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Gianfranco Murtas

Storia, arte e devozione nella chiesa cagliaritana del Santo Sepolcro

di Gianfranco Murtas

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Nella sera del prossimo venerdì 22 novembre, un concerto ed un “racconto” a molte voci di competenti daranno speciale onore alla chiesa, cinque volte centenaria, del Santo Sepolcro nel cuore del quartiere della Marina di Cagliari.

Benemeriti promotori dell’iniziativa sono l’Associazione Sant’Eulalia, con l’ottimo parroco don Marco Lai, e l’Archivio storico della parrocchia che, in questi ultimi anni, ha riscoperto e censito migliaia e migliaia di documenti della comunità, e canonica e sociale, che bellamente vanta, incardinata nella mezza collina di Lapola ed a brevissima distanza proprio dal Santo Sepolcro, il meraviglioso plesso architettonico intitolato alla martire barcellonese.

Perché poi tutto affonderebbe – la chiesa del Santo Sepolcro di pochi decenni successiva a quella di Sant’Eulalia, e come quella passata per successive rielaborazioni e importanti integrazioni strutturali e d’arredo – nel rilancio abitativo della Marina seguito alla distruzione di Sant’Igia, nel XIII secolo e, più ancora, ai radicamenti della colonizzazione aragonese (quella stessa che portò a Cagliari la devozione bonarina). Dunque una storia nuova che, riaffacciandosi (per novarle) alle più remote installazioni punico-romane documentate dalla vasta area archeologica (da vent’anni meta di visite da flussi turistici di mezzo mondo), è giunta fino a noi e su cui hanno ricamato non soltanto gli storici ma anche i poeti. Ché poeta nelle sue rappresentazioni letterarie è stato Francesco Alziator – si rileggano le sue gustosissime pagine raccolte nell’antologia L’Elefante sulla torre – ed anche Antonio Ballero che, castellano di nascita, fu, non meno di Alziator, cagliaritano esploratore di tutto l‘intrico urbano a monte del porto e sino ai confini alti di sa Costa. Pagine forti, non poetiche però e invece piuttosto… civicamente polemiche, a riguardo del ritardo negli interventi risanatori, sono state, e meritano d’essere richiamate, quelle di Nicola Valle, riunite nel suo prezioso Cagliari del passato uscito nel 1983. (Fortunatamente “cimeli e suppellettili” da lui elencati come bisognosi di provvido e tempestivo intervento han trovato salvezza nel tempo seguito alla sua perorazione: la quadreria, i crocifissi, l’organo “di notevole pregio per voce, registri, mantici”…).

Come Sant’Eulalia anche la chiesa del Santo Sepolcro – se è consentito questo flash di memoria personale – appartiene al mio vissuto della prima età, quando di essa fu cappellano (graduato poi canonico del Capitolo) monsignor Luigi Cherchi, infaticabile e prolifico storico diocesano, e già prima il giovane don Pier Giuliano Tiddia, al tempo ufficiale di curia e professore del liceo Siotto allora nelle scalette di Sant’Antonio. Chiesa centrale anche nelle ritualità della settimana santa – del giovedì e del venerdì soprattutto – è stata, quella del Santo Sepolcro, una delle più amate, sempre, dai cagliaritani sorpresi e affascinati dalle sue storiche originalità architettoniche… quelle della chiesa doppia (dicasi del valore aggiunto fornito dalla meravigliosa Cappella della Pietà)!

Le ragazze dell’Azione Cattolica parrocchiale ne scrissero anch’esse nel bel lavoro compilativo sul quartiere e sui luoghi dell’incontro sociale, fra chiese ed opere associative, nel 1953, giusto quando il mitico dottor Mario Floris, parroco della collegiata fin dagli anni della guerra, stava per passare il testimone a don Ezio Sini che, parroco di Sant’Eulalia e sovrintendente anche del Santo Sepolcro, della Marina sarebbe stato cittadino residente fino al 1971.

Nel 1981, collaborando (per puro volontariato) con una emittente televisiva privata, realizzai un documentario proprio sulla chiesa del Santo Sepolcro (per replicare mesi dopo sulla parrocchiale affidata nel frattempo a monsignor Salvatore Casu, già vice di dottor Floris e tornato alla Marina, praeses parochus, dopo vent’anni). Mi accompagnò don Mario Cugusi, allora giovane viceparroco e già brillante e appassionato cultore delle vicende storiche, e anche architettoniche (e archeologiche), della città. Era chiusa agli accessi, allora, la chiesa, che proprio don Cugusi – una volta divenuto parroco titolare di Sant’Eulalia – volle, d’intesa con la Soprintendenza e con il Comune, risanare (intanto deumidificando) dai più evidenti malanni del tempo e riscoprire nei suoi più antichi e suggestivi segreti, inclusa la doppia cava sotterranea, o chiamala cripta funeraria, officiata dalla compagnia – o arciconfraternita – dell’Orazione o della Morte.


  

Tutto, nel divenire degli ultimi decenni, si riannodava: se negli anni ’20 Sant’Eulalia aveva dovuto consegnare parte della sua potestà canonica alle due succursali di Sant’Antonio abate e di Sant’Agostino, così diplomaticamente cedendo a qualche pressione centrifuga scoppiata nella collegiata – erano quelli i tempi dell’arcivescovo Ernesto Maria Piovella –, con la chiesa del Santo Sepolcro non ci fu mai problema: fra la parrocchiale e quest’ultima la fraternità e il mutuo soccorso operativo furono la prassi sempre rispettata.

Vennero battezzati al fonte del Santo Sepolcro, nel 1909, sia Francesco Alziator che Giuseppe Dessì, perchéSant’Eulalia era stata chiusa per gravi danni dall’anno precedente, e così sarebbe rimasta per un decennio pieno – quello che “imprigionò” i mille giorni della grande guerra –, affidata alle squadre di geometri e muratori al comando, insieme geniale e discutibile, dell’ingegner Riccardo Simonetti. Ebbe allora la fase di gloria nel secolo nuovo la chiesa-cappellania del Santo Sepolcro del cui calendario liturgico o paraliturgico io riuscìì, una volta, a ricostruire i tempi come a darne particolare omaggio ai miei maggiori riferimenti letterari e sentimentali, dico appunto di Alziator autore de La città del sole e di Dessì, lo scrittore di Paese d’ombre (di tanto riporto in calce un breve estratto).

Se il can. Giovanni Spano descrisse il monumento e i suoi decori artistici nella celebratissima Guida della città e dintorni di Cagliari, e altri – si pensi, fra gli altri, al Corona – aggiunsero le note di aggiornamento, non mancarono i riflettori che, più che sulle mura e gli altari, magari sul magnifico cappellone del vicerè don Antonio Lopez (ma non ancora sulle vasche battesimali poi rintracciate negli annessi locali della sacrestia), puntarono sulla “socialità” di frequenza alla messa domenicale di mezzogiorno. Essa infatti, tipicamente al Santo Sepolcro, pareva concedere una levità tutta sua alla buona giornata festiva dei cagliaritani sì un po’ convenzionali, diciamo pure conformisti ed anche paganeggianti – erano gli anni ’30, quelli del “consenso” al regime di dittatura – ma sinceramente devoti, almeno per sentimento se non per fede, al grande Crocifisso “degno di vedersi”, e anche alle madonne ed ai santi effigiati in almeno cinquanta statue distribuite fra nicchie ed altari d’ogni cappella (ed in parte oggi rifugiate nel bellissimo museo di Sant’Eulalia, quello abilmente diretto da Susanna Puddu e dall’archivista Nicola Settembre).

Vorrei evocarlo, o rievocarlo, quel… riflettore puntato da Antonio Ballero, il decano dei cronisti de L’Unione Sarda nel primo cinquantennio del secolo scorso, sulla chiesa del Sepolcro. Evocazione, questa di un articolo uscito il 7 settembre 1975, che vale anch’essa, oggi, come dono di fraterna amicizia a don Marco Lai e a quanti saranno suoi ospiti il prossimo venerdì, relatori tutti di grande autorevolezza scientifica: Marcello Schirru (“La chiesa del Santo Sepolcro della Marina di Cagliari. Architettura e vicende costruttive”), Alessandra Pasolini (“La chiesa del Santo Sepolcro. Arredi e opere d’arte in età moderna”), Donatella Rita Fiorino, Caterina Giannattasio e Martina Porcu (“Monumento e contesto nella cultura del restauro sardo, XIX-XX sec. Riconoscimento dei valori e interventi per la chiesa del Santo Sepolcro”), Maria Albai e Francesca Murru (“Il retablo ligneo di Nostra Signora della Pietà. Stato di conservazione e ipotesi di restauro”).




Antonio Ballero: memorie di tempi lontani, la domenica al Sepolcro

Ci fu uno scorcio degli Anni Trenta in cui divenne di moda frequentare la chiesa del Sepolcro per la messa del mezzogiorno. Ergendosi, come si ergeva, al di sotto della via Manno e quindi a breve distanza dalla via Roma, quasi al centro del popolato quartiere della Marina, poteva considerarsi di facile accesso ai fedeli di ogni parte della città, e in specie a quelli, i giovani, che destatisi tardi dal sonno, vi accorrevano pigri senza molto cammino, ansiosi di infoltire, subito dopo, il domenicale passeggio sotto i portici sino all’ora del pranzo. Infatti, ultimata la funzione e sfollato il tempio, folti gruppi azzimati negli abiti del dì di festa, voltavano l’angolo verso la piazzetta Savoia e di qui si dirigevano, attraversata la breve via Baylle, al colonnato del Caffè Torino che era la meta finale ricercata ed agognata. Tra le fila dei tavolini, occupati dagli habituées che sembrava vi stazionassero l’intero giorno, la gioventù, la quale non aveva altro luogo dove andare a far sfoggio di sé, creava, senza proprio volerlo ed imporlo, un vivace ambiente di mondanità, ben s’intende alla maniera provinciale e familiare. Poiché, sorbito l’aperitivo al banco della mescita, e fatti quattro passi sul mosaico dei portici, il tutto si riduceva ad appartate soste di coppiette innamorate, a scambievoli sorrisi e sguardi, a un elettrizzato chiacchierio. Null’altro. E questo lieve afflusso mondano, che nella via Roma trovava modo di sfogarsi, già s’era diffuso eccitante nella stessa chiesa, in quella non ampia navata, dove i giovani si ammassavano in piedi gomito a gomito, tutte le domeniche ritrovandosi per tacito appuntamento. Ciò non scandalizzava affatto, di certo non profanava la sacralità del luogo, e se qualche idillio fioriva, al momento della messa, niente, assolutamente niente, poteva avere di peccaminoso.

La messa di mezzogiorno nella chiesa del Sepolcro la rivedo così, una messa in letizia, durante la quale ben non si capiva se si pregasse tanto sommesse erano le preghiere, la voce dell’officiante sull’altar maggiore non si udiva neppure, il fruscio delle vesti femminili sovrastava e dominava. Il fruscio più intenso, più invitante, si ripeteva di poi nell’antistante piazzetta, e qua era obbligatoria una sosta prima di avviarsi alla via Roma. La piazzetta del Sepolcro, chiusa tra le case e la facciata del tempio, non credo sia mutata da allora, ma non so se ancora conservi gli scheletrici ma sempre verdi alberelli che un poco ombreggiavano nelle mattine di sole. E se le domeniche, dopo la messa, tratteneva alquanto la piccola élite giovanile, negli altri giorni vedeva il continuo passare delle massaie dirette al mercato e lo sguinzagliare degli alunni del vicino liceo-ginnasio Dettori. Raccolta e silente piazzetta, con la cartoleria di Silla Calzia, ometto rotondetto e claudicante che spesso litigava bonario con i suoi irrequieti acquirenti, e con l’antico negozio di Picciau che, al posto dei moderni elettrodomestici, poneva in mostra le mastodontiche cucine a gas e le caratteristiche stufe Becchi di terracotta rossa. Vi erano momenti in cui, deserta, soprattutto d’estate luccicava al grande sole, e sulle infuocate panchine di marmo riposavano donnette stanche, sedeva qualche mendicante intento a sbocconcellare un pezzo di pane. Al tempo che dico la piazzetta del Sepolcro era rientrata nella normalità cittadina, né udiva più le grida e gli strepiti della faziosa sezione fascista, alfine traslocata altrove. Da questa si mosse, infatti, la notte in cui si sparse la notizia dell’attentato a Mussolini in Bologna, la infatuata squadra che prese d’assalto la casa di Emilio Lussu. Più tardi negli anni della guerra, in un centro purtroppo indifeso, la piazzetta del Sepolcro vide costruire un rifugio sotto le scalette adiacenti alla chiesa, e fortuna volle che su di esso o nei presi non cadesse bomba alcuna: sarebbe stato un massacro.

Chiesa e piazzetta del Sepolcro, un lembo di città che ai cagliaritani d’oggi può magari apparire del tutto insignificante, e che invece ha avuto la sua storia, le sue vicende liete e tristi. E per me ritornano particolarmente care al ricordo proprio per quelle domeniche del dopo la messa quando pur io, giovane tra i giovani, avevo una fanciulla da cercare e da attendere ed a lei mi accompagnavo. Quanti anni sono passati, tuttavia quell’incontrarsi e quell’andare non sono svaniti nel nulla, resistono a tutte le peripezie che sono seguite, a tutta una vita diversa.

Alla chiesa del Sepolcro mi riportò, trascorsi molti anni, il mio mestiere di giornalista. Dovevo avere un colloquio con il parroco, più non rammento per quale motivo. Non mi ci ero recato dalle domeniche dei dolci incontri. La chiesa, vuota, mi parve enorme, smisurata, non più la stessa di quando i giovani si accalcavano. Eppure, attorno, c’erano gli stessi altari, gli stessi marmi, gli stessi quadri. Che cosa era cambiato? Era cambiata la mia vita, e la vita al difuori. Del passato non restavano che ombre, misteriose ombre nell’ombra del tempio. Per quanto mi sforzassi non riuscivo a fermare niuna di quelle ombre a ridar loro vitalità. Vagavano, di navata in navata, evanescenti, inafferrabili. Sentivo prepotente il bisogno di uscire all’aperto, di concordarmi con la gente delle strade nella città che non era più quella di una volta, che sotto infiniti aspetti non era più la mia città. Fu così l’ultima sosta nella vecchia chiesa. Stesi sulle balaustre i drappi neri di un recente funerale penzolavano lugubri, davano un’immensa tristezza. Passando, verso l’uscita, scorsi nell’angolo di un altare il dipinto ad olio di Santa Rita, la santa – dicono – delle grazie impossibili. Non so perché mi fermai dinanzi un momento, e sentii il bisogno di segnarmi con la croce.


Nel 1909. Da “La città chantant, monarchica clericale e socialista”

Per qualche soluzione positiva che s’affaccia, altre in negativo emergono inaspettate per imperio dell’autorità tutoria. Giovedì 4 febbraio, infatti, un decreto prefettizio ha sciolto le amministrazioni delle maggiori arciconfraternite locali. Le proteste non sono mancate, parendo a molti trattarsi dell’ultimo episodio di una lunga teoria di abusive invasioni di campo ed esautoramento degli organi elettivi. Regi commissari vengono nominati: alla congregazione del SS. Sacramento di Sant’Eulalia il cav. Lorenzo Valle, all’arciconfraternita del San Sepolcro il dottor Battista Marongiu, a quella del Gonfalone (cioè di Sant’Efisio) il cav. Vacca Maggiolini…

Anno Domini millesimo nongentesimo nono die decima quinta mensis Martii Puer natus die decima secunda hora vigesima secunda…”. Don Amedeo Loi, parroco collegiato di Sant’Eulalia, compila l’atto di battesimo del piccolo Francesco Vincenzo Salvatore Giuseppe Alziator, figlio di Mario (fu Francesco e fu Vincenza Meloni: quest’ultima deceduta, nella sua casa di via Lamarmora, da poche settimane soltanto), nativo di Caserta, e di Matilde Marini (fu Salvatore e di Geronima Carossino), originaria della Marina di Cagliari. Padrini uno zio paterno, Giuseppe Meloni, e la nonna materna, il rito si è compiuto “in hac Ecclesia Sancti Sepulchri”.

È il sessantaduesimo battesimo, dall’inizio dell’anno, nella chiesa certo più bella ed originale del quartiere della Marina che ha assunto, in tutto e per tutto, le attribuzioni parrocchiali di Sant’Eulalia, chiusa ormai da diversi mesi per importanti lavori di restauro.

Per dimensioni territoriali e per popolazione la parrocchia dell’antica La Pola è forse la più dinamica della città. Può contare, nella propria circoscrizione che si giustappone a quella amministrativa della Marina, su più chiese succursali: da San Francesco di Paola, affidata ai minimi (o paolotti), nella via Roma, alle Cappuccine di clausura, quasi dirimpetto a porta Castello, da Sant’Antonio abate e Santa Caterina alessandrina, entrambe nella via Manno, gestite dalle arciconfraternite rispettivamente della Vergine d’Itria e dei Genovesi, a Santa Rosalia, onorata anche dalle spoglie del beato Salvatore da Horta, officiata dai minori francescani, da Santa Lucia, nella via Sardegna, a Sant’Agostino (provvisoriamente chiusa però), di lato all’asilo della Marina e Stampace, nella via Baylle… Ma la vice parrocchia è San Sepolcro. Chiesa suggestiva, singolare nella storia della sua fabbrica (riconducibile alla metà del XVI secolo, forse sopra una più antica di cui è rimasto, catacombale, il solido) e nel superbo impianto architettonico come di chiesa doppia… I suoi vanti anche artistici sono un’infinità: dal magnifico retablo in legno intarsiato, che occupa tutta una grande parete del cappellone realizzato per grazia ricevuta, ai due splendidi ed imponenti crocifissi, dei quali uno domina dalla nicchia centrale dell’altare maggiore e l’altro è solito esser portato in processione nelle ricorrenze più significative, dalla cosiddetta “quadreria” – le quattro tele ritraenti una il committente don Antonio Lopez de Ayala, viceré di Spagna, e le altre sua moglie ed i suoi due figli – all’antico organo che forse è il migliore dell’intera città, con i suoi doppi mantici azionabili a mano…


Un veloce excursus fra le sue attività – eminentemente quelle liturgiche – offre la misura della vivacità della partecipazione dei cagliaritani, non soltanto sempre del quartiere, alla missione spirituale animata dalla collegiata (col dottor Luigi Pinna – praeses parochus dal maggio 1903 – sono i teologi Efisio Argiolas e Giuseppe Lai ed il citato don Amedeo Loi):

- da sabato 16 gennaio, alle 7,30, pio esercizio dei sabati dedicati alla Vergine di Pompei;

- martedì 19, alle 10,30, solenne funerale in suffragio delle vittime del terremoto calabro-siciliano, pagato dall’arciconfraternita del SS. Crocifisso e dell’Orazione (legata a tutta una serie di secolari privilegi pontifici, ad iniziare dall’aggregazione alla compagnia della basilica lateranense ed a finire con una gran quantità di pontificie concessioni d’indulgenza per le sue pratiche religiose): nella chiesa parata a lutto, con maestoso catafalco al centro della navata, circondato da numerosi lumi, celebra il cappellano don Loi, con assistenza dell’arcivescovo che imparte, infine, l’assoluzione al tumulo. “Dies irae, dies illa solvet saeclum in favilla...“. Magica atmosfera, fra cori, incensi e luci, sincera e palpabile la commozione;

- venerdì 12 febbraio, festività liturgica di Sant’Eulalia, la martire barcellonese titolare della parrocchia. Messe lette circa ogni ora per l’intera mattinata; alle 10, poi, solenne pontificale dell’arcivescovo assistito dal capitolo metropolitano, con panegirico del dottor Argiolas; al primo banco è, secondo tradizione, la rappresentanza municipale, mentre il servizio musicale è dell’orchestra civica. Ottima la collaborazione fra la collegiata, la congregazione del SS. Sacramento e l’arciconfraternita del San Sepolcro. Intanto mons. Balestra, che ha finito di visitare le chiese filiali di Stampace, annuncia l’avvio del giro fra quelle della Marina;

- domenica 28, alle 10,30, inizio dei quaresimali da parte del padre Porpora, su incarico dell’arciconfraternita; il pomeriggio del giovedì e della domenica predicherà invece, per conto della collegiata, il can. Alfieri, proveniente da Nocera Umbra;

- preceduto dai vespri cantati della vigilia, lunedì 1° marzo festività della Vergine della pietà, che dà il titolo allo storico cappellone: alle 10,30, dopo varie messe lette, solenne celebrazione con omelia del dottor Argiolas; di sera vespri, coroncina e benedizione;

- sabato 13, inizio della novena a Gesù Nazareno, tradizionale devozione della chiesa, dove è custodita un’antica pregevole tela raffigurante appunto il Nazareno, dipinta da entrambe le parti: un quadro “che viene esposto – sono parole del canonico Giovanni Spano del 1861 – in mezzo alla Chiesa sopra una base impernato, vedendosi così la figura di davanti e delle spalle. Si ha molta venerazione a questa immagine, come all’altra vicina, esprimente parimenti il Nazareno, che dicesi sia stato rinvenuto insieme al simulacro della Vergine”;

- proseguono, intanto, le meditazioni di quaresima del can. Alfieri, che tiene il pulpito anche in duomo: dotto, forbito nell’eloquio, eppure accessibile, offre la verità di fede con calda umanità.

Il purgatorio e la libertà di pensiero sono il filo conduttore dei suoi discorsi…


Diario quaresimale. È tempo di grandi prediche nelle chiese cittadine. Nelle quattro storiche parrocchie e nella ventina di filiali ch’esse hanno distribuite fra quartieri e sobborghi, il punto forte della preparazione alla Pasqua è costituito proprio dalle predicazioni per le quali sono stati mobilitati religiosi locali e teologi anche del continente.

In duomo (ed a San Sepolcro) tiene il pergamo – s’ detto – il can. A. Alfieri, capitolare della cattedrale di Nocera Umbra; a Sant’Anna padre Alfonso M. Porpora; a San Giacomo il giovane parroco collegiato dottor Virgilio Angioni; a San Domenico padre Angelo Pelaggi, che volta a volta tratta del samaritano, del piacere contrapposto alla morte, del peccato, della religione, dello scandalo, del rispetto umano, del culto festivo, della missione redentrice, del figliol prodigo… Ogni comunità integra poi con altri momenti di preghiera, con speciali culti devozionali, ecc…

A ridosso della settimana santa (e cioè da venerdì 26) iniziano le cosiddette missioni quaresimali. Dureranno sette giorni. La predicazione, di taglio estremamente popolare, è affidata, in cattedrale, ai canonici Perra e Puxeddu, a Sant’Anna al can. Pinna ed al padre Porpora, a San Sepolcro ai due parroci collegiati don Loi e dottor Argiolas, a San Giacomo al can. Durzu ed al dottor Ernesto M. Dodero rettore di San Lucifero.

Chiesa del perdono? Chiesa della libertà e della coscienza tabernacolo del vero? Giusto alla vigilia della settimana di purificazione il Sant’Offizio onora la tradizione temporalista ed inquisitoriale pubblicando il decreto che commina la scomunica maggiore a don Romolo Murri, deputato neoeletto: “sacerdotem erronea ac seditiosa in Ecclesia Dei scripto et verbo disseminationem”. Amen.


“Anno Domini millesimo nongentesimo nono die vigesima octava mensis Augusti Puer natus die septima hora vigesima secunda…”. È stavolta il teol. Efisio Argiolas a stendere l’atto di battesimo del nuovo nato accolto “in hac Ecclesia Sancti Sepulchri”: Giuseppe Gaetano Antioco Dessì, figlio di Francesco (di Antioco e Maria Giuseppina Fulgheri) e di Maria Cristina Pinna (di Giuseppe e fu Angela Manno), entrambi villacidresi. Padrini il nonno materno e la zia paterna Elisa Dessì.

L’atto compare al 192° posto del volume che riunisce i cinque libri – defunctorum, baptizatorum, confirmatorum, matrimoniorum e stato delle anime –, la memoria storica scritta dalla comunità parrocchiale, provvidenzialmente imposta dal concilio di Trento e regolamentata dal decreto pontificio Ne temere.

È sabato. La chiesa di San Sepolcro continua ad essere centro attivo della vita sociale, ma soprattutto spirituale, del quartiere. Il diario sacro post-pasquale, fra primavera ed estate, è colmo di annotazioni:

- giovedì 15 aprile viene esposto il SS. Sacramento per l’adorazione mensile, secondo la prassi delle quarant’ore, da sempre molto seguita nelle chiese cittadine; la sera meditazione eucaristica del rev. prof. Aloisio;

- sabato 8 maggio, inizio della novena in onore della Vergine della pietà e l’indomani, dopo la lettura del Vangelo, nel corso della messa solenne delle 10,30, omelia del parroco collegiato dottor Giuseppe Lai;

- sabato 22 e domenica 23, ad iniziativa del pio comitato parrocchiale celebrazione della solennità di Santa Rita, con processione serale del simulacro per le vie del quartiere e conclusivo panegirico del dottor Argiolas;

- venerdì 18 giugno, inizio delle quarant’ore mensili (conclusione domenica 20, festività del Cuore di Gesù);

- venerdì 9 luglio, inizio delle quarant’ore mensili (fino a domenica 11);

- giovedì 12 agosto, solenne messa di trigesimo in suffragio del compianto can. Giuseppe Durzu, già priore dell’arciconfraternita dell’Orazione e della Morte…

E così continuerà, sempre intensa, la vita ecclesiale e liturgica, devozionale e catechistica, secondo la cifra del tempo, in autunno e fino a Natale. Infatti:

- da venerdì 24 settembre triduo in onore del beato Pompilio Maria Pirotti, e domenica 26 sua festività con funzione vespertina e panegirico del can. Puxeddu;

- a fine mese il presidente della collegiata invia alla tesoreria del quartiere della Marina, nel conto dell’Opera chiese povere, la somma di 110 lire quale primo versamento delle benemerite zelatrici. Affidata alle cure speciali del cancelliere arcivescovile can. Eugenio Puxeddu, l’Opera può contare su numerose ed attive associate presenti in tutti i rioni, il cui compito è di raccogliere offerte per sovvenire le chiese, soprattutto dell’interno rurale, prive delle necessarie dotazioni rituali (dal 10 al 14 dicembre, in una sala dell’episcopio, saranno esposti – come ogni anno – gli arredi o paramenti destinati alle parrocchie bisognose);

- sabato 16 ottobre, ore 18,45, inizio del novenario in onore della Vergine degli abbandonati, titolare della chiesa di San Sepolcro, e domenica 17 solenne festa: alle 7,30 comunione generale infra missam dal decano capitolare mons. Serra, alle 10,30 messa cantata con omelia del can. Puxeddu, mentre la sera prosegue la novena preceduta dall’ultima esposizione del SS. Sacramento nella forma delle quarant’ore (iniziate venerdì 15 con la consueta messa cantata di mezza mattina);

- venerdì 24 novembre, nuova esposizione del SS. Sacramento, anche come chiusura del mese consacrato alle anime del purgatorio;

- venerdì 26, ore 10,30, funzione della cappella ardente con messa da requiem pontificale officiata dal capitolo metropolitano ed omelia del dottor Mario Piu; alle 18 recita del rosario e giro processionale col Venerabile all’interno della chiesa;

- giovedì 16 dicembre, ultima adorazione mensile dell’anno ed inizio della preparazione natalizia.

Lunedì 16 egli pontifica a Sant’Anna, martedì 17 a San Sepolcro e mercoledì 18 a San Giacomo. A tenere il pergamo sono rispettivamente il teol. Federico Saddi, dottor Mario Piu e lui stesso. Ognuna delle parrocchie collegiate completa il programma dell’altare con processioni pubbliche nelle strade e molta, molta musica. A prodursi sono, in particolare, le due bande monserratine della Sant’Ambrogio e dell’Umberto I.

Suffragi austeri alla chiesa di San Sepolcro, fra autorità civili ed ufficiali del reggimento di stanza, per l’anziana contessa Giuseppina Gritti, nata dei baroni Rossi, buona e gentile e pia…

Nelle diverse chiese cittadine, intanto, si chiudono i diversi novenari dedicati sempre all’Immacolata…


La novena di Natale . Giovedì 16 si inizia a Bonaria, ma non solo. “Iucundare, filia Sion, et exsulta satis, filia Ierusalem...”. A Sant’Anna tiene il pulpito il vincenziano signor Carena, a San Sepolcro il cappuccino padre Ilario, a San Giacomo il parroco collegiato dottor Angioni. Idem al Carmine: funzione e predica.

Assistito dai canonici, alla mezzanotte e poi la mattina del 25, in duomo pontifica mons. Balestra. “Natum videte Regem Angelorum. Venite, adoremus Dominum...”. Ovunque il copione liturgico è ripetuto con la massima cura; alla messa viene distribuita anche la comunione...


Nel “Te Deum” è il grazie dei cagliaritani , forse anche degli scettici, a Domineddio per l’anno che ha loro concesso di tribolazioni e di avanzamenti nel cammino della vita, nella cura degli affetti, nei diletti intellettuali, nelle soddisfazioni professionali, nella missione civile. Nel tardo pomeriggio del 31 dicembre in tutte le chiese della città le comunità dei fedeli elevano il loro laudamus. Al canto segue la predica: in duomo del padre Massidda, a Sant’Anna del signor Vincenzo Carena, a San Sepolcro del can. Puxeddu, a San Giacomo di padre Fontana, a Santa Caterina del teol. Argiolas, a Bonaria di padre Antonio Giuliano.

Fonte: Gianfranco Murtas
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