Quella croce cristiana che onorava i massoni sardi. Conversando con Mauro Dadea circa l’epigrafia massonica a Bonaria, e circa Serpieri e Bovio il “santo laico” amato dai cagliaritani
di Gianfranco Murtas
Alla memoria carissima, tenerissima, fraterna di Alessandro Mancini. Scese da Milano apposta, nella primavera del 2018, per presentare ai liberi muratori cagliaritani che avevano raccolto il mio invito la personalità gentile e saggia di suo padre, la cui tomba, al civico di San Michele, era segnata da una foglia d’acacia (a simboleggiare, riunendoli, i sentimenti diffusi nel tempo fra le logge Hiram, Sardegna e Mediterranea da lui frequentate). Negli ultimi tempi, insieme, si cercava di ricostruire, tessera dopo tessera, il profilo civile e massonico di suo bisnonno materno, Cornelio Villafranca, artiere della storica Sigismondo Arquer e, nel primo Novecento, sindaco di Terralba. Aveva sofferto da ragazzo – mentre studiava economia bancaria a Siena – la peggiore delle malattie, Alessandro, e l’aveva infine superata meritandosi quel tanto di vita venuta dopo, e il successo professionale, soprattutto quel profluvio di affetti – nel matrimonio e nella paternità – che si combinò con quello tesaurizzato nella sua infanzia e adolescenza a Cagliari. In occasione delle recenti e tristi polemiche suscitate dalle inimmaginabili offese recate da alcuni sconsiderati alla figura grande di Giovanni Bovio ma anche alle autorità della Repubblica, alle migliori tradizioni della Libera Muratoria e della Patria italiana così come, semplicemente, alla civile educazione, mi fu costantemente consolatore e amico delicato e dolce.
Nel segno della Tradizione
Ora saranno già tre anni che, ad iniziativa delle logge dantesi il titolo distintivo di Alberto Silicani (questa insediatasi nel 1977), Lando Conti (del 1986) ed Europa (del 2000) – naturalmente tutte e tre innestatesi sul più maturo tronco della Libera Muratoria cagliaritana – potei presentare a Palazzo Sanjust tre grandi roll up dedicati il primo all’umanitarismo massonico cagliaritano fra Otto e Novecento, il secondo e il terzo alla simbologia massonica ed ai passaggi sentimentali di cui è rimasta traccia lapidea al monumentale di Bonaria così come al civico di San Michele, e tanto anche nelle cronache de L’Unione Sarda (come anche della stampa che precedette il quotidiano nato cocchiano) che spesso riferivano degli accompagnamenti funebri in città.
Come società di tradizione – direi di Tradizione – la Libera Muratoria è chiamata a rielaborare continuamente, aggiornandolo ai tempi, il suo impegno umanitario e civile, sicché la sua applicazione alla riflessione storica – che è di sua natura riflessione critica – costituisce un dovere imprescindibile dei singoli ben educati e del collettivo che chiamerei meglio “il comunitario volto al comunionale”: non caserma, ma santuario degli spiriti radicati nella ragione e portatori di mutua carità. Così è o così dovrebbe essere.
I roll up di cui sopra hanno avuto questa funzione di ricapitolazione di un vissuto che rimane aperto ai nuovi apporti documentari: apporti che i migliori, venendo e restando magari nelle seconde e terze e quarte file e senza alcuna ansia da grembiule – che peraltro è sempre, per statuto, grembiule di servizio e dunque dell’antiNarciso –, non negano mai.
Nella stessa direzione sono andate quelle svariate missioni compiute su mia iniziativa, con logge datesi intere oppure con l’interloggia – rappresentanze cioè delle 27 compagini simboliche operanti, in quanto giustinianee, a Cagliari –, e talvolta con formazioni di altra obbedienza muratoria, e presenze anche nuoresi ed oristanesi, appunto nei due camposanti cagliaritani. Al civico San Michele – partendo sempre dai monumenti familiari Grassi e Bussalai – per onorare i Fratelli passati all’Oriente Eterno negli ultimi decenni e perfino negli ultimi anni e mesi, diversi dei quali segnalati nelle lapidi chi con l’incisione della squadra-e-compasso o lo sviluppo dell’alchemico VITRIOL (acronimo di “Visita Interiora Terrae, Rectificando Invenies Occultum Lapidem”), chi con la traccia della simbologia Rosa+Croce o la stilizzazione dell’acacia hiramitica, chi con altre rappresentazioni ancora… Al monumentale di Bonaria, invece, per un percorso di logica piuttosto storica, lungo gli svolgimenti tardo risorgimentali e soprattutto dell’età giolittiana, che a Cagliari significò la stagione amministrativa di Ottone Bacaredda, e di dopo ancora… Venti, trenta soste a Bonaria come al San Michele, ed ad ognuna una laica preghiera (e nel cuore segreto di taluno anche un accosto cristiano), un ricordo biografico, una contestualizzazione temporale…
A tanto, in specie per il monumentale, è servito anche, dono speciale della loggia Alberto Silicani alle logge sorelle, ora sono già tre lustri, il quaderno che mi fu chiesto di compilare, per consolidato spirito collaborativo e intesa ideale, cui detti il titolo di La catena s’è rotta, la Parola smarrita… riferendolo ad una ventina di personalità d’eccezione della Massoneria locale rimaste nella memoria civica ora delle professioni o dell’accademia, ora della Chiesa o dell’amministrazione, dell’esercito, dell’associazionismo, dell’imprenditoria… E quante sante presenze anche nel sacrario dei Reduci delle Patrie Battaglie o della Società degli Operai… Una antologia biografica dunque per Bonaria; una guida (invero parzialissima rispetto a quanto, anno dopo anno, ebbi l’onore di sviluppare con affollate e sentite partecipazioni), la offerse invece per il civico una dispensa cui fu dato il titolo puramente denotativo Un percorso massonico nel camposanto cagliaritano di San Michele. Pure esso a mia firma e con l’edizione generosa dell’indimenticato professor Eugenio Lazzari.
Questa dunque la mia parte di cui sempre, accompagnata anche da articoli ora sulla stampa di giornale ora nell’immateriale dell’web (in specie Lettere da Cagliari, Fondazione Sardinia e Giornalia), ho cercato di dare conto, per onorare anche pubblicamente quanto intimamente sento essere impresso nella tavola valoriale e di orientamento civile della mia vita.
Muovendo da queste premesse e incontratomi con Mauro Dadea e Nicola Castangia che, nel monumentale di Bonaria, stanno curando da ormai lunghi anni, ciascuno per la parte di propria competenza, un pubblico servizio nell’utile di tutti – cagliaritani e non, e fra i “non” sono numerosi anche gli stranieri –, ho compiuto pochi giorni fa una nuova visita al gran giardino della memoria sociale cagliaritana documentato ormai da numerosi tomi degni della migliore biblioteca. Per la resa delle immagini, che sono un dono di suggestioni oltreché preziose lezioni di conoscenze, Castangia è presenza indispensabile. Suoi sono diversi libri fotografici che esaltano le preziosità d’arte dell’intero compendio. Di più: egli offre ogni giorno, con il suo bravissimo assistente Alessio Loi - ottimo fotografo anche lui - e gli altri collaboratori (e tantopiù collaboratrici), un ausilio impagabile che si combina – come supplemento civicamente virtuoso – alla esplorazione continua delle aree meno dettagliatamente censite, alla loro ripresa documentaria, alla loro rilettura che, tanto spesso, è rilettura critica, interpretativa.
Ora mi è stato comunicato che nella mezza mattina del prossimo sabato 23 aprile, con l’abile e discreta assistenza di Castangia, l’archeologo e saggista Mauro Dadea guiderà un nuovo, ennesimo viaggio per i viali del monumentale (inaugurato nel 1829, quando la collina di Monreale di proprietà dei padri mercedari e della mensa arcivescovile, a valle della quale furono marcati i primi quattro campi impegnati nelle inumazioni, era davvero lontana dall’abitato che terminava press’a poco là dov’era cinturato dalla via Circonvallazione, poi XX Settembre).
Sarà un viaggio che seguirà il fil rouge del “libero pensiero” e dunque la Massoneria, che pur non occupa l’intero spazio del libero pensiero, vi rientra interamente. Sarà, per i partecipanti, un giro d’istruzione… pluridisciplinare, fra l’epigrafica antica e la storia dell’arte e delle religioni, fra la storia cagliaritana dell’Otto-Novecento e le biografie particolari dei santi che riposano chi sotto terra chi nei colombari, i quali – sia detto tra parentesi – cominciarono a sorgere in verticale, press’a poco in uno alle cappelle gentilizie e delle confraternite, quando s’imposero i primi ampliamenti seguendo la traccia dei terrazzi/gradoni del Cima, al tempo in cui il canonico Giovanni Spano editò la sua Storia e necrologio (era il 1869 e, nella Roma ancora negata all’Italia, il Concilio piino si apprestava ad approvare il dogma della infallibilità pontificia).
In vetta alla collina, in quel compendio che si spinge fino alle spalle della grande basilica di Bonaria – che ci mise duecento anni per essere completata! e che fu abbellita dalle tele del massone (e liberopensatore) Antonio Ghisu, andate poi perdute sotto i bombardamenti del 1943 – presero corpo, negli ultimi decenni dell’Ottocento, i recinti delle società mutualistiche ed in particolare quelle dei Reduci delle Patrie Battaglie e degli Operai. Interessante rilevare che sia l’uno sia l’altro sono ancora oggi e già da un secolo e trent’anni introdotti dai busti dei fondatori-presidenti, il Salaris da una parte, il Rocca dall’altra, entrambi massoni o dignitari della loggia Vittoria e dello scozzesismo, insomma di corpi rituali che accompagnarono l’unità proclamata nel 1861 alle fatiche della storica breccia del 1870…
Con essi (e quanti altri liberi muratori accolti nei due spazi: si pensi a Felice Mathieu, che presenta il tondo del suo bassorilievo affiancato a destra e a sinistra dalla squadra-e-compasso; si pensi al professor Gavino Scano, che fu anche rettore dell’università e senatore del regno, illustratore del monumento ai Martiri sardi d’Italia innalzato nel 1886 in capo alla via Manno), con essi, in quella vice sommità della collina, svettano diverse statue del Cristo signore-e-rifugio fuse e donate dal massone Franco d’Aspro… Da presso – sui medi gradoni – il loculo di Giovanni Angelino, qualificato massone (premiato dalla Gran Loggia del Brasile) associato alla monumentatissima famiglia Magnini, ed anche il loculo di Guido Algranati, il giovane professore livornese di radici ebraiche, docente di fisica al Dettori, che nel gabinetto di fisica proprio del Dettori allora insediato alla Marina si dette la morte nel 1916, in un momento di speciale sconforto… Era, Algranati, un artiere della loggia Karales, la stessa di Mario Delitala, la stessa di Armando Businco, la stessa di Antioco Zucca, la stessa del giovane Venerabile Ottavio Della Cà, che fu uno dei primi caduti nella grande guerra…
In basso, in un corridoio ignorato da tutti, è una lapide che segnala il riposo eterno di Carlo Zedda Cocco, ufficiale dell’esercito italiano morto nel campo nazista di Flossemburg: Carlo artiere, con suo fratello Enrico, di quella loggia Sigismondo Arquer costituitasi nel 1890, al ritorno della delegazione universitaria cagliaritana da Campo de’ Fiori dove Giovanni Bovio, grande oratore del Grande Oriente d’Italia, aveva celebrato Giordano Bruno monumentato nientemeno che da Ettore Ferrari… Bovio, che è presente a Bonaria con i suoi epitaffi in onore di Giovanni Battista Tuveri e, dirimpetto allo stellone del Collinese, di Vincenzo Brusco Onnis cagliaritano. La religione civica e umanitaria di Giuseppe Mazzini praticata nel servizio patrio da tutti loro, da Bovio e da Tuveri e da Brusco… come anche – muovendoci per i viali s’incontrano altri epigoni e testimoni – dal giovane Ettore Vassallo, repubblicano sulla cui bara fu poggiato il drappo di lutto con la squadra-e-compasso della sua loggia Sigismondo Arquer… e come Enrico Serpieri e come i sui tre figli Attilio, garibaldino (in un tondo colorato, in cima ad un altissimo obelisco, raffigurato dal Bilancioni, altro Fratello della Sigismondo Arquer che affrescò anche la chiesa di Sant’Antonio abate), come Cimbro e come Arnaldo, celebrati ciascuno da un cippo…
Quando morì Enrico Serpieri – e per quattro giorni il Corriere di Sardegna uscì listato a lutto, si era nel novembre 1872, a pochi mesi dalla scomparsa dell’adorato Mazzini – i labari della loggia Fede e Lavoro (in capo ai fratelli-Fratelli Castello, titolari dell’Albergo della Concordia in via Sant’Eulalia, giusto di fronte a casa Marini) e della Libertà e Progresso fecero bella mostra di sé nel corteo funebre (e padre Balma, il nuovo arcivescovo di Cagliari, se ne adontò non poco): la Massoneria cagliaritana celebrava il deputato costituente della gloriosa Repubblica Romana che aveva sofferto la morte eroica del ventiduenne Goffredo Mameli, cui i massoni di Sassari avrebbero, un giorno del 1867, dedicato la loro loggia di rito scozzese (e altri ancora, sempre a Sassari, nel 2003 avrebbero bissato).
Ovunque ti collochi nel grande, meraviglioso giardino di Bonaria che è un museo a cielo aperto – museo purtroppo ancora ferito (e sanguinante!) dai bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale – trovi queste presenze di liberi muratori galantuomini, che ci credevano: credevano nella patria e nella democrazia, nell’Italia compartecipata da monarchici e repubblicani, da liberali moderati e da avanzati democratici unitari o federalisti, dai primi socialisti… Quella Italia e quella Sardegna e quella Cagliari essi la vivevano con spirito costruttore: nelle loro vene scorreva quello stesso sangue ideale che, dopo la conquista faticosa delle costituzioni del 1848 in mezza Europa, aveva ispirato e irrorato le grandi scuole del pensiero politico continentale, così fino ai disastri della dittatura novecentesca.
Incontro Mauro Dadea che condivide con me questo amore alla città nostra e alla storia civile da cui veniamo e in cui ci riconosciamo, pur nei tempi nuovi che ci tocca vivere. Ci troviamo per una passeggiata, che è sempre religiosa, per i viali di Bonaria. Mi mostra una grande croce in marmo bianco che porta incisi i riferimenti massonici e anche, forse, le rielaborazioni massoniche magari per via alchemica: «È una croce che risale al 1876 e che – mi spiega – in alto riporta il notissimo acronimo INRI: Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum. O un acrostico esoterico? Gli alchimisti avrebbero infatti inteso: Igne Natura Renovatur Integra, “Nel fuoco la Natura si rigenera tutta intera”, o anche: Ignem Natura Rigenerando Integrat, “La Natura si sviluppa alimentando il fuoco”. Ho sempre trovato affascinante constatare come gli alchimisti, in epoca prescientifica, evidentemente fossero riusciti a vedere lontano, già intuendo la fondamentale “legge della conservazione della massa”, fissata dal Lavoisier solo a fine Settecento, secondo cui “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” in un flusso energetico - il fuoco! - inarrestabile e continuo».
Obietto, o almeno osservo, di avere più d’un dubbio che la Massoneria cagliaritana del 1876 fosse anche laboratorio esoterico: ho sempre nutrito l’idea che prevalente fosse allora, nelle officine locali del secondo Ottocento, una istanza civile, o culturale-civile, o politico-civile, più che spirituale od esoterica in senso lato. Questo non avrebbe impedito, peraltro, “contaminazioni” virtuose con esoteristi nazionali in capo alle sedi (in perenne migrazione fino a fissarsi a Palazzo Giustiniani) della gran maestranza romana, in quel tempo affidata a personalità guarda caso tutte mazziniane, e dunque portatrici di un umanesimo religioso (religiosamente laico) ma non speculative secondo gli indirizzi di ermetisti o rosacruciani o alchimisti… Erano Giuseppe Mazzoni (triumviro repubblicano in Toscana nel 1849, egli introdusse la pratica rituale del 10 marzo), e Giuseppe Petroni (reduce dalle segrete pontificie dove fu detenuto per anni e anni, come per anni sarebbe stato confinato a Lipari dal fascismo il gran maestro Domizio Torrigiani), e Adriano Lemmi (il banchiere del risorgimento), ed Ernesto Nathan (con la cui famiglia Mazzini ebbe intimità e da cui anche ottenne il giusto riparo per morire purtroppo “esule in patria”), ed Ettore Ferrari (che effigiò l’Apostolo nel grande blocco inaugurato nel 1949, ma realizzato prima dell’avvento della dittatura brutta del fascismo)…
«Non ho dubbi sul fatto che i Massoni cagliaritani di seconda metà Ottocento fossero uomini essenzialmente pragmatici e non particolarmente propensi alla speculazione esoterica – ribatte Mauro Dadea – ma è pur vero che, di necessità, aderendo alla Fratellanza finivano per trovarsi immersi in un contesto rituale caratterizzato da un linguaggio simbolico tratto quasi per intero dalla tradizione ermetica: basti pensare alla Camera di Riflessione, dove il profano è tenuto a sostare prima di essere accompagnato nel Tempio per il rito di iniziazione, sulle cui pareti campeggia la scritta VITRIOL, il notissimo acronimo del motto latino Visita Interiora Terrae, Rectificando Invenies Occultum Lapidem…, intento primo della Grande Opera alchemica volta alla ricerca della Pietra Filosofale. Su questa croce ho riflettuto molto ed ho cercato di definirne i significati simbolici propri della Massoneria o delle scuole di riferimento della Massoneria. Per esempio, quella collocazione dell’intreccio fra squadra-e-compasso appena sotto il punto d’incontro degli assi orizzontale e verticale, che mi ricorda subito “l'incontro tra il Filo a Piombo e la Livella” di cui si parla nei rituali di iniziazione massonica, a simboleggiare le due dimensioni trascendente ed immanente presenti nell’umano, io mi sentirei di interpretarla come rappresentazione del massone stesso che, attraverso il cammino iniziatico, si consegna simbolicamente al buio della morte materiale per risorgere a nuova vita spirituale nella Luce della Ragione. La stessa dedica “Ai FF. MM. (= Fratelli Massoni) Deceduti” in questo senso è a mio avviso emblematica: per indicare il loro cosiddetto “Passaggio all'Oriente Eterno” si è infatti scelto il participio passato del verbo “decedere”, di origine latina, che significa “allontanarsi”, escludendo così l'annullamento assoluto della morte e presupponendo, piuttosto, un “trasferimento”. O ancora la datazione – 1876 – là dove certa iconografia della crocifissione fissa il leggendario teschio di Adamo: il sangue di Cristo, colando su di esso convogliato dal braccio verticale del patibolo, avrebbe restituito il Padre degli Uomini a nuova vita… Parrebbe quindi che questo 1876 sia stato, per i massoni cagliaritani, un anno di risurrezione o rigenerazione in un senso che, tuttavia, per il momento mi sfugge».
Il riferimento al 1876 inciso nella croce ed evocato da Mauro mi porta a ripensare a quell’anno particolare nella grande storia, o almeno nella grande storia politica italiana e in quella minore locale e anche, direi specificamente, della Fratellanza muratoria cagliaritana e sarda. Il 1876 è l’anno in cui si chiude il ciclo storico della destra già cavouriana al governo del paese, è l’anno in cui la sinistra storica – inizialmente quella “trasformista” del massone Agostino Depretis, poi quella del massone (in tanto ripensamento ideologico-istituzionale) Francesco Crispi – assume la responsabilità dei ministeri governativi. È l’anno dunque del ricambio parlamentare, è l’anno della scomparsa di Giorgio Asproni (al cui posto i nuoresi mandano il massone, già sindaco dei tempi dei moti di su Connottu, Salvatore Pirisi Siotto), è l’anno dell’esordio alla Camera di Giovanni Bovio – allora giovane meno che trentenne, pugliese di nascita poi napoletano di residenza – il quale divenne progressivamente la massima autorità morale del mazzinianesimo postMazzini: il santo laico rispettato dagli avversari…
«Sì, Giovanni Bovio fu davvero un uomo di prim’ordine, disinteressato, idealista, benemerito qualunque fosse il campo al quale s’applicava, rigorosamente repubblicano, d’immensa cultura filosofica e giuridica… un “santo laico”, come fu opportunamente definito dal compianto padre Rosario Esposito, il religioso Paolino grande studioso della Massoneria del quale, grazie ad amici comuni, ho avuto l'opportunità di essere commensale, per un testa a testa culturalmente fruttuosissimo, tanti anni or sono... Bovio fu per lunghi anni l'attivissimo referente parlamentare dei repubblicani sardi e per questo fu nell'isola molto amato, sia a Sassari sia a Cagliari dove, due anni dopo la morte, gli fu innalzato un monumento che sfiorò i cinque metri d’altezza, di fronte al nuovo municipio bacareddiano allora in costruzione e di fronte anche alla stazione ferroviaria… A realizzarlo fu Giuseppe Boero, giovane allievo del Ferrari, che venne pagato – mi sembra interessante ricordarlo – con una colletta pubblica. Di quel ritratto, abbattuto negli anni della dittatura, abbiamo ancora il preziosissimo prototipo in gesso, grande una volta e mezzo il naturale, che si trova a Palazzo Sanjust, mentre di Bovio stesso abbiamo, qui a Bonaria, i testi delle epigrafi dedicate al Tuveri, del 1888, e al Brusco Onnis, del 1896… Abbiamo anche, in rettorato, l’epigrafe meravigliosa dettata nel 1902 per Efisio Marini, di cui fu buon amico e con cui lavorò a Napoli per fronteggiare le conseguenze della epidemia colerica nel 1884».
È storia conosciuta, ma che non è mai inutile rivisitare, secondo me, questa di Bovio, celebrato dai repubblicani in politica e dai massoni nell’ecumenismo umanistico loro proprio, e amato, davvero tanto amato a Cagliari. Il labaro della loggia Sigismondo Arquer fu collocato al fianco del monumento allo square, nel 1905, quando esso venne inaugurato e da allora, in città, divenne la meta delle proteste anticlericali, nel 1911-1912, dei giovani universitari guidati da Renato Figari, dei giovani che il liceo lo avevano frequentato insieme con Antonio Gramsci al Dettori, e fu meta sì, proprio dei dettorini – immagino Gramsci con loro – che vollero onorare già nel 1907 Carducci, il massone Carducci anch’egli appena involatosi all’Oriente Eterno… Mazzini, Carducci, Bovio, Garibaldi… e quanti altri massoni o non massoni, Cavallotti e Tuveri e Brusco Onnis… quante eccellenti figure della democrazia avanzata furono amate a Cagliari che pure era una città ancora, per tanti versi, spagnolesca e clericale, certamente moderata e monarchica… come la rappresentò Enrico Costa nei celebri suoi versi…
Soggiunge Dadea: «Evocare il nome di Giovanni Bovio comporta, di necessità rileggere e meditare quanto Mario Rapisarda (o Rapisardi, come lui preferiva firmarsi), l’accademico ma soprattutto il poeta Rapisarda, suo allievo ed emulo nella composizione di epigrafi italiane dallo scintillante nitore stilistico, scrisse nella lapide che fu affissa sulla facciata della sua casa napoletana: “In questa casa / morì povero e incontaminato / Giovanni Bovio / che meditando con animo libero / l'Infinito / e consacrando le ragioni dei popoli / in pagine adamantine / ravvivò d'alta luce / il pensiero italico / e precorse veggente / la nuova età”. Forse perfino più bello, letterariamente parlando, può considerarsi il suo elogio, dettato sempre da Rapisarda per una lapide ad Altamura, la città natale del padre: “Giovanni Bovio / cittadino di spartana austerità / fra il mercimonio affannoso dei politicanti / pensatore solitario / fra lo strepito di cozzanti dottrine / artefice possente di stile / fra la pretenziosa nullaggine dei parolai / traversò impavido / le torbide correnti del secolo / e ne uscì puro a fronte alta / con l'animo illuminato / dalla fede confortevole / nell'ascensione perpetua del pensiero umano”».
Ma io voglio recuperare ancora quel riferimento al 1876 che costituisce l’anno in cui la croce venne consegnata alla direzione del cimitero di Bonaria. Quello fu l’anno in cui, a cinquanta metri di distanza, sul viale principale che portava all’oratorio appena innalzato su un terrapieno, venne collocato il mausoleo di Enrico Serpieri. A quattro anni dalla morte del grande patriota e imprenditore minerario fu scoperto quel perfetto parallelepipedo scolpito dal Galavotti romagnolo e riportante, con altorilievi marmorei, la scena della violenta capitolazione della Repubblica Romana, con tutti quei soldati francesi che armi in pugno zittiscono i costituenti, Serpieri fra essi… Armi in pugno e volti tutti uguali a quello del loro presidente, di Carlo Luigi Napoleone, il prossimo Napoleone III, l’infido Napoleone III…
Osservo che forse quella croce «Ai FF. MM. deceduti» possa esser stata consegnata ed affissa alla parete perimetrale dai massoni cagliaritani certamente intervenuti allo scoprimento del monumento… «Potrebbe essere – ipotizza Dadea – anche perché il fuoco, cui la croce allude nella sua dimensione alchemica, racchiuso nel forno vetrario fornì l'alimento alla famiglia d'origine del Serpieri, in quel di Rimini, e, potenziato nell'altoforno metallurgico, restituì lui stesso a nuova vita imprenditoriale e civile, nel suo esilio poi divenuto eletto domicilio sardo. Certo colpisce l’importanza che doveva aver avuto, in quel tempo, una croce dedicata ai “Ai Fratelli Massoni deceduti”: era una croce che faceva pendant, di lato all’ingresso principale che era sul viale Cimitero, con quella pressoché gemella dedicata ai martiri di Mentana, databile al 1867, poi spostata nel viale cosiddetto degli Eroi, vicino alla solenne cappella Chapelle in cui riposa un altro massone – il brillantissimo Georges, originario credo di Vichy e deceduto alla vigilia della grande guerra. Una cappella di famiglia, la Chapelle, dominata dalla bellissima e gigantesca statua del profeta Ezechiele, il profeta delle “ossa inaridite” dell’Antico Testamento – ossa, beninteso, chiamate alla resurrezione – ma anche il profeta del “taw”, chiave simbolica del già ricordato VITRIOL e quindi dell'intero percorso iniziatico liberomuratorio. Infatti ho l’impressione che, in questa cappella, non manchino anche altri riferimenti alla cultura simbolica della Massoneria, per esempio nelle colonne con basamenti cromaticamente distinti, direi una Boaz e una Jakin del Tempio salomonico; o come il fregio che orna la trabeazione da esse sostenuta, in cui Cristo, espresso dalla croce monogrammatica, iconograficamente vicina allo “ankh” egizio, a sua volta non a caso associato al “taw” ebraico, viene identificato in Horus-Osiride - cioè in una manifestazione dell'eterno mito del dio che muore e risorge - tramite il geroglifico del Sole alato. Non saprei, al momento, se questi simboli siano riconducibili alla volontà della committenza oppure alla sensibilità dell’artista che lavorò alla loro realizzazione, Giuseppe Sartorio. Si tratta di temi che sono impegnato ad approfondire e che coinvolgono anche la tomba, piuttosto prossima all’ingresso nuovo del cimitero – quasi di fronte alla lapide garibaldina collocata dagli universitari di Cagliari – di Ettore Vassallo: nei tralci di rose che intrecciano una croce greca a braccia uguali mi sembra di scorgere un rimando ai Rosacroce, mitici precorritori e leggendari “padri nobili” della Massoneria. Ma suggestioni di questa natura sono numerose in tutto il cimitero e in specie nella parte più antica: penso alla cappella Silvetti Birocchi Berola, eretta anch'essa dal Sartorio nel 1891, in cui i motivi del “velo del Tempio” e del silenzio, rappresentato dalla statua di un fanciullo che porta l'indice destro a sbarrare le labbra, richiamano il Flauto magico del massone Mozart, andato in scena proprio cento anni prima, nel 1791, su libretto originale di Emanuel Schikaneder, Fratello anche lui».
Ritorno ancora al 1876. È possibile, direi forse probabile, che quanti ancora a Cagliari mantenevano alto – forse a Palazzo Villamarina di Castello, di lato alla cattedrale, forse altrove – il pentalfa massonico avessero essi deliberato di accompagnare l’evento Serpieri con il confezionamento della croce dedicatoria. Va detto che in quell’anno l’obbedienza muratoria locale già soffriva di qualche disarmonia che avrebbe portato – non soltanto a Cagliari, ma un po’ in tutta la Sardegna – a rallentare e poi a fermarsi. Si sarebbe ripreso alla grande fra il 1889 e il 1890, come ho già accennato, lanciando la Sigismondo Arquer, che fu un ensemble civico-muratorio di grande storia, scozzese e sociale, arrivato fino al diktat fascista…
Dopo aver aperto la strada a tutti, la loggia Vittoria – che riuniva il meglio della intellettualità laica cagliaritana del suo tempo (e con essa, con Scano, con Vivanet, con Uda ecc. purtroppo anche scivolando sull’autenticità delle pergamene d’Arborea, travolta com’era dal mito nazionalitario eleonoriano) – s’era unita alla sua gemmata Fedeltà, ma proprio fra il 1876 e il 1877 il fiato parve essersi esaurito e presto il Grande Oriente avrebbe decretato l’abbattimento suo e anche del suo capitolo R+C. Analoga sorte avrebbero conosciuto, o avevano appena conosciuto, la nuorese Eleonora e la sassarese Goffredo Mameli. Ancora pochi mesi, o uno-due anni al massimo avrebbero resistito ancora, deboli però, la cagliaritana Gialeto, l’iglesiente Ugolino, la sorese Sivilleri, l’algherese Giuseppe Dolfi, la tempiese Spartaco… Si chiudeva un’era. I tentativi controcorrente dei torresini della Domenico Alberto Azuni e poi dei macomeresi della Eroica Macopsissa si sarebbero presto rivelati anch’essi illusori. Iniziava l’inverno massonico sardo, ma rigogliosa sarebbe stata, ripeto, di là a un decennio e poco più, la ripresa: a Cagliari e Carloforte, a Sassari e La Maddalena, ad Ozieri ed Iglesias, e poi ancora ad Oristano e Tempio Pausania ed Alghero…
Dice Dadea: «I tre puntini tante volte replicati nella croce del 1876 alludono certo alla stilizzazione del Delta divino, ma possono alludere ai Luminari, ai triplici doveri verso l'Ente Supremo, verso l’umanità, verso se stesso cui il neofita viene richiamato… Jean-Marie Ragon, nel suo studio su Massoneria occulta e iniziazione, ha proposto una gran bella quantità di letture, ha proposto il numero 3 come segno di perfezione – il tre della Trinità divina, il tre che somma l’uno individuale al due sociale, e così via…».
Ricordo quanto anche Franco d’Aspro insistesse su questo, firmando massonicamente le sue opere: anche la bellissima via crucis che è vanto della chiesa del Poetto ed è vincolata dalla Soprintendenza, reca sempre tre figure, due figure in accompagno a Gesù sempre presente, una volta sono i soldati romani, un’altra le pie donne, ecc.
Certo è che nel camposanto di Bonaria il pentalfa, la stella indicativa dell’uomo illuminato dalla ragione, la G di God (e di Geometria, arte colta dei muratori) e via elencando sono simboli largamente presenti nei diversi settori, uniti alla squadra-e-compasso. Ricordo, fra le altre rappresentazioni, nell’area acattolica, quella sulla tomba di Johannes Hendrikus Looman, il marinaio olandese deceduto nel 1872, come Mazzini e Serpieri. Il suo primo sepolcro fu nel cimitero degli inglesi, o dei protestanti come anche si diceva, che era stato allestito a sa Butanica, fra le attuali via XX Settembre e via Lanusei. Nel 1895, con il contributo decisivo del Venerabile Eugenio Pernis, allora anche console di Sua Maestà Britannica, quel cimitero venne smantellato (per costruire la nuova sede della Società degli Operai) e le spoglie di chi vi era sepolto furono trasferite sulla collina di Monreale.
A pochi metri da Looman è Mary Singleton, missionaria anglicana di origini londinesi, giovane moglie del pastore battista Francesco Lo Bue, oratore della loggia Sigismondo Arquer. La lastra che protegge il sepolcro a terra reca il segno della dottrina paolina (consegnata alla lettera ai Romani) della morte «salario del peccato».
Di fronte al vasto settore acattolico fu collocato, ad impreziosire un colombario, il busto bronzeo di Nicolò Pugliese, industriale e benefattore dell’ospedale civile (di cui fu a lungo presidente) e dell’ospizio Vittorio Emanuele (che pure lo ha monumentato): artiere della Sigismondo Arquer pure lui, morì nel 1909, indimenticato consigliere bacareddiano del Municipio ancora per qualche anno ospitato a palazzo di Città.
La simbologia massonica distingue anche il cippo di Giuseppe Castello, che ho sopra richiamato: fu un genovese che fece qualche fortuna a Marsiglia, dove molti liguri di fede mazziniana dovettero riparare per schivare le persecuzioni poliziotte della monarchia savoiarda non ancora costituzionale; raggiunse poi, con la sua famiglia ancora in boccio, Cagliari, e nel quartiere della Marina, a ridosso della parrocchiale antica e bella di Sant’Eulalia, gestì per lunghi anni il suo albergo in cui passarono tutti, compreso Giorgio Asproni appena designato dalla locale Società degli Operai a rappresentarla in qualche congresso nazionale delle Fratellanze mutualistiche…
Che magnificenza storica! e ideale.
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Scrivo queste note mentre continuano a giungere, drammatiche, le notizie da Kiev e dalla Ucraina tutta. Sia maledetto chi ha scatenato l’inferno ed ha provocato la morte e la sofferenza di tanti innocenti. (Ed ancora una volta abbiamo la plateale dimostrazione della nullità liberale degli esponenti della destra italiana, pagana e imbrogliona, da cui insistenti sono venuti, negli anni, gli accarezzamenti ad un pericoloso dittatore nato).
25 Apr 2022
Mi chiamo SANDRA GOMIR e sono una badante. Noto che in questo momento sono come il più felice. Vengo a testimonianza di un prestito tra privati che ho appena ricevuto. Ho ricevuto il mio prestito grazie al servizio del Sig. Virgolino Claudio. Ho iniziato le procedure con lei venerdì scorso e martedì 11:35 poiché le banche non lavorano il sabato, poi ho ricevuto conferma che il bonifico dell'importo della mia richiesta di 50.000€ mi è stato inviato sul mio conto e avendo consultato il mio conto bancario molto presto, con mia grande sorpresa il trasferimento è andato a buon fine. Ecco la sua e-mail : virgolinoclaudio7@gmail.com
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