe riassunto nella formula mirabile “Risorgimento – Resistenza – Costituzione”. Dove “Costituzione” voleva e vuol dire “Repubblica” con tutte le garanzie di libertà per i suoi cittadini.




Mi premeva sviluppare queste puntualizzazioni, chinandomi davanti alla ricorrenza del 25 aprile, per andare poi nella più serena e intelligente lettura del Diario Sardu e della riposata introduzione a questo offerta da Angelo Abis.


10 marzo 1945

Continua il passaggio di profughi e tanti camminano verso levante senza meta.

Nanta ca is sordaus funti demoralizzaus e de is cumbattimentus che anti apistau nanta ch’esti un inferru.

Oggi ho deciso di far festa non solo materialmente ma anche moralmente. Ieri sera chiesi a quella specie d'aiutante sciancato magro come un chiodo se potevo stare a casa per andare in chiesa a confessarmi, lui a me mi ha facilmente capito, io non capivo tanto specie quando m'ha detto di andare alla messa delle 6,30 e poi al lavoro, non ho fatto che dirgli "nichis fusten" fintanto che me l'ha fatto capire a mosse e così ho studiato il piano di far festa tutto il giorno. Prima delle 6,30 sono in chiesa, c'è poca gente che confessa, attendo il mio turno, sono l'ultimo, ho preparato il discorsetto da fare al prete parte in tedesco parte in latino, inizio: "Ic italieno, nichs sprechen doic" lui mi domanda se mi arrangio in latino e alle mie affermazioni inizia le domande e m'arrangio, con disciplina prettamente tedesca poi si fa la comunione e prego tanto specie per Fiorenza e famigliari tutti, sono uscito contento e allegro. Ero dal mese di luglio a Hemer senza confessarmi e comunicarmi (20.7.44)… Torno dalla chiesetta per far colazione e andare al lavoro, quel vecchio baccuco tedesco che fa da piantone mi dice d'andar a sbucciare patate, non discuto sapendo che il lavoro è poco e breve e c'è la possibilità di grattar un po' di patate e così ne avrò sbucciato una cinquantina fra grandi e piccole e me ne sono prese ventitré scelte fra le più grandi e migliori.


Nella Marina Militare, e di Agostino Napoleone

Ancora restando nel mio ambito ideale, e scorrendo le intense pagine dell’opera – dico quelle scritte in tempi tanto cupi dal capo cannoniere mio corregionale e quelle del curatore della loro pubblicazione, non potrei neppure allontanarmi da quanto io stesso, ancora poche settimane fa, e ancora sul filo delle vicende della Marina Militare in guerra, ho scritto evocando i martiri sardi alle Fosse Ardeatine: di tanto prendendo lo spunto dalla magnifica produzione di studi dell’amico mio Martino Contu (che in ultimo ha saputo coinvolgere nelle letture e nuove ricerche sociali i suoi studenti del territorio villacidrese-gonnese-guspinese che fu lo stesso di Sardu), e ricordando fra i nove assassinati anche Agostino Napoleone che appunto di Giovannino Sardu fu commilitone e che, sia pure parzialmente, condivise le avventure belliche dei primissimi anni ‘40.

Celebro Agostino Napoleone con le parole stesse, essenziali, di Contu: «Nacque a Cagliari il 14 settembre 1918 da genitori carlofortini… Rimase orfano di padre a 13 anni. Diplomatosi all’Istituto nautico Buccari di Caliari, negli anni 1938-39 si imbarcò come allievo ufficiale in una nave traghetto della società di navigazione Tirrenia. Nel 1940 fu ammesso a frequentare il 35° Corso Allievi Ufficiali di Complemento per diplomati [a Livorno]. Promosso, fu imbarcato come ufficiale di rotta sulla regia torpediniera Polluce. La nave fu coinvolta in diverse azioni militari nel mar Mediterraneo per difendere i convogli diretti in Libia dagli attacchi aerei e navali degli inglesi… Il 4 settembre 1942 la Polluce, colpita da una bomba lanciata da un aereo nemico, forse del tipo “Baufort”, affondò nelle acque libiche. Si salvò gran parte dell’equipaggio e anche lo stesso Napoleone che, qualche settimana dopo, fu destinato alla IV squadriglia motoscafi antisommergibili (MAS) dislocata a La Maddalena. Il 19 luglio 1943, Napoleone, al comando del MAS 504, partì a Voltri. Il 9 settembre del 1943, il giorno dopo l’annuncio dell’armistizio, fu coinvolto in uno scontro a fuoco contro le forze tedesche che occupavano il porto di Voltri. Poco dopo si unì ai sottotenenti di vascello Fiorenzo Semini e Augusto Zironi, suoi giovani colleghi, e insieme lasciarono l’Italia del Nord. Giunti a Roma, aderirono al Fronte Clandestino di Resistenza della Marina. Ma il 15 marzo del 1944… in seguito a una delazione, i tre ufficiali di Marina vennero arrestati dalle SS nella loro abitazione di viale Liegi 7 e subito tradotti nel carcere di via Tasso per essere interrogati e torturati. Qualche giorno dopo, il 24 marzo, i tre furono trucidati alle Fosse Ardeatine. Napoleone aveva 25 anni. Decorato con la Medaglia d’Argento al Valore Militare ».

Tanto in Pasqualino Cocco Agostino Napoleone. Lettere e documenti inediti di due militari Martiri delle Fosse Ardeatine, Centro Studi Sea, 2004 (curato da Martino Contu con Manuela Garau) quanto nel precedente e apripista I martiri sardi delle Fosse Ardeatine. I Militari, Cagliari AM&D, 1999, Contu propone la biografia del giovane marinaio isolano del quale mi è sembrato doveroso fare adesso richiamo, nella sofferta, soffertissima consapevolezza che senza il sacrificio degli innumerevoli Agostino Napoleone, degli innumerevoli resistenti e anche martiri, noi non godremmo oggi delle libertà ch’essi hanno conquistato per noi più che per sé, vista la cattiva fortuna che li ha tolti di mezzo tutti così giovani, e quanti in quale tragica crudeltà!

Peraltro è forse noto il nome anche di quanti altri militari inquadrati nelle gerarchie della Marina Militare condivisero con il nostro Napoleone la triste sorte: Francesco Ciaravella 27enne marinaio pistoiese, Antonio Pisino pure 27enne sottotenente CREM leccese, i sottotenenti di vascello Semini cuneese e Zironi modenese entrambi 24enni, il secondo capo segnalatore Ilario Zambelli livornese coetaneo del nostro Sardu, classe 1909.


14 e 20 marzo 1945

Mattinata nebbiosa e fredda, lavoro fino alle 11, l'allarmi ci porta in buncher e la caccia dopo varie evoluzioni si butta diabolicamente in picchiata seguita poco dopo da bombardieri, rilevanti i danni, vagoni bruciati, esplosivi che scoppiano, schegge che sibilano, tutta la notte i vagoni bruciano verso le... È sempre come il solito!!! alle 11 allarmi, fuga verso il rifugio e naturalmente bombardamenti…

Furau susu in stazioi cottus e crus pistoccus e pai, a meri mindanti sequestrau 15, cruus. Stamani l'incendio d'ieri non era ancora spento…

Oggi peggio di ieri, la sveglia ce l'han fatta verso le quattro o anche prima e con un forte vento e anche pioggia siamo andati al lavoro, non abbiamo fatto in tempo a posare le penne (badili) che ci viene ordinato d'andare in un altro posto non so a che fare, una volta arrivati dopo un po' di riposo siamo tornati indietro fino a mezza strada ove abbiamo incontrato due ufficiali della Todt e ci han fatto tornare indietro, altro periodo di riposo e poi ci consegnano cinque badili per uno e a mezzogiorno in pieno allarmi siamo nel canale ove depositiamo i badili …, torniamo poco dopo al lavoro e fra lavarci girare e rigirare viene il secondo allarmi preceduto dal passaggio di numerosi caccia, la contraerea inizia rabbiosa i suoi colpi mentre numerose si avvicendano nel cielo formazioni di quadrimotori, nel viso di ognuno si legge la preoccupazione, abbiamo paura che sgancino come il solito gragnole di bombe, non si fanno tanto attendere, alle spalle, sulla nostra destra e poi davanti si odono scoppiare con infernale fracasso, tre bombe scoppiate a meno di cento metri e credevo giunto il momento dei conti definitivi, mi sono rivolto a S. Antonio, al Sacro Cuore di Gesù a S. Vitalia, S. Maria Acquas, S. Fra Ignazio da Laconi e a tutti i santi e è venuta la fiducia che anche in quei terribili momenti (una mezz'ora) me la sarei cavata perché al Signore non ci si rivolge invano, è stata tanta la calma che durante lo sgancio come pure mentre scappavano ho continuato a pregare quasi imperturbabile e sicuro nella vittoria finale. In quanto al bombardamento d'oggi (quello subito da Waltrop) non è considerabile soltanto come azione di guerra ma anche come assassinio ben premeditato. Bombe sono state sganciate un po' dovunque sia nell'abitato su case inermi che in apertissima campagna ove non vi è alcun obiettivo militare o cose del genere, fra i piloti della RAF che in quelli delle Forze Aeree S. U. immagino vi sia una forte percentuale di delinquenti e non di soldati. Se come un tempo diceva la stampa inglese "i tedeschi bombardavano a casaccio senza scelta di obiettivo", oggi si può dire altrettanto degli alleati e incolparli non solo di bombardare i paesi a casaccio ma di bombardare anche i "lager" ove viviamo gli internati di tutte le nazionalità alleati degli anglo-americani e una piccolissima parte di tedeschi. I signori anglo-americani come bombardano noi italiani, francesi, belgi, polacchi, serbi, croati, russi ecc. ecc. bombarderanno anche i lager ove sono i prigionieri anglo-americani? Questa non più guerra, è assassinio che disonora i belligeranti.


Le qualifiche purtroppo della destra e, ciò nonostante…

Restano le tare, a mio avviso, in quanti, pur minoranza, oggi balzati a comandare in Italia (governo e, alla grande, sottogoverno un tempo tanto deprecato) e comandare senza un briciolo di autorevolezza patriottica e con penosi e paganissimi garbugli tardoberlusconiani, hanno protratto, fino all’attuale primo quarto di secolo, una certa cultura politica curtense, moribonda nella pervicace asfissia sovranista o nazionalista.

Ma la produzione saggistica di Angelo Abis, ho detto, investe altro e lo investe al meglio: entra nella sua ricostruzione storiografica (fra la raccolta di una certa memorialistica e lo spoglio di preziose carte d’archivio, anche e soprattutto d’archivio privato) la stagione lontana della guerra, che fu anche guerra civile nel maggior quadro in cui debbono entrare certissimamente le valenze anche morali, non soltanto politiche, ispiratrici delle più cattive manovre militari. Perché è comunque chiaro che il giusto fu nell’alleanza antinazifascista ed il male fu nel ributtante degli ordini di Hitler e Mussolini, così fino allo zittimento delle loro voci.

E proprio con riguardo particolare alla sorte dei nostri militari – fra cui il nostro Sardu fattosi diarista – chiamati al rovesciamento di fronte nel giorno dell’armistizio, m’è capitato, pochi mesi fa di accompagnare con qualche riga un articolo che l’amico mio Fabio Maria Crivelli – dal 1954 al 1976 e poi dal 1986 al 1988 alla direzione de L’Unione Sarda – aveva confezionato e diffuso, allora ragazzo diciannovenne e giusto alla vigilia della sua chiamata alle armi e alla guerra, enfaticamente laudativo dell’aggressione italiana alla Grecia compromessa con la “perfida Albione”: mai immaginando quanto la realtà fosse diversa da quella della propaganda di regime, e mai immaginando quanto sarebbe stato chiamato a scontare lui stesso combattente ora ventiduenne – per non aver voluto aderire alla Repubblica di Salò – nella sequenza di ben dodici campi di prigionia fra Germania e Polonia. Presentai quell’ingenuo testo come prodotto del « delitto» storico quale fu il fascismo « anche sotto il profilo della pedagogia civile e morale esercitata nei confronti delle generazioni venute su negli anni», fra il 1922 ed il 1943! Benché poi non fossero mancati, per sussulti di coscienza e maturata intelligenza dei fatti, i riscatti…




Giovannino Sardu figlio di Francesco (Sardu Camboni), calzolaio in Gonnos, e di Catterina Piras, all’indomani dell’armistizio dell’Italia con gli alleati non si sente di far strappi d’idealità nella sua vita, non passa – come altri faranno – nelle file della resistenza né però aderisce alla Repubblica Sociale di Mussolini. Coglie l’occasione… pragmatica che gli si offre, sperando di trovare in essa il modo di guadagnar tempo e raggiungere, in un prossimo calendario, la sponda della ricomposizione della sua piccola famiglia. È stato sottocapo della Marina nelle guerre coloniali africane e capo cannoniere della prima batteria antiaerea a Rodi – nell’italiana isola di Rodi – quando il duce ha dichiarato la sfida a Francia e Regno Unito portando – lui ateo e di cattivi costumi – la patria di Francesco d’Assisi e Dante, di Michelangelo e Manzoni dalla parte del fuhrer austro-tedesco. Proprio tre mesi dopo il bellicoso discorso di Palazzo Venezia ha abbattuto, senza esserne autorizzato e anzi contro le decisioni dei suoi superiori (che, a successo ottenuto, se ne prenderanno abusivamente il merito!) un bombardiere inglese.

Ma la svolta militare dell’autunno 1942, con il rilancio delle forze mediterranee degli alleati, preludono a nuovi assetti del conflitto fra i due fronti. La capitolazione italiana costringe i nostri in armi a cedere ai burgundi divenuti, da alleati (complici), nemici ed a cercare scampo chi in una direzione chi in un’altra. E la via colta da Sardu è quella, ideologicamente direi quasi neutra, di arruolarsi nella TODT –, una organizzazione cui compete il coordinamento delle imprese di costruzioni in obbedienza a Berlino ed operativa, dopo che in Germania, anche nei territori esteri conquistati dalla Wehrmacht. La sua qualifica – lo spiega bene Abis riferendo del suo “ingaggio” sassone alla Grum e alla Beffing – è quella di lavoratore straniero al servizio di compagnie tedesche. Così per quasi venti mesi, lavorando ora qua ora là, ma più spesso dandosi a sottrarsi, e sempre con arrischiata fortuna, alle esplosive “piogge d’acciaio” scatenate dall’aviazione anglo-americana. Le stesse conosciute a Cagliari – e a Gonnosfanadiga il 17 febbraio 1943! –, a Napoli e Roma, e in quanti altri luoghi della penisola.

Così fino al 1° aprile (o anzi al 31 marzo) 1945 quando saranno gli americani ad acquistare… il pacchetto della TODT o di quanto d’essa è rimasto, portando sotto il suo controllo svariate migliaia di lavoratori…


La libertà conquistata

… parlo con russo e mi assicura di aver visto lui i carri armati americani, giro lo sguardo ed esposte vedo le bandiere bianche in varie case, esco di nuovo e trovo un francese ex prigioniero, anche lui mi assicura e in breve prepariamo i bagagli e partiamo, sulla strada incontriamo i carri armati americani, un nodo mi viene alla gola, ho gli occhi bagnati dal pianto, finalmente liberi, il Sabato Santo non è venuto invano .

Il grazie al Cielo lo canta, Giovannino Sardu, in una chiesa – scrive lui – di Olfrem, verosimilmente Olfen, nella Renania Settentrionale Westfalia, cioè nella regione confinante con Belgio e Paesi Bassi e di cui Colonia e Dusseldorf sono le città maggiori e più conosciute.

Egli ha ricevuto, da bambino e ancora adolescente, una sua buona educazione religiosa dal rettore can. Salvatore Cabitza che, ormai dal 1902 e via via con i suoi vice – e don Pietro Casti eccelle nel novero anche come organizzatore dei circoli giovanili dell’Azione Cattolica –, ha promosso fra le classi del catechismo nell’antica e bella parrocchiale di Santa Barbara (rimasta sola in paese dopo il crollo, nel 1911, della filiale intitolata al profeta Elia).

E, d’altra parte, è evidente, tale formazione spirituale e devozionale (ben colta da Abis con l’attribuzione del «cattolicissimo, con un alto senso morale» all’autore del Diario) in numerose pagine in cui il rimando a Dio, alla Vergine ed ai santi del Cielo s’esprime in un autentico… rosario di invocazioni e (ben motivati) ringraziamenti per gli scampati pericoli.

Il Diario è effettivamente tale, raccoglie cioè registrazioni quotidiane lungo 522 giorni (23 gennaio 1944 – 1° luglio 1945): entrano in esso i fatti e gli umori, si sviluppa nelle sue pagine la cronaca, vissuta e rivissuta in termini personalissimi, di settimane e mesi di rischio continuo, di fame e precarietà. Scrive bene Abis: in esse è la «freschezza dell’immediatezza » : cosa cioè portava il Nostro «a giudicare il prossimo, amici o nemici che fossero, secondo un metro che non si lasciava imbrigliare da valutazioni ideologiche o politiche, anche se di tanto in tanto si palesa un robusto sentimento nazionalista». Quale – posso osservare io – forse non poteva non essere, considerata la formazione scolastica nella prima età e considerata l’organizzazione sociale imposta dalla dittatura a Gonnosfanadiga non meno che al resto dell’Italia, ma considerata anche la cultura militare assunta già da giovanissimo, alla fine degli anni ‘20, all’atto cioè dell’arruolamento in Marina con i giuramenti – prescritti ma anche dati convintamente – di fedeltà alla patria e al re…

Oltre che puntuali nella registrazione delle sue vicende, le note diaristiche di Nino Sardu paiono volersi connotare, spesse volte, dagli input della… futura memoria: come se si volesse farne un deposito per un ripasso, magari condiviso, in un tempo venturo, di pace finalmente riconquistata, chissà… Chissà se quest’uso sia stato fatto in concreto, presentandosene l’occasione, magari nelle cadenze del 25 aprile anno dopo anno, nei quarant’anni di vita di Nino Sardu successive al 1945.

Concludo. Mi auguro che il prezioso volume possa circolare in Sardegna, nelle scuole soprattutto – s’intende adeguatamente inquadrato dai docenti di storia - e circoli in primo luogo a Gonnosfanadiga, che le tragiche conseguenze della sciagurata guerra voluta dal duce del fascismo ha sofferto, come ho ricordato, nella sua carne. La scuola insegni ai ragazzi quanto malvagi possano essere i miti nazionalisti e imperialisti. Ma oso dire anche, da mazziniano nell’A.D. 2025, quale brutta cosa sia la destra anche d’oggi, rozza nel suo antipatriottismo camuffato dalle chiacchiere più tronfie, che non può vantare fra i suoi padri nessuno – assolutamente nessuno – di quelli che la patria hanno “costruito” nel tempo faticoso del Risorgimento e del postRisorgimento, né Mazzini o Garibaldi né Cavour o Vittorio Emanuele II, né Giolitti od Orlando, né Asproni o Cocco Ortu, e neppure di quelli che la patria hanno “ricostruito”, né Sforza e Ruini né Croce ed Einaudi, né De Gasperi e Saragat né Parri e Nenni, né Terracini, Moro ed Antonio Segni né La Malfa, Pacciardi, Valiani, Calamandrei, Lina Merlin, Pietro Mastino ed Emilio Lussu! …


Piluccando nel Diario

Del 31 marzo e poi del 1° aprile, domenica di Pasqua 1945, sono queste note:

… sulla strada incontriamo i carri armati americani, un nodo mi viene alla gola, ho gli occhi bagnati dal pianto, finalmente liberi, il Sabato Santo non è venuto invano. Ero sicuro che Iddio e Sant'Antonio non mi avrebbero fatto fare un'altra Pasqua da prigioniero. "Sia lodato Gesù Cristo".

Verso le 10 procedendo come tartarughe arriviamo a Hullern piccolo paese agricolo ove una donna a me e ad un altro ci da tre fettine di pane spalmate di strutto, anche in quel paese la chiesa è già chiusa, il prete se ne andava mentre noi ci dirigevamo là. Cuciniamo un po' di patate mangiamo e dopo un po' ripigliamo la strada che abbonda di gente di ogni razza. Lungo il fosso stradale giacciono due cadaveri di soldati tedeschi, certamente opera dei russi o dei polacchi è quella d'averci levate le scarpe e frugate le tasche, intorno ai duo cadaveri sono sparpagliati fotografie e documenti…

I russi a gruppi si danno allo svaligiamento sistematico, in una casa ove abbiamo fatto le provviste v'è un russo che rompe (non apre) i barattoli di vetro, assaggia e vuota in un secchio mischiando piselli, marmellate, fave cotte, ciliegie, zucchero e ogni sorta di commestibili; lo apostrofo in malo modo…

… frugando trovo bene ordinato un ricco corredo per signorina, forse una fidanzata o una sposina novella ne era la padrona, sopra il cassettone v’e una Madonna, il crocefisso, vari santi che sembrano guardarmi, penso a Fiorenza, all'amore con cui preparò il suo corredo nuziale, alla cura gelosa che ne aveva, tutto mi passa davanti agli occhi come due anni fa circa e smetto di frugare ed esco senza asciugamano…

Il 12 aprile:

Ho fatto il conto di quelli scappati della Todt e la cifra sebbene esigua è consolante, dei 29 italiani presenti a128 marzo 13 siamo scappati e li elenco secondo l'anzianità iniziando da me il "più vecchio". 1° Sardu, Fenili, Ferrari, Beltrame, Lorini, Devecchia, Boccacci, Perotti, Braga, Busti, Grossi, Costantini, Tondelli. Voglio sperare che a noi tredici si aggiunga quanto prima il nome degli altri 16 che non la sfortuna ma la fifa ha fatto proseguire con quegli assassini. - varie migliaia di prigionieri di guerra attraversano il paese, sono stivati come acciughe. Dovrei dire: Vi sta bene.

Il 21 e 23 aprile:

Per la strada rompiamo una ruota del carrettino e siamo obbligati a caricarlo su un altro e farcelo portare da un tedesco… Povero Hitler se vedesse i suoi tedeschi come si sono fatti servizievoli!!

… Forse questo sarà l’ultimo giorno che si passa nel vecchio “lager” degli italiani, sembra che gli Americani vogliano raccoglierci in un medesimo campo, intanto han promesso che il rancio invece d’esser unico e scarso saranno due abbondanti e buoni, la mattina caffelatte…

Ai primi di maggio e il 9:

Dai compagni di prigionia che sono stati a Danzica mi vien confermato sotto giuramento che prigionieri russi provenienti dalla Russia per la fame sofferta durante il trasporto s’erano cibati dei compagni morti durante il viaggio, in tanti vagoni furono contati venti cadaveri e buona parte mancavano delle parti più carnose… Un altro racconta che italiani tubercolosi arrivati a Danzica non potendo scendere dai vagoni perché troppo deboli erano buttati giù da un russo su un telo da tenda tenuto da altri quattro russi e ruzzolati da un lato…

Ieri 8 maggio dicono che sia finita la guerra, la notizia non ha entusiasmato alcuno, è in Italia che vogliamo andare, in quell’Italia su cui tutti i maggiori briganti del mondo han mandato le loro orde ad insozzarla.

Il 19 e il 20 maggio:

… l’iugoslavia vorrebbe Trieste e cioè tutta l’Istria e naturalmente Fiume e forse Zara, a che è servito il passaggio della flotta agli alleati, il concorso alla guerra contro i tedeschi? È inutile ci vogliono mutilare e mutilandoci domani dovremo fare una nuova guerra, ebbene mutilateci Liberatori d’oltremare, domani vi daremo filo da torcere ancora…

… L’occupazione dell’Istria da parte di Tito voglio sperare siano chiacchiere insulse, siamo in diversi pronosticare in tal caso una guerra tra Italia e Iugoslavia e naturalmente verranno in aiuto dell’Italia gli Anglo-Americani e per gli slavi i russi. Certamente in tutto ciò lo zampino dell’orso moscovita c’è.

Il 28 maggio:

Oggi c’è stato il cambio della guardia e abbiamo perduto gli americani e trovato gli inglesi. Si dice che in Italia hanno ammesso il divorzio, non faccio commenti in merito. Il notiziario londinese dice che per rimpatriare gli stranieri dalla Germania occorreranno quattro mesi, speriamo che non sia fra gli ultimi.

Il 3 giugno:

La radio alleata comunica che dei 650.000 prigionieri italiani solo ¾ siano ancora vivi. Dio sa cosa penseranno le nostre famiglie! Barbari tedeschi la state pagando però! Branchi di femmine d’ogni età s’aggirano per le strade, per un pezzo di pane o un po’ di segala si danno come cagne. Dov’è il vostro orgoglio? Non ricordate quando vedevate un russo, un polacco e anche un italiano ci guardavate come se fossimo appestati?

Il 20 giugno:

Sempre Fiorenza e mamma per la testa. Quando vi raggiungerò!?

Fonte: Gianfranco Murtas
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