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Gianfranco Murtas

Successo dell' avv. Lorenzo Sanna alla Lateranense, ripensando al prof.-mons. Alberti e al “collega” Tiddia

di Gianfranco Murtas

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È bello per chi s’è fatto, bene o male, biografo di don Ottorino Pietro Alberti, che fu segretario generale oltreché docente alla Lateranense prima della promozione vescovile con destinazione Spoleto e Norcia, sapere che nella stessa sua Pontificia Università si sia bislaureato nei giorni scorsi – il 26 novembre per la precisione – un giovane suo concittadino che gli fu assistente, allora bambino o già ragazzo, in numerose sue funzioni nella cattedrale di Santa Maria delle Neve, nei periodici ritorni nuoresi durante il lungo episcopato umbro che precedette quello cagliaritano. 

Conseguendo una votazione di 90/90 summa cum laude e il diritto di pubblicazione, si è dunque “addottorato” in Utroque Iure l’avv. Lorenzo Sanna, ben noto a Nuoro e in tutta la provincia per motivi professionali in senso stretto, ma anche per essi stessi nello spettro sociale e solidaristico in aggiunta. In commissione i professori Emile Kouveglo, moderatore, Claudia Izzi e Matteo Nacci. Titolo della tesi: La ministerialità dei laici nel magistero di Papa Francesco e la sua ricezione nella Chiesa Italiana.

Furono, la Lateranense e la frequenza ai corsi che ne fece anche un altro dignitario ecclesiastico sardo delle mie più care consuetudini – intendo don Pier Giuliano Tiddia, decano dei vescovi isolani – uno degli argomenti che di più, anni addietro, mi coinvolsero nella confezione del libro-intervista e testimonianza di vita dell’arcivescovo emerito di Oristano ed anche presidente della CES.

E allora, associando nella mia affabulazione i due presuli, per dar poi spazio al successo dell’avv. Sanna, mi concedo questo ripasso di lettura delle confidenze riservatemi giusto sulle esperienze lateranensi maturate poi da chi avrebbe avuto, nel proprio futuro, il gravoso carico della guida di diocesi importanti come quelle che conosciamo.

Collocai a suo tempo le particolari vicende di studio e/o di impatto operativo e docente con l’università pontificia nel contesto di creative stagioni di vita e di altri impegni di lavoro che, all’interno delle diocesi di appartenenza – appunto Nuoro e Cagliari – ai giovani presbiteri erano assegnate dai rispettivi ordinari di resistente eccellente memoria (entrambi convocati, anni dopo, al Concilio Vaticano II): Giuseppe Melas a Nuoro, Paolo Botto a Cagliari.


Racconta Ottorino Pietro Alberti

Ecco Alberti, neolaureato in agraria all’università di Pisa (1951) e autore di una importante pubblicazione)… profana, di risonanza scientifica mondiale, dal titolo "La Flora blastomicetica di alcuni vini tipici sardi".

«Subito dopo la laurea me ne andai a Roma, mi iscrissi al Seminario Romano Maggiore – era il 12 dicembre – e contemporaneamente alla Pontificia Università Lateranense: i corsi erano quelli di propedeutica, poi teologia. Furono cinque-sei anni di studio intensissimo, fortunatamente con molti rientri a Nuoro. Il Seminario Romano, si sa, è quello in cui si sono formati uomini di Chiesa eminenti: vorrei citare qui soltanto il futuro papa Roncalli... Mio direttore spirituale fu, allora, monsignor Pericle Felici, successivamente vescovo e anche cardinale. Egli fu il segretario generale del Concilio Ecumenico Vaticano II, e nel 1978 fu lui quel cardinale protodiacono che molti ricordano perché dalla loggia di San Pietro annunciò al mondo l’ "habemus papam", prima Giovanni Paolo I, poi Giovanni Paolo II... Gli rimasi sempre legato. Morì improvvisamente nel 1982, a marzo, mentre presiedeva alla processione della Madonna Iconavetere, a Foggia...

«Venni ordinato diacono a San Giovanni in Laterano il giorno del mio 28°compleanno, nel 1955 cioè. E sacerdote, a Nuoro, tre mesi dopo – il 18 marzo 1956; poi conclusi gli studi, cosicché l'anno dopo, nel 1957 – il 3 luglio –, mi laureai in Teologia. Dunque avevo 28 anni e mezzo quando monsignor Giuseppe Melas mi ordinò nella cattedrale di Nuoro: lui veniva dalla diocesi di Cagliari…

«Vorrei dire di quei giorni. Proprio in quello stesso marzo, prima di Pasqua (che cadeva il 1° aprile), i vescovi sardi si riunirono a Cagliari ed ebbero la visita di monsignor Cunial, successore di monsignor Baggio come Assistente generale degli scout; egli tenne anche una bella conferenza ai seminaristi e radunò gli Assistenti ecclesiastici, e io lo stavo diventando per Nuoro…

«Con il vescovo ero in rapporti di devozione ma anche di grande confidenza. Egli era a Nuoro da una decina d'anni, e si era fatto tutto barbaricino, parlava il barbaricino, era presentissimo nelle parrocchie, sempre molto impegnato a favorire la pace dove c'era disamistade, inimicizia tra persone, tra famiglie o clan, tra paesi. Fu un vescovo della pace…

«Dati questi rapporti, e anche per l'obbedienza che un prete deve al suo vescovo, da subito accettai gli incarichi che egli volle conferirmi dopo che, laureatomi in Teologia, potei mettermi completamente a sua disposizione. Ricordo che in quegli anni fui docente di lettere nel seminario vescovile e di estimo nell'Istituto tecnico per geometri di Nuoro; fui anche vice cancelliere in Curia, assistente dei Maestri Cattolici, idem dell'Azione Cattolica diocesana (precisamente della GIAC) e pure della Gioventù studentesca e dell'Associazione insegnanti medi cattolici italiani (elementari più medie). Infine, certamente non ultima nell'elenco, dato anche il mio passato, dell'ASCI - Associazione Scout Cattolici Italiani.

«Era allora tutto un movimento di Scoiattoli e Castori, Daini e Rondini... Solite uscite a Valverde con monsignor Calvisi in talare ma anche col fazzolettone giallo-rosso al collo e il berretto basco…

«Ero prete da tre anni, dottore in Teologia da due, e fui chiamato a Roma. Avevo 31 anni e mezzo. Mi ero fatto le ossa, mi ero proiettato in un mondo sociale largo; avevo la mia formazione religiosa ed ecclesiale che era culminata nel sacerdozio ad un'età relativamente matura e avevo fatto pratica nei servizi diocesani richiestimi da monsignor Melas. Potevo inoltrarmi in un'altra stagione della mia vita, nella città del papa, nella storica università del papa. Questo fu nella primavera del 1959, l'anno dello storico annuncio del Vaticano II da parte del nuovo pontefice Giovanni XXIII.

«Si sa: nella tarda estate del 1958, dopo vent'anni di regno, moriva Pio XII, e saliva alla cattedra di Pietro il cardinale Roncalli, patriarca di Venezia e a lungo, prima, diplomatico. Per la Chiesa cattolica iniziava una fase nuova della sua vita bimillenaria, soprattutto segnata, grazie al Concilio, dalla apertura agli ebrei e a tutte le confessioni cristiane, in una visione ecumenica, e amica della modernità, non nemica.

«Partii per Roma. "La Nuova Sardegna" mi dedicò un trafiletto… "Salutato cordialmente ed accompagnato dai più affettuosi auguri è partito per Roma, dove esplicherà le funzioni di segretario generale dell'Ateneo lateranense, il reverendo prof. dott. Ottorino Alberti. Al nostro giovanissimo concittadino, già insegnante presso i locali seminario ed Istituto tecnico per geometri e avviato verso una brillante carriera che corrisponde indubbiamente alle sue eccezionali qualità di studioso, porgiamo gli auguri più cordiali della redazione nuorese de La Nuova Sardegna".

«Restando a quel che più direttamente mi riguarda lungo quegli anni '60 – diciamo fino al 1971 – potrei dire questo: alla Lateranense ebbi due funzioni, una amministrativa e una nel corpo docente.

«Presi possesso della segreteria generale, il che significava che ero il coordinatore di tutti i settori operativi in cui era articolata l'università. Si sa che la cattedrale del papa in quanto vescovo di Roma è a San Giovanni in Laterano... e la nostra Università, la Lateranense appunto, era definita l'università del papa in via d'eccellenza: era stata fondata alla fine del '700 – quindici anni prima della rivoluzione francese – da Clemente XIV, per i corsi di Teologia e di Filosofia; cinquant'anni dopo Leone XII (quello del film di Manfredi "Nell'anno del Signore" e della ghigliottina per Targhini e Montanari) ne spostò la sede presso il palazzo di Sant'Apollinare: qui, nel 1853, Pio IX istituì le facoltà di Diritto Canonico e di Diritto Civile nonché il Pontificio Istituto Utriusque Iuris. Nel 1958 l'Ateneo assunse l'attuale assetto organizzativo. Nel '59 Giovanni XXIII volle cambiarne la denominazione: da Ateneo essa divenne Pontificia Università Lateranense. Nel '64 scrissi una breve monografia sulla onorata storia della Lateranense. Mantenni l'ufficio di segretario generale per cinque anni.

«Ebbi quindi un incarico di docente: le prime mie materie furono Cosmologia e Psicologia Razionale. In questo mi aiutavano anche gli studi pisani. E la cosa, ancora di più fu evidente quando passai a Filosofia della natura. Divenni anche vice decano della facoltà di Filosofia.

«Insegnai per una decina d'anni, perché proseguii anche nel biennio cagliaritano 1971-73, combinando questo lavoro a quello di ricercatore. D'altra parte, Roma è tutto un archivio, un museo e un archivio. Ho avuto il piacere e anche l'onore di far rivivere tante pagine della storia, soprattutto della Chiesa, e di uomini della Chiesa, immergendomi per lunghe ore, e per anni e anni, negli archivi delle università, ma anche nell'Archivio Segreto Vaticano...

«E in quella stessa fine degli anni '50 iniziai a pubblicare molto; erano ricerche impegnative. Intanto però vorrei dire che cominciai con le collaborazioni a giornali e riviste. In particolare mi piace ricordare la collaborazione a "L'Osservatore Romano", questo fin dall'autunno 1959: mi pare abbiano contato 28 articoli fino ad arrivare al 1971, cioè al primo rientro in Sardegna. Naturalmente poi ho continuato, magari saltuariamente, negli anni di Spoleto e Norcia… Intenso anche il rapporto con riviste specialistiche, mi riferisco a testate come "Tabor", "Divinitas", "Aquinas", "Palestra del Clero", "Amico del Clero" ...

«Verso la fine del decennio - diciamo pure, negli anni della contestazione - presi a collaborare con crescente continuità ad alcune riviste isolane, fra cui la nuorese "Frontiera", diretta da Remo Branca - il grande intellettuale e incisore -, e il "Nuovo Bollettino Bibliografico Sardo", diretto dal benemerito Giuseppe Della Maria…

«Sul piano più prettamente scientifico - cosa che poi mi si richiedeva, in quando docente impegnato nella ricerca - direi che fino al 1971 potei dare alle stampe undici fra libri e monografie. Alcune di queste opere riprendevano i filoni dei corsi universitari che io guidavo: "L'unità del Genere Umano nel Magistero della Chiesa" e "L'Unità del Genere Umano", "Miti sull'origine del mondo", "L'origine del mondo secondo la Bibbia", "Elementi di filosofia cristiana", "La scienza nel pensiero di Teilhard de Chardin"; altre toccavano la storia della Chiesa e anche la Sardegna: "I Vescovi Sardi al Concilio Vaticano I", "La Sardegna nella storia dei Concili", "Le relazioni triennali di don Alfonso De Lorca, arcivescovo di Sassari, alla Sacra Congregazione del Concilio (1590-1600)", "Il Cristo di Galtellì", a me particolarmente caro...

«Nel 1963 la Lateranense pubblicò una propria storia in due volumi. Nel primo curai 109 voci; nel secondo 3. Collaborai quindi a diversi volumi del "Dizionario dei Concilii", pubblicati dalla Città Nuova Editrice fra il '63 e il ‘68: curai 13 voci nel secondo volume, 24 nel terzo, 12 nel quarto, 51 nel quinto, 9 nel sesto. Nell'arco dell'intero decennio poi la stessa editrice esitò dodici volumi della "Biblioteca Sanctorum": e qui curai 5 voci, compresa quella di Pio IX.

«A tutto questo sommerei un contributo, sempre per la Lateranense, sui "Problemi di origine in Sant'Ireneo". E altri tre di argomento invece sardo: nel 1962 scrissi sulle "Dimensioni spirituali e presupposti morali del Piano di Rinascita" (... allora la Sardegna iniziava a modernizzarsi, pur fra tante contraddizioni); nel 1970, in vista del centenario deleddiano, "Nuoro nella storia", inserito in un libro (titolo "Vecchia Nuoro") curato dal professor Giovanni Cadalanu, e "I Mercedari in Sardegna con i loro conventi e la loro opera", in un volume anch'esso collettaneo.

«Queste le fatiche di quegli anni. Che mi prepararono ad altre. Non posso tacere che dal 13 giugno 1963 ero canonico onorario del capitolo cattedrale di Nuoro, il che rinsaldava il vincolo con il clero della mia diocesi; l’anno dopo – dunque in pieno Concilio – ebbi da Paolo VI la nomina a cameriere segreto di Sua Santità… Nel 1971 fui chiamato come consultore della Congregazione per il Clero.

«Nello stesso 1971, in Sardegna però… Capitò che i padri gesuiti, che dal ‘27 avevano la direzione, oltre che della facoltà teologica, anche del seminario regionale di Cuglieri, notificarono al cardinale Sebastiano Baggio, allora arcivescovo di Cagliari e presidente della CES, la loro rinuncia, peraltro già abbondantemente preannunciata. Ormai da tre anni la Congregazione per l’Educazione cattolica aveva posto in capo alle Conferenze Episcopali regionali gli onori e soprattutto gli oneri dei seminari maggiori. I rapporti fra l’episcopato sardo e il vertice della Compagnia di Gesù, relativamente al mantenimento di questo impegno direzionale e docente, non erano dei migliori: i gesuiti osservavano che la crisi vocazionale che aveva colpito la stessa Compagnia non consentiva loro di “distrarsi” in affari che dovevano essere delle diocesi, e dunque occorreva che fosse il clero secolare a preparare il clero secolare… professori e direzione…

«Per un altro anno ancora – il 1970-71 – si ottenne una proroga, poi basta: i gesuiti lasciarono. Si trattava di trasferire in fretta e furia gli studenti a Cagliari dove non si era attrezzati per niente a una svolta tanto repentina, soprattutto dal punto di vista logistico. Gli studenti furono infatti in parte ospitati al diocesano di Cagliari, in via Cadello, in parte in altri posti. E a gestire questa difficoltà grande e improvvisa il cardinale chiamò, d’intesa con la CES, me. Mi richiamò a servire la Chiesa nella mia terra.

«Non era il mio mestiere, debbo confessarlo, ma ubbidii. La situazione era, per certi versi, sfilacciata… Mi trovai... intrappolato in questioni, direi anche in atmosfere, non da poco, e tutte molto critiche. Non potei peraltro lasciare, allora, l'insegnamento alla Lateranense, e cercai dunque di combinarlo con le attività del rettorato del seminario regionale. Metà settimana qui, metà lì.

«Furono due anni intensi, faticosi, due voli aerei alla settimana per cento settimane fanno duecento voli... Allora gli studenti dei cinque anni - due del corso filosofico e tre di quello teologico - erano, se ben ricordo, una cinquantina, una decina o dozzina in ogni anno. Nel 1971, quando arrivai – non ho quindi nessun merito – furono ordinati una ventina di sacerdoti… tutta la Sardegna era rappresentata... tranne il Nuorese, quell'anno...».


Racconta Pier Giuliano Tiddia

Ecco ora la testimonianza personale di monsignor Tiddia, di appena due anni più giovane di monsignor Alberti:

«La tonsura fu trasferita al 10 gennaio 1947 nella cappella del seminario di Cuglieri, e mi fu conferita da monsignor Nicolò Frazioli vescovo di Bosa, che era lì vicino… Così iniziai il cammino clericale. Ero in prima teologia. Invece i quattro ordini minori, prima ostiariato e lettorato, poi esorcistato e accolitato, mi furono conferiti tutti e quattro nella cappella dell'episcopio di Cagliari da monsignor Piovella, due per volta: il 28 giugno del 1947 ed il 28 giugno del 1948 rispettivamente, allorché iniziavo la seconda e la terza teologia…

«Per ricevere il suddiaconato, che richiedeva un impegno stabile legato al celibato, bisognava avere almeno 21 anni. Quindi dovetti aspettare qualche tempo ancora. Lo ricevetti alla fine del quarto anno di teologia, appunto al compimento dell'età minima. Fu il 16 luglio 1950, pochi giorni dopo la licenza in teologia…

«Nel luglio 1950 conclusi il quarto anno di teologia con l'esame di licenza, presentando un lavoro su "L'infallibilità del Papa in Luca 22, 31-32". Pochi mesi dopo – forse erano i primi giorni di settembre –, quando cioè andammo a Roma per l'anno santo, l'arcivescovo mi chiamò da parte e mi disse che l'anno seguente mi avrebbe ordinato sacerdote.

«Intanto io ero interessato a continuare a Cuglieri per la laurea, ne avevo anche parlato con il professore, precisamente con padre Bozzola. L'arcivescovo però mi disse: “desidero che tu venga a Roma a studiare diritto canonico”. E naturalmente gli risposi di sì. Mi aveva anche già cercato il collegio, era il Nepomuceno, in via Concordia 1, dalla parte di San Giovanni in Laterano, quartiere Appio. E appunto cominciai a studiare, già alla fine di quel 1950, a Roma. Per l'ordinazione dovetti aspettare circa un anno e mezzo. Mi riferisco adesso soltanto all'ordinazione sacerdotale, perché alla fine del quarto anno di teologia presi il suddiaconato, poi l'anno seguente a giugno presi il diaconato e il 16 dicembre, sempre del 1951, il presbiterato…

«Dal punto di vista dello studio al Laterano, l'esperienza costituiva per me, indubbiamente, una grande novità, non soltanto per le materie della specializzazione. Non era cosa facile. Le lezioni delle materie canoniche, per esempio sul codice, erano tenute in latino; in italiano si svolgevano quelle non canoniche, come storia del diritto canonico, diritto romano, ecc. Partecipavano anche molti studenti stranieri che così avevano modo di allenarsi alla nostra lingua. Le lezioni erano interessantissime.

«In generale, al Laterano gli studenti iscritti erano diverse centinaia, divisi nei due settori della teologia e del diritto canonico. Moltissimi gli stranieri, mandati dai loro vescovi a specializzarsi per esser poi meglio impiegati nelle rispettive diocesi. In più erano iscritti numerosi non frequentanti, che venivano soltanto per gli esami.

«Le principali discipline del corso erano senz'altro diritto canonico e diritto internazionale comparato, cioè il codice civile e il codice penale delle principali nazioni messi a confronto fra loro. Professore di diritto penale comparato era Camillo Corsanego, di diritto romano Gabrio Lombardi. Alcuni docenti divennero cardinali, come il libanese Coussa, che insegnava codice sulle persone, o Violardo e Staffa, titolari rispettivamente di diritto matrimoniale e processi matrimoniali, e ancora Pavan, docente di sociologia, e Roberti, specializzato sula formazione del clero.

«E siamo ormai alla fine del matricolato romano. Un primo consuntivo? Alla fine del primo anno del corso al Laterano, nel 1951, ottenni il titolo di baccelliere. Alla fine del secondo, l'anno successivo, ebbi la licenza in diritto canonico. La discussione della tesi, alla fine del terzo anno, riguardò il tema delle relazioni giuridico-pastorali di papa Gregorio IX con la Sardegna. Questo lavoro non l'ho mai pubblicato perché, ritornato a Cagliari, ero già entrato nel tran tran del lavoro in diocesi…

«Fu ancora monsignor Botto ad ordinarmi diacono, sempre in cattedrale, il 29 giugno 1951. Allora io studiavo già da un anno a Roma.

«La cerimonia fu fissata appena ottenni dalla competente congregazione vaticana la dispensa per l'età. Il massimo di dispensa allora era di un anno e mezzo rispetto all'età minima dei 24 anni. Ottenutala bisognava che compissi 22 anni e mezzo. Io li compivo il 13 dicembre 1951, e quindi l'ordinazione venne fissata il 16 dicembre 1951 in Sarroch…

«Secondo le previsioni, e quel che l'età concedeva, poco dopo l'inizio del secondo anno accademico 1951-52 fui ordinato sacerdote. E neppure un mese dopo — e questo non era proprio pronosticabile! — rimasi vittima di un drammatico incidente stradale, che mi mise fuori combattimento per molto tempo obbligandomi a rallentare la ripresa degli studi... Riuscii a rientrare a Roma, nella frequenza delle lezioni, dopo la Pasqua 1952. Il rettore di allora, monsignor Pio Paschini, mi concesse la validità dell'anno nonostante le numerose e prolungate assenze. Cercai di recuperare studiando sodo e fui in grado di dare gli esami del secondo anno tutti quanti ad ottobre. Allora, al Laterano, non c'era la sessione di febbraio, quella di giugno finiva con la solennità di San Pietro e poi c'era la seconda sessione in autunno.

«Frequentai il terzo anno, dunque, fra il 1952 ed il 1953. L'anno conclusivo del triennio era il meno impegnativo dal punto di vista del numero delle lezioni... Debbo dire che in quegli anni, insieme alle lezioni di diritto al Laterano potei frequentare, nella curia, due corsi collegati al diritto canonico: alla Congregazione del Concilio (poi divenuta del Clero) prassi amministrativa canonica, e presso la Rota, per due anni dopo il baccellierato, le lezioni mensili di tre giorni sulla prassi processuale rotale. Ricordo la presenza, fra i docenti, oltreché di monsignor Jullien e monsignor Staffa, anche del sedilese monsignor Giovanni Maria Pinna, allora uditore rotale, che mi segui benevolmente; purtroppo mori prematuramente. Quest'ultimo corso effettivamente mi sarebbe stato utilissimo ad introdurmi nel lavoro del Tribunale matrimoniale.

«Quando tornavo in Sardegna, fra le varie sessioni di studio al Laterano, riprendevo la cura pastorale della parrocchia che mi era stata assegnata da monsignor Botto dopo l'ordinazione: quella di Villa San Pietro…

«Superato l'incidente e tornato gradualmente in forza, ripresa la frequenza alla Lateranense e dati gli esami del secondo anno e quelli del terzo, discussi infine la tesi. Presentai per la licenza il seguente argomento: "De supputatione temporis in Jure Canonico", mentre per la laurea "Le relazioni di Gregorio IX con la Sardegna" » .


L’affermazione del 2025

Naturalmente, di chierici e laici sardi passati alla Lateranense se ne potrebbero citare, a guardare soltanto il secondo Novecento e questo primo scorcio del Duemila, almeno una cinquantina, forse di più ancora, ed un centinaio a coprire l’intero arco temporale dei pontificati ad arrivare a Pio XII. A sbirciare l’elenco avrebbero… gloria tutte quante le diocesi sarde, ma se fosse fatto necessario citare qualche nome, magari attingendo agli stessi decenni – fra prima e dopo – dell’esperienza di studio degli arcivescovi Alberti e Tiddia, potrei richiamare – davvero soltanto piluccando – l’alerese don Vicenzo Diana, l’algherese don Antonio Nughes, i tempiese don Mario Cassari (poi vescovo nunzio apostolico) e don Francesco Cossu, i bosani don Lussorio Lampreu e don Giovanni Mastino, i nuoresi don Giovanni Bitti e don Ignazio Sanna (poi arcivescovo metropolita di Oristano), gli orgliastrini don Gavino Lai e don Bruno Mereu, gli oristanesi don Francesco Corrias, don Nicola Deriu, don Sergio Pintor (poi vescovo di Ozieri), don Giovanni Porcu e don Claudio Zedda, i sassaresi don Giovanni Maria Morittu, don Vittorio Palestro, don Giovanni Antonio Spanedda, don Giovanni Maria Usai, don Antonio Virdis e don Gian Carlo Zichi, i cagliaritani don Gian Carlo Atzei, don Pier Giorgio Cara, don Luigi De Magistris (poi vescovo e cardinale), don Piero Monni, don Fernando Sanna…



 

Ed eccoci ora all’avv. Sanna. Al quale – bucando la sua insuperata discrezione (ma fortunatamente temperata da una spontanea cortesia) – ho chiesto notizie del suo lavoro di tesi. Notizie che ha avuto la bontà di riferirmi ritenendo io di un certo interesse tanto più se le si colloca all’interno delle attualissime dinamiche che spirano nella Chiesa italiana presa oggi dagli impegni (e dai doveri) di una sinodalità che giunge forse tardiva a rivitalizzare una comunità, o una comunione, in forte e drammatico stacco – per il suo ancora imperante e delegittimato clericalismo e talune incongrue strettoie dottrinali – con le domande della storia. 


La ministerialità del laico nella Chiesa

E dunque eccole adesso le notizie sulle fatiche di studio di Sanna che auspicherei trovassero adesso, tanto più nella sua Nuoro affidata al vescovo Mura (presidente della CES), spazi di esplicazione operativa, certamente sempre più piegando – ché questa è la missione imposta (e senza chance si evasione) alla Chiesa dai tempi che viviamo – il diritto, il codice cioè, alla carità sociale.

«Quanto al tema della mia ricerca, essa ha avuto ad oggetto l’analisi dal punto di vista storico e giuridico della figura del fedele laico e della sua ministerialità, da intendersi come la presenza trasformativa da esso dispiegata a tutti i livelli della comunità ecclesiale.

«Nella prima parte, mi sono dedicato ad indagare la presenza del laico nelle prime comunità apostoliche (I-III secolo) attraverso l’esame degli scritti dei padri della Chiesa (da Clemente Romano, il Pastore di Erma e Giustino a Origene, Tertulliano e Clemente Alessandrino), per poi seguire l’evoluzione dell’organizzazione cristiana negli sviluppi successivi alla cristianizzazione dell’impero romano (dall’editto di Licinio e Costantino del 312 in poi) ed analizzare le forme più mature di organizzazione ecclesiastica con la nascita della gerarchia e la istituzione degli ordini maggiori e degli ordini minori fino al Concilio di Trento che, nato per rispondere alla riforma protestante, ebbe a cristallizzare tale assetto.

«Nella seconda parte, ho invece analizzato il magistero del Vaticano II sui fedeli laici esaminando i vari documenti che trattano del tema (le Cost. Lumen Gentium, Sacrosanctum Concilium e Gaudium et Spes e i Decreti Apostolicam Actuositatem e Ad Gentes) e seguendo poi gli sviluppi successivi del magistero a partire dal motu proprio di Paolo VI “Ministeria Quaedam” del 1972 che ha introdotto la nozione di ministeri istituiti di lettore e di accolito riservandoli ai laici, per poi passare al nuovo codice di Diritto Canonico del 1983 con l’esame dei canoni 228, 229 e 230 sulla partecipazione dei laici alla ministerialità ecclesiale e al Sinodo dei Vescovi su “la vocazione e la missione dei laici” (1987) con la successiva esortazione postsinodale “Christifideles Laici” di Giovanni Paolo II (1988).

«Nella terza parte, mi sono invece dedicato allo studio dei documenti del Papa Francesco sulla ministerialità dei laici: l’ “Evangelii Gaudium” (2013) il “Querida Amazonia” (2020), per poi arrivare ai due ultimi documenti sul tema, “Spiritus Domini” che ha consentito anche alle donne l’accesso ai ministeri istituiti del lettore e dell’accolito e l’“Antiquum Ministerium” sulla introduzione del nuovo ministero del catechista, entrambi del 2021.

«Ho dedicato l’ultima parte della mia ricerca al seguito che tali riforme hanno avuto nella Chiesa italiana con il corredo dell’esame delle principali questioni sul tappeto: a partire dalla crisi numerica delle vocazioni al ministero ordinato, le risposte sono state individuate nella valorizzazione del diaconato permanente e nel ruolo dei nuovi ministeri laicali oggetto peraltro di una Nota Pastorale del 2022 per dare operatività ai documenti del magistero appena citati.

«Infine alcune riflessioni sulle problematiche poste dalla recente evoluzione della ministerialità laicale: dalla formazione, selezione e retribuzione dei ministri laici al rischio della loro clericalizzazione, per poi esaminare la possibilità di utilizzare il canone 517 par. 2 (il quale già prevede che ai laici possa essere affidata la guida pastorale di comunità) per un’ulteriore valorizzazione della figura del/della catechista.

«Non mi sono risparmiato, ovviamente, alcune brevi considerazioni conclusive sulle prospettive evolutive della materia.

Fonte: Gianfranco Murtas
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