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Gianfranco Murtas

Per Giovanni Bovio, profeta civile. La Libera Muratoria, i repubblicani, Cagliari tutta dedicano in riparazione

di Gianfranco Murtas

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Ho incontrato Bovio, nelle stanze della sede dei giovani repubblicani, nel gennaio 1971, quasi cinquant’anni fa! Nei vari traslochi della sezione del PRI – che aveva avuto “in dono” dal sindaco Paolo De Magistris quel busto dimenticato nei magazzini dei sotterranei municipali, quando ancora se ne ignorava l’appartenenza originaria in capo alla loggia massonica – capitò che per qualche anno ospitassi io stesso, nel mio studio di casa, quel manufatto d’arte, che per varie circostanze e quasi in alternanza, consegnai una volta ancora alla sezione repubblicana locale (andata in via Mattei, poi in via Cocco Ortu) e un’altra alla Fratellanza massonica (allora, e dal 1977, in via Zagabria, come superdotazione ai Passi perduti del secondo Tempio utilizzato in prevalenza dalla loggia Sardegna n. 981 e dai vari Riti, allora soltanto Scozzese e York).

Era capitato che nel 1978 avessi ottenuto dal dr. Lucio Salvago, figlio del col. Domenico che era stato, dopo Canepa e Silicani, il Venerabile della loggia Risorgimento n. 354 – così dall’autunno 1949 –, e finalizzandoli alla riproduzione, tutti i verbali di quella officina e la corrispondenza della stessa, con le circolari ecc. (relativamente ad un decennio circa). Nel novero erano compresi anche pochi altri documenti di anni più remoti, e fra essi – certamente quello maggiormente importante – era l’inventario dei beni e suppellettili di proprietà della loggia prefascista, quella Sigismondo Arquer nata scozzese nel 1890 e arrivata al traguardo del 1925 quando un’azione della Questura, ma voluta dal governo Mussolini, ne impedì ogni ulteriore operatività.


Fra gli arredi e le dotazioni d’arte trovai citato, riferito al locale dei Passi perduti, e con un valore venale (immagino puramente simbolico) di 50 lire, il busto boviano in gesso: era la copia di quello in marmo bianco collocato nel 1905 allo square. La colonna in legno abete era valutata a parte 15 lire (e faceva 30 con quella a sostegno del busto gemello di Garibaldi; il terzo – quello di Carducci – era invece nella Segreteria).

Fu quello il documento che, da allora – ripeto: 1978 –, mi indirizzò a ricostruire eventi ed appartenenze.

Richiamai Bovio in un articolo uscito su L’Unione Sarda l’11 dicembre 1986, a proposito della lapide che al Monumentale celebra Vincenzo Brusco Onnis (con epitaffio appunto boviano). E poi a lui, a Bovio, dedicai un intero capitolo – 30 pagine – del mio volume (un mattone di 661 pagine!) L’edera sui bastioni. I repubblicani a Cagliari nell’età di Bacaredda, uscito nel 1988 e presentato alla sala convegni del Banco di Sardegna davanti a un pubblico che superava abbondantemente le duecento presenze. Naturalmente il nome del filosofo-e-parlamentare zampillava anche in molti altri capitoli… e tornava anche nell’inserto fotografico, in una pagina che dedicai proprio al noto busto in gesso pesante «già appartenuto alla loggia massonica intitolata a Sigismondo Arquer» (si tratta della pagina qui in copertina). 

Nel 2005, anno centenario dello scoprimento del monumento in faccia alla stazione ferroviaria rinnovai – con qualche altra fotografia che mostrava come attorno ad esso si svolgessero anche manifestazioni pubbliche, più sovente di protesta contro il governo (naturalmente prima della dittatura) o giovanili di natura anticlericale – quella mia celebrazione del pensatore politico e leader dello schieramento progressista democratico nazionale, oltreché importante dignitario del Grande Oriente d’Italia. L’Unione Sarda pubblicò, a mia stessa firma, un articolo di sintesi di quel nuovo lavoro editoriale (Cagliari 1905 era il titolo). Nell’inserto fotografico anche il medaglione mazziniano coniato da Palazzo Giustiniani: il 1905 era infatti un centenario a sua volta, il centenario della nascita genovese di Giuseppe Mazzini. Perché la Massoneria è sempre stata mazziniana anche nella sua componente moderata e liberale, se nel mazzinianesimo si cerca l’etica del dovere, la missione educativa dei ceti popolari, lo spirito delle solidarietà europee. (Sarebbe un quesito non da poco quello di chiedere, con un questionario generale, quanti massoni del 2020 – immersi in questa triste società liquida, piena di partiti di cartone e di politici cantastorie – conoscono Mazzini e la relazione di Mazzini con la Libera Muratoria italiana… e dunque quanto conoscono la stessa Libera Muratoria italiana).


Naturalmente molti riferimenti all’area teorica del mazzinianesimo, assai più larga di quella propria del Partito Repubblicano Italiano, ed all’apostolato ideale di Giovanni Bovio furono d’obbligo già in Dei circoli anticlericali e del monumento a Giordano Bruno, altro mio studio che, con il sottotitolo “Sodalizi ed istituzioni della Cagliari bacareddiana”, avevo esitato l’anno precedente (il 2004) dedicandolo al mio amico Mario Cugusi, allora parroco di Sant’Eulalia e professore di filosofia alle scuole superiori nonché… simpatizzante dell’eretico bruciato vivo dall’Inquisizione romana!  






In svariati articoli, tanto più negli ultimi anni e in uscita ora nel blog di Fondazione Sardinia ora nel sito di Giornalia, trattando dei monumenti cagliaritani – dal dettorino Dante Alighieri a San Giordano, appunto, già onorato a palazzo Sanjust nel 2013 anche con un video realizzato da Andrea Giulio Pirastu con mio testo –, agli altri ancora (si pensi a Verdi ed ai quattro risorgimentali di palazzo Picchi!) o alle lapidi mazziniane e del XX Settembre nel palazzo di Città… - ho ricordato Bovio, Bovio, Bovio…

Intanto però la sera del 15 novembre 2008 mi ero adoperato per il solenne ritorno nella sede massonica dell’opera scultorea di Pippo Boero – il giovane artista che aveva realizzato anche l’erma bronzea di Giuseppe Verdi (nel 1901, e sempre nell’attuale piazza Matteotti). Intervenne Franco Turco, già amministratore civico a Quartu Sant’Elena, il quale era stato l’ultimo custode del manufatto e che, con santa liberalità, restituì a noi, tardi eredi di quei gentiluomini d’inizio Novecento, l’opera d’arte che ho saputo esser stata, successivamente e più volte, con diligenza e perizia, con rispetto e amore, sistemata e risistemata per colori perduti o altra ragione.


Proprio di recente un amico giovane e carissimo, Stefano Dessì, appassionato di storica civica e genealogica, mi ha fatto dono di un delizioso quadretto, per mani d’artista sardo anch’esso, riproducente il Bovio del 1905, nello spazio alberato, di qua dal porto, e di fronte al nuovo municipio, sotto il cielo di Cagliari. Altro suggello morale, per me, di fedeltà ai padri.

Ancora per fatto personale e con Hiram assassinato di nuovo

Ho voluto dedicare il presente articolo, di fattura più documentaria che altro, tutto e soltanto, in positivo, alla memoria boviana nella nostra Cagliari. Lontano il pensiero, per una volta, dall’imbecille autore del misfatto già troppe volte riprovato dal gusto e dalla coscienza. E lontano, allo stesso tempo, dall’ignoto spiritato che è stato anch’esso fotografato in varie pose di banale commedia, di lato al Grande Oratore del GOI che fu. E lontano dalla mascherata dei quattro mori bendati che ancora permane in una pagina dell’web e che accoglie – accanto ad alcuni nomi di esponenti del Grande Oriente e del De Molay – un ghigno fallico, ritengo emblema pubblico dell’intelligenza personale dell’ispiratore.

Non ho voluto, oggi, ma sarà breve rinvio a domani o dopodomani, reimbastire la denuncia dell’oltraggio con quant’altro mi è servito su un piatto d’autentica umiliazione: l’irrisione, ad opera dello stesso imbecille e con parte in commedia dello spiritato di cui sopra, perfino di Hiram l’architetto del biblico Tempio di Salomone; e con quel giocoso scherno della ritualità latomistica, anche gli insulti al presidente Mattarella e al presidente emerito Napolitano.

Svolgo questa parte di segnalazione con angoscia tremenda. Non intendo entrare in questioni di stretta amministrazione corporativa, di cui neppure gradisco essere informato. Ho sempre considerato e considero ancora oggi la Massoneria una profezia ecumenica nella storia civile, una banditrice umanistica del più alto messaggio di fraternità fra i diversi per cultura e fede e stato sociale, entro i necessari fondamentali della democrazia. Se questa dimensione universalista e questa tradizione di tolleranza sono ferite per lo scriteriato comportamento di qualcuno, e se chi di dovere ispettivo o sanzionatorio abdica ai propri obblighi che sono morali prima ancora che statutari, mi sento colpito anch’io che ancora un mese fa sono stato invitato a conversare di queste cose presso una loggia cagliaritana. A conversare con il cuore e il cervello collegati fra di loro, a dire di storia passata e di storia recente, a tutti ricordando che la Libera Muratoria, nel grande come nel piccolo, è fondamentalmente una società di tradizione, che porta nel suo dna il senso della storia, dei lasciti aviti – frutto di quanta fatica! – e dei doveri dell’oggi, per più ricche trasmissioni ai futuri.  

Naturalmente io conosco quale enorme potenziale di talenti umani, intellettuali e professionali, di sensibilità civili e democratiche si condensi nelle stanze cagliaritane di palazzo Sanjust. Conosco – per la gentilezza di chi ha voluto parteciparmene – una innumerevole serie di iniziative sociali che per essere rimaste sottotraccia – la destra non sappia cosa fa la sinistra – non sono per questo meno reali. E a richiamarne una soltanto ricorderei l’aiuto alla missione gesuitica del padre Vittorio Papoff nel Madagascar: venti chilometri di condotte idriche… Come a Sassari funziona da più d’un decennio la Casa della Fraterna Solidarietà, voluta dal Ven. Aldo Meloni e dai suoi, così anche a Cagliari l’Opera va strutturandosi nei progetti e nelle modalità, speriamo presto con risultato. E così anche in altri Orienti della regione.

Certamente il mondo massonico sardo e cagliaritano è più vasto di quello specifico del Grande Oriente d’Italia. Io stesso ho tenuto conferenze e incontri di varia natura presso logge e accademie di varie Comunioni, da Palazzo Vitelleschi alla Gran Loggia Regolare d’Italia, all’Obbedienza che si richiama alle ritualità cagliostrane di Memphis e Misraim (che mi ha anche gratificato – ne ho riferito tante volte – di una appartenenza onorifica per le circa… sette od ottomila pagine scritte sulla storia della Libera Muratoria nazionale e sarda in particolare e per i depositi, in continua implementazione, dell’Archivio storico generale).

Resta però indubbio che è alla tradizione giustinianea che si raccorda il più della operatività massonica isolana, con le sue attuali 49 logge diffuse (se non sbaglio) in dodici Orienti. E in questo senso grava sul GOI, sulla Comunione giustinianea sarda, la responsabilità di essere di esempio, ai suoi maggiori dignitari di essere degni di coloro che li hanno preceduti nella fatica della “costruzione”, che è poi tutto il contrario della vanagloria e degli orpelli: degni di Alberto Silicani e Annibale Rovasio, degni di Bruno Mura e Mario Giglio, degni dei Bussalai e dei Grassi impegnati con tutte le loro risorse familiari nell’Opera, degni di quei cento o cinquecento Venerabili che si sono susseguiti nel tempo nei comandi magisteriali e senza pretesa di ribalta, così come dei Gran Maestri onorari Vincenzo Racugno e Bruno Fadda, del Gran Maestro Corona giunto ai vertici obbedienziali e rituali dopo altri sardi – tali di nascita o elettivi – susseguitisi lungo i decenni, dopo Ghersi e Ricciardi, dopo Canti e Tedeschi – il nobilissimo Tedeschi apostolo della medicina sociale e Gran Maestro del GOI nel suo esilio antifascista -, o Guido Laj che da ragazzo fu nostro studente dettorino e collaboratore de L’Unione Sarda… Nel gran corpo i cinquanta sindaci di recente biografati.




Questo è il quadro. Io non conosco l’imbecille irriverente offensore di Giovanni Bovio – quello che si firma con la sigla del Fondo Timon altra volta richiamata (per essere attribuibile forse ad Agostino Lay Rodriguez, importatore dell’arte fotografica in Sardegna ed intimo di Efisio Marini), neppure conosco lo spiritato che s’è fatto riprendere vicino alle maschere e sotto i ritratti dei Gran Maestri storici del GOI, da dove ha fatto partire i frizzi (senza testa però) contro il presidente della Repubblica e il suo predecessore. Mi parrebbe però arduo condividere quanto ho letto in alcuni messaggi giunti al sito di Giornalia, che ne rimandano il profilo ad un dignitario attivo: in primo luogo perché, dandosi per elettiva (e dunque eletta) ogni carica, ciò vorrebbe dire che nei vari consessi collettivi in cui o l’uno o l’altro – il dileggiatore o lo spiritato – sono stati (fossero stati) eletti, la massa elettorale sarebbe della stessa pasta, il che francamente pare impossibile in natura; in secondo luogo perché, dandosi così la cosa, le coperture fiduciarie concesse oltre ogni misura sarebbero una smentita piena della tradizione di galantomismo, responsabilità e parola franca che viene da uomini di primissima categoria come sono stati, e rimangono nella memoria dei più, Vincenzo e Giuseppe Delitala, come Giuseppe Loi Puddu, come Tancredi Pilato, come Franco d’Aspro, come Sabino Jusco, come Filippo Pasquini, come Ovidio Addis, come Leopoldo Biggio, come Luciano Massenti, come Renato Meloni, come Tiberio Pintor, come Andrea Foddai, come Emilio Fadda, come Paolo Montaldo, come Vito Tola, come Sergio Massenti, come Paolo Carleo, come Vindice Ribichesu, come Corrado Vitali, come Nino Mele, come Emilio Acciaro, come Domenico Scotto, come Piero Pischedda, come Vittorio Sallemi…, come quei tanti – tantissimi – altri che, ripudiando ogni allettamento vanaglorioso, hanno servito la virtù e la comunità volta a farsi davvero Comunione.  


Fonte: Gianfranco Murtas
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