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Nella gran giostra dei centenari, fra Assolo e Is Mirrionis-San Michele. Un racconto di famiglia

di Cleliano Aru

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Redazionale

Ha fatto benissimo L’Unione Sarda di oggi martedì 13 aprile a celebrare, nella sua pagina di cronaca cagliaritana, la signora Lucia Cois ved. Minnei al compimento perfetto dei suoi felici cento anni festeggiato dai due figli Gilberto e Gianfranco.

Originaria di Assolo, la signora Cois ha perso il marito – il carabiniere Zenobio Minnei, anch’egli assolese, classe 1906 – nel 1987 ed ha condotto la sua vita, con la disciplina dei migliori, fra gli affetti familiari ed i lavori domestici. Con semplicità e senso del dovere, che è quanto sarebbe bastato; ma di più: con quello spirito rurale campidanese, umile e operaio, che, ancora giovane, portò nella residenza cagliaritana di Is Mirrionis e “contagiò” ai tanti “cittadini” con i quali via via entrava in confidenza in quella periferia urbana allora in pieno sviluppo.

Sarebbe da dire che la famiglia Cois nella sua radice marmillese (ai piedi della Giara di Gesturi) è conosciuta anche dagli… statistici e demografi per la longevità della schiatta: una sorella – è Cesarina e vive ancora, ben assistita, in paese – va per i 103 (li compirà ad agosto), mentre il fratello Ernesto, classe 1907, agricoltore, aveva sfondato anch’egli il secolo andandosene alcuni anni fa.

Valga adesso come augurio aggiuntivo alla signora Lucia ed a sua sorella Cesarina l’affettuoso ricordo di quel loro fratello maggiore che fu guida e cemento della famiglia. All’indomani della sua scomparsa egli fu biografato, con ammirata cordialità, da Cleliano Aru in un articolo apparso su La Gazzetta del Medio Campidano del quale riportiamo qui di seguito il testo.

 

Vita e virtù d’un centenario, fra Assolo e Villacidro 

Originario di Assolo, dove ora riposa e che lo festeggiò ai primi dello scorso dicembre, aveva risieduto negli ultimi anni a Villacidro, ospite dei figli – Un film fotografico e un c/d di memorie, tutte rigorosamente in lingua sarda


di Cleliano Aru

E’ una storia bella nella sua delicata semplicità, e purtroppo con esito finale doloroso, quella di un centenario del nostro Campidano medio/alto – fra Villacidro ed Assolo – che si congeda dalla vita giusto all’indomani del suo capitale genetliaco, pago forse del traguardo raggiunto e insperato: si congeda da chi egli, ricambiato, ha amato sempre, senza cedimenti e con la discrezione dei vecchi sardi di campagna; si congeda dalla sua missione di presenza in quel residuo di relazioni sociali che l’età gli ha consentito, facendolo terminale di attenzioni ed affetti.

Ernesto Cois, classe 1907, aveva festeggiato il suo compleanno il 28 novembre, tornando qualche giorno dopo, da Villacidro – la residenza offertagli nell’ultimo decennio dalla figlia Annunziata e dal genero Giuseppe Pibiri– alla sua casa di Assolo, per l’occasione rinfrescata e abbellita con il concorso dei più volenterosi. La messa nella parrocchiale di San Sebastiano, il saluto ufficiale del sindaco e dell’amministrazione in municipio, il pranzo comunitario con una sessantina di compaesani ed amici di famiglia in casa. Ecco i tempi della festa.

Della scena di tale festa, a ridosso quasi del Natale 2007, aveva goduto, vedendo ed ascoltando quanto per lui era stato preparato: così era la proiezione alla quale il figlio Franco aveva lavorato da tempo, fissando su nastro le immagini più remote di quel piccolo (per popolazione, non per territorio) comune dell’Oristanese; così era per i discorsi ufficiali, ma non di meno carichi di sentimento, delle autorità civiche e per quelli dei suoi cari: questi ultimi rappresentati, per la generazione più giovane, dal nipote Nicola, e per quella intermedia dal figlio Franco. Il quale, per sovrappiù, gli rendeva in pubblico un personalissimo e commosso grazie per avergli consentito, fra mille sacrifici, di affrancarsi dalle durezze della vita di campagna e di studiare e sviluppare una carriera tanto difficile quanto gratificante come direttore di banca in mezza Sardegna dopo che a Villacidro (dove ancora conserva solidissime relazioni).

Ecco il testo del discorso tenuto da Franco Cois per celebrare suo padre, uomo di lavoro e bontà. E, a seguire, il saluto di Nicola, anche a nome delle sorelle e dei cugini villacidresi.

Grazie, babbai

Dopo la morte di mia madre, avvenuta nel 2000, tutto è cambiato nella vita di mio padre Ernesto Cois, giunto allora ai 93 anni. Egli accettò l’offerta di mia sorella Annunziata che gli mise a disposizione addirittura una casa, di fianco alla sua, a Villacidro, e una compagnia e un’assistenza quotidiana di prim’ordine per risultato ed intenzioni e modalità: dico per spirito di sacrificio e sempre grande, grande affetto. Compagnia ed assistenza non soltanto sua, ma anche di suo marito Giuseppe Pibiri, e dei figli. Un grande grazie a loro.

All’interno di questa nuova sistemazione ebbi molte volte occasione di registrare con mio padre i racconti della sua vita, tutti rigorosamente in sardo: ne ho fatto un c/d che donerò al sindaco di Assolo perché l’intera comunità possa giovarsi di questa straordinaria testimonianza centenaria. Seguendo i percorsi ideali delle strade e delle case del nostro paese, mio padre ha ricostruito, con la sua lucidissima memoria, nomi e vicende di un intero paese…

Del suo racconto presenterò adesso una sintesi, in italiano. Eccola:

«Sono venuto al mondo quando Assolo contava qualcosa come 700 o poco più abitanti. La mia era una famiglia di piccoli proprietari: gente che viveva in campagna e di campagna. Io ero il figlio maggiore di Francesco – Cicciu, com’era conosciuto – Cois e Rosa Serra. In casa aiutavano nelle faccende Silvia Cadeddu, Teresina Minnei, e altre ancora…L’azienda poteva contare su due “servi”, come allora si diceva, che sono stati i polmoni del nostro modesto benessere: Peppi Maria Minnei e Giuanni Deias.

«Avevo appena sette-otto anni quando mio padre fu richiamato per combattere la grande guerra. Dovetti lasciare la scuola e, affidato a Giuanni Deias, presi a pascolare i pochi buoi dell’azienda, da mattina a sera, all’interno di un’area ben delimitata. A fine giornata, la mia maestra continuava a impartirmi qualche lezione. Studiare mi sarebbe piaciuto. Apposta ho voluto prendere la licenza elementare, quando già avevo sessanta e più anni. 

«Erano i “servi” a condurre l’azienda, ne rendevano conto a mia madre, ma erano loro a decidere ed a fare. Io bambino collaboravo con loro. Ero entrato allora in crescente confidenza con mio nonno paterno Antonio, che di proprio aveva un centinaio forse di cavallini della Giara, che affittava per le necessità dei vari agricoltori della zona, magari per la trebbiatura del grano… La stessa confidenza l’avrei avuta più tardi con mio suocero Onorato Murru, un grande raccontatore di storie, e da lui molte cose avrei saputo del paese in antico… 

«Alla fine della guerra scoppiò la terribile epidemia di spagnola. Vi furono dei contagiati anche ad Assolo, come i coniugi Sanna, che morirono a distanza di un’ora l’uno dall’altro. Fu un momento cupo per la Sardegna intera. Giovanotto ormai di vent’anni, continuavo a lavorare, a giornata piena, in campagna. Mio nonno Antonio morì in quel tempo lì. 

«Intanto, tornato dalla guerra, mio padre Cicciu aveva ripreso la conduzione dell’azienda. Acquistò finalmente, un certo giorno, due aratri in ferro, dopo aver adoperato per tanti e tanti anni, l’aratro di legno.

«Ma certamente la maggiore novità del periodo non era, in casa, questa: era un grave lutto, ed era lo sconvolgimento nella nostra vita. Era morta, per complicazioni o un incidente dopo l’ultimo parto, mia madre Rosa Serra, ed io, come primogenito, mi ero allora dovuto applicare, con mio padre, oltreché nella conduzione della piccola proprietà, a crescere i piccoli. Da accudire c’era soprattutto Paolina, nata nel 1923 e rimasta orfana a tre-quattro giorni soltanto, a cui fu insegnato di succhiare il latte direttamente dalla mammella di una pecora…

«Fui per i miei fratelli e sorelle un vice babbo. Continuava ad aiutare mio padre, naturalmente senza salario... Tutto era al risparmio. Pane e pasta si facevano a casa, di carne – maiale o pecora – se ne mangiava soltanto nei giorni di festa. 

«La vita era dura. Ad Assolo ancora negli anni ’20 e ’30 (e fino agli anni ’50) non c’era, nelle case, né luce elettrica né acqua corrente. D’inverno ci si lavava, potrei dire, con la pioggia, e ci si asciugava poi con il fuoco del camino… non è che ci cambiassimo spesso, non si poteva! Con gli altri maschi, dormivo in “sa forredda”, perché i letti delle stanze erano per le sorelle.    

«La mia fu una gioventù con ben pochi divertimenti. In campagna facevo l’agricoltore e anche il pastore. Quando ero ancora ragazzo mi affidarono delle pecore: erano una ventina, quante ne servivano per il sostentamento della famiglia. Quella fu la mia vita dai 13-14 anni fino quasi ai 20, quando partecipai ad una selezione nella Guardia di Finanza: non mi presero per ragioni di statura, mi mancava un centimetro, forse è stato meglio così… 

«Mi sono sposato con Teresa Murru, figlia di Onorato e Vincenza Usai. Era il 1939. C’è la fotografia, anche con il parroco di San Sebastiano, don Salvatore Murgia. Nel 1940 e nel ’42 sono nati i figli, Francesco e Annunziata. Il mio è stato un matrimonio felice; e quando mia moglie è rimasta invalida, inchiodata a una sedia a rotelle, l’ho accudita come meglio potevo, con molto amore. Abbiamo trascorso 61 anni insieme. 

«Nel 1943 fui chiamato sotto le armi dell’esercito in guerra: un mese a Tempio, sette od otto a Cagliari, al Campo Rossi. Ho visto le distruzioni dei bombardamenti, la carneficina cagliaritana del maggio 1943. Il mio rifugio disperato era nelle grotte di Bonaria.

«Congedato nel novembre, ripresi il mio lavoro. Fino ai 70 anni mi sono applicato soprattutto alla mia amatissima vigna. Intanto avevo iniziato a prendere la pensione di coltivatore diretto. Una miseria, ma io non sono uno che ha mai preteso nulla». 

Così mio padre Ernesto Cois. Chiudo con qualche ringraziamento e una considerazione. 

Si dice che si venga al mondo con una missione. Quella di mio padre è stata la missione dell’amore alla famiglia ed al lavoro. Attraverso quell’amore, quella disciplina, quello spirito di sacrificio, egli ha contribuito al progresso morale e materiale della comunità assolese per un secolo intero. Dalla vita nasce nuova vita. E’ il miracolo vero questo: eri figlio e nipote, diventi babbo e nonno, e bisnonno…  

Cinque sono i suoi nipoti diretti: Roberto e Patrizia, Nicola, Alessandra e Francesca. Sono tutti laureati, sono tutti impegnati in attività che sembrano realizzarli, anche se purtroppo lontano dalla Sardegna, all’estero perfino: chi Milano, chi a Bologna, chi a Leeds. Tutti, come famiglia e come comunità assolese, dobbiamo un grande grazie a questa “quercia centenaria”.

Nato giusto cento anni dopo il generale Garibaldi, è stato un generale anche lui, mio padre, nella mitezza e insieme però nella tenacia. Un generale la cui autorevolezza era nella bontà. Ci ha educati con lo sguardo, e più ancora con l’esempio. Ogni giorno.

Ho finito. I ringraziamenti sono doverosi. Li rivolgo all’intera comunità assolese che ha voluto festeggiare con noi; al sindaco, ai consiglieri comunali ed agli assessori della giunta; al parroco; a chiunque – autorità per ragioni d’ufficio o autorità per generale riconoscimento di meriti – sia oggi qui.

E naturalmente il grazie più grande è lui, al festeggiato: ad Ernesto Cois. A medas annos in saludi!

La saggia calma di nonno Ernesto

Caro Nonno, in questo momento parlo a nome di tutti i tuoi nipoti. Siamo tutti felici ed emozionati. Ognuno di noi è venuto da qualche parte del mondo per festeggiare il tuo (primo) secolo di vita. Ognuno di noi ti porta gli auguri degli amici più cari, i quali, tutti, hanno espresso la stessa domanda: come ha fatto?

La risposta è stata sicura e univoca: “questo è solo l’inizio”. In realtà tutti ci hanno chiesto anche di descriverti un po’, di raccontare come vive nostro nonno.

Anche qui abbiamo risposto senza incertezza. “Per prima cosa” abbiamo detto “ha ancora molto da insegnare”… Forse soprattutto a me… 

Abbiamo spiegato: quando è nato lui, il telefono, la televisione , radio, internet… non esistevano. Forse è per questo che oggi ha ancora memoria di tutto quello che lo circondava in quegli anni, di tutte le persone che lo hanno accompagnato in questo lungo viaggio. Una, la più importante, sono sicuro che ora ci sorride da lassù, attizza il fuoco e controlla che tutto sia in ordine e pronto per il pranzo che ci aspetta…

Quanti pranzi? Quante feste di Santa Lucia ci hanno visti bambini, ragazzi e oggi adulti accanto al nostro nonno? Innumerevoli, come innumerevoli sono state le sue attenzioni per noi, le sue parole sagge. 

Nonno, Francesca ricorda ancora quando ti ha spiegato cosa sarebbe andata a fare a Milano… Dopo un lungo discorso tu hai capito subito ed esclamato “Insomma questo Architetto è un po’ come un Ingegnere…!”.

Hai gioito per tutte le nostre conquiste, hai preso in braccio su quel loggiato cinque nipoti…e ora lo sappiamo che aspetti i pronipoti… Ma noi sapevamo che saresti arrivato ai 100 per cui ce la siamo presi con calma! Ecco calma e serenità, le tue qualità.

Quello che noi ci ricordiamo è solo una piccola parte della tua lunga e importante vita, ma qualcuno ti ha fatto raccontare anche quello che noi non abbiamo visto e vissuto. Ecco …ai nostri amici potremo ora dire che esiste un paese… piccolo, ma non per questo meno importante, in cui è nato Ernesto, nonno Cois… Che ama la vita e la sua famiglia, che ha avuto la fortuna di scoprire un piccolo posto prima di noi… proprio lassù… in via Garusa… su una piccola sedia davanti al cancello, quando soffia un vento leggero… Quello che tu hai chiamato il tuo piccolo paradiso.

Auguri Nonno. Grazie per il tuo regalo. I tuoi nipoti Nicola, Patrizia, Alessandra, Roberto, Francesca.



Fonte: Redazionale GFM - Cleliano Aru
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