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Gianfranco Murtas

Elena ed Ottavia Melis, militanti della virtù: a Nuoro, per la Sardegna. Il sentire finissimo, la pedagogia del cuore

di Gianfranco Murtas

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Ho avuto la grazia di frequentare per qualcosa come un decennio Elena ed Ottavia Melis, a Nuoro. Gli incontri personali sono stati numerosi, più numerosi ancora gli scambi epistolari. Negli anni in cui il Partito Sardo d’Azione, che dal 1921 al 1968 – quasi mezzo secolo! – aveva vissuto le sue idealità nella fraternità con i repubblicani, alla cui stessa scuola teorica di democrazia mazziniana attingevano, era invece precipitato in un nazionalitarismo senza storia e senza futuro (direi oggi: gettando le basi per una blasfema deriva ed omologazione nel leghismo pagano degli ex-sacerdoti del dio Po) sentivo la necessità di recuperare le grandi memorie storiche dell’autonomismo meridionale e sardo, democratico ed antifascista, costruttore con altri della Repubblica dopo i disastri della guerra. Campione di quella storia, con altri non meno illustri ma con una sua peculiarità ammirevole, Giovanni Battista – Titino – Melis. 

Ricordavo sempre, per letture adolescenziali, la sua detenzione al carcere di San Vittore, con Ugo La Malfa, nel 1928 e tenevo quell’episodio come momento d’oro d’un percorso di vita sempre coerente e nobile. E Titino fu uno dei protagonisti sempre presente nel viaggio che compii allora nelle vicende del PSd’A dal 1943 e per un quarto di secolo ancora.

Elena ed Ottavia Melis – le sorelle minori di Titino Melis – e naturalmente, di lato, il presidente Mario Melis, mi furono fonte di documenti preziosi che, nel tempo, pubblicai in molti volumi che costituiscono il segno della mia partecipazione morale alle fatiche di chi, nella generazione precedente alla mia, s’è speso per il bene di tutti.

Nel volume conclusivo di quella decina di testi – tremila pagine, forse più – e cioè in Titino, i Melis, la Sardegna (Sassari, Edes 2004), ho riportato anche i vari contributi scritti che Elena Melis mi ha via via offerto ed io, che li avevo sollecitati, ho accolto nei diversi titoli usciti dal 1990 in poi, dedicando infine un capitolo proprio al racconto di come quel sodalizio con lei e con sua sorella Ottavia potei fruttuosamente svilupparlo.

Quello che segue è proprio la testimonianza di una relazione umana, oltre che ideale e politica, che mi ha unito ad Elena ed Ottavia Melis, benemerite anime della scuola e della vita civile nuorese.

Seguono altri documenti epistolari, un’altra decina almeno, anzi di più, e si vedrà come essi abbiano accompagnato anche i lavori redazionali ed editoriali sul sardoAzionismo, comprensivi sempre di qualche focus sul sardismo “sardo” che fu interlocutore necessario del sardismo “italiano”, quello cioè portato nel corpo lungo della nazione da uomini come Lussu e Fancello, Siglienti e Fantoni e Berlinguer e altri ancora, esponenti dell’antifascismo combattuto e sofferto nella penisola.

In ultimo, una lettera a molti stadi di Ottavia, che raccontava, scena dopo scena, la lunga e penosa agonia di Elena. Stretto dalle mie urgenze famigliari a Cagliari non avevo potuto raggiungere Nuoro allora, e nelle stesse lunghe settimane neppure avevo potuto raggiungere altri due amici che proprio allora, nell’anno 2000, si spegnevano anch’essi: Zella Corona e Baingio Piras, della nostra famiglia di Mondo X Sardegna.

Nessuno è dimenticato: non Zella e non Baingio, che nei giorni scorsi ho cercato di evocare nella ricchezza della loro umanità solidale, non – oggi – Elena ed Ottavia Melis, anime speciali capaci soltanto di bene.

x x x 

Vorrei raccontare, un giorno, del mio rapporto con Elena ed Ottavia Melis, personalità distinte eppure necessariamente associate, per la simbiosi spirituale e sentimentale che ne ha marcato l'esistenza, interamente spesa al servizio della missione pedagogica, in quella Nuoro deleddiana - la Nuoro anche dei Satta e di Ciusa - che mi è cara come pochi altri luoghi della Sardegna.

Ad esse, appunto nell'inscindibilità del sodalizio, dedicai nel 1995 un libro - Quel sardismo per l'Italia - che intendeva presentare il volto originario, e per me il solo autentico, della dottrina autonomistica quale la definirono, all'indomani della grande guerra e contro i crescenti assalti fascisti, uomini come Lussu e Bellieni, e anche come gli allora giovanissimi Anselmo Contu e Giovanni Battista Melis. E come ancora esso si presentava, nelle catacombe dell’opposizione al regime di dittatura, fuso con quello degli altri democratici di Giustizia e Libertà. E ancora si confermava dopo il 1943-44, nella battaglia per la democrazia e per la repubblica, con statuti di autonomia ai territori ma dentro sempre il quadro nazionale donatoci dal risorgimento e dalle sue eroiche avanguardie.

Vennero, Elena ed Ottavia, a CagIiari, per la presentazione di quel libro "schierato", e fu un viaggio da Nuoro non semplice per loro, uno degli ultimi compiuti nel capoluogo. Da loro avevo ricevuto ogni appoggio alle mie ricerche sulla figura umana e politica di Titino, ma anche di Pietro, dirigenti fra i più amati del sardismo rigeneratosi, nella fedeltà alle antiche impostazioni, nei duri anni della ricostruzione postbellica. Ricerche da cui erano esitati, fra gli altri, volumi come Sardismo e Azionismo negli anni del CLN, come Bastianina il sardoAzionismo, Saba, Berlinguer e Mastino, come Titino Melis, il PSd'A mazziniano, Fancello, Siglienti, i gielle, con i due supplementi Alla fabbrica della Repubblica e dell'Autonomia, e ancora come «Con cuore di sardo e d'Italiano...». Giovanni Battista Melis deputato alla I e IV legislatura repubblicana; come Ferruccio Pani sardista elettivo; come 1946, l'anno della Repubblica; come Storia del «Cavaliere senza macchia e senza paura». Appunti autobiografici di Giovanni Battista Melis.

Sono cento e passa le lettere andate e venute dal mio indirizzo al loro, dal loro al mio, e numerose le occasioni di incontro personale e telefonico, sempre all'insegna di un comune sentire e il senso della nostra vita e la civiltà della democrazia incrociata ai valori peculiari della nostra sardità. E comune sentire anche la dottrina politica del sardismo, pur nel diverso approccio scaturito dalle differenti esperienze.

Elena ed Ottavia: fra le molte persone incontrate nel tempo, esse mi sono rimaste nel novero delle più care per l'innocenza buona del cuore, la fedeltà dell'amicizia, il coraggio nell'affrontare i sacrifici più duri.

Le incontrai verso la metà degli anni '80, nella loro abitazione di via Manzoni, a pochi metri dalle Grazie nuove e da quelle antiche, perché intendevo allora iniziare la raccolta di quel vasto materiale documentario (soprattutto parlamentare) riguardante Titino, che mi avrebbe infine consentito di pubblicare tanto su di lui e di lui, il direttore del Partito Sardo, cui da repubblicano mi approssimavo (una volta superati gli schematismi, ingenui e adolescenziali, che s’erano imposti dal trauma della scissione del 1967-68, che mi vedeva schierato a favore dei frazionisti confluiti nel PRI, piuttosto che dei rimasti obbedienti ai Quattro Mori).



Le lettere scambiate lungo tre lustri con Elena principalmente, e poi con Ottavia - fino all'ultimo, con modalità "supplementari" che meriterebbero d'essere anche esse raccontate nella genesi e nello sviluppo imprevisto (personali confidenze sul fenomeno della tossicodipendenza in crescita anche in Barbagia, generose offerte materiali da parte loro e poi da Ida Fiori per i bisognosi, fino alla chiamata nominativa nel testamento per il soccorso di necessità diverse a mia discrezione!) - esigerebbero un inquadramento, ed una rappresentazione, per cui non sono ancora maturi i tempi.

Quelli che seguono sono quattro brevi messaggi che - al di là dei complimenti personali al destinatario (che non si potevano qui omettere senza mancare di dare testimonianza della signorilità e magnanimità delle scriventi) - hanno valore per le date: il primo perché documenta l'inizio, o quasi, della mia ricerca melisiana (invero anticipata da alcuni lavori pubblicati fra 1984 e 1985, in molte puntate e a tutta pagina, sulla Voce Repubblicana di Giovanni Spadolini e Stefano Folli), gli altri tre perché accompagnano, e prima e dopo, l'uscita del libro autobiografico di Titino che curai nel 1996.


«Rompere il silenzio su Titino»

                                                                                Nuoro, 12.12 / Natale 1986

Carissimo.

Rientrando à Nuoro dal continente dopo un'assenza di oltre un mese abbiamo trovato la tua graditissima lettera con l'articolo su Titino riportato dalla "Voce Repubblicana". Desideriamo ringraziarti molto del tuo interesse per questo nostro amatissimo fratello la cui vita è stata investita dall'amore per la Sardegna nella cui rinascita ha creduto contro ogni speranza profondendovi tutte le sue energie in intelligenza, sacrificio, spirito combattivo, salute.

Ti siamo grate per la determinazione di ricercare notizie e documenti che rompano un silenzio che non fa onore a nessuno, dando rilievo ad una generosa figura di combattente che all'ideale "Sardegna" ha interamente e totalmente dedicato la vita con una fede che non ammetteva tentennamenti e arresti.

Per quanto sarà possibile ci adopereremo a nostra volta e ti terremo informato.

Il vicino Natale ci dà occasione per formularti un'infinità di auguri da tradursi in salute serenità di spirito fervida attività.


«Non era in nessun modo disposto ad arrendersi»

                                                                                30. 10.996

Gianfranco carissimo,

ti sono grata non solo del contenuto della lettera che ho appena ricevuto, ma anche di avermi dato la scrollatina che mi ci voleva visto che nonostante il desiderio, direi, l'esigenza di farmi viva con te, non riuscivo a liberarmi non so più se da una deprecabile pigrizia o da una forma di ipocondria in tutto paragonabile a una pesante malattia che ti costringe a camminare lentamente e con gli occhi sempre bassi anziché darti ali per volare (pur avendo bisogno del bastone) e guardare al di là dell'orizzonte anziché contare i ciottoli e le buche delle strade.

Non posso paragonare i miei mali fisici a quelli macroscopici di altre persone; certo è che il senso di stanchezza che mi toglie spesso volontà, entusiasmo, serenità e fervore (elementi fondanti del mio carattere) mi riconducono a zero, e non avessi al fianco Ottavia che nella sua fragilità fisica ha una forza morale da smuovere le montagne, io sarei da qualche tempo del tutto "arrimada" come dicono a Nuoro.

Questo ti ho detto non per tentare di giustificare il mio silenzio, ma per farti persuaso che il ricordo di un caro amico quale tu sei, è più che mai vivo nel cuore e nella mente, solo che non ha la determinazione sufficiente per manifestarsi ponendo a me stessa tanti deprimenti interrogativi.

Lasciamo perdere questa fastidiosa quanto avvilente situazione in cui credo le condizioni del fegato possono avere il loro peso (o vado cercando un alibi?) per passare invece a te che devi avere avuto le tue da pelare e delle quali taci dimostrando più coraggio e forza della sottoscritta.

Ma io voglio però sapere: si tratta della salute o hai avuto altre noi, delusioni, dispiaceri con l'ospedale o per via di qualche medico?

Leggo solo saltuariamente "L'Unione Sarda" per cui non sono sufficientemente informata della cronaca di Cagliari ma nel complesso sono nauseata di quello che vediamo emergere di giorno in giorno - certe volte mi sembra che il marasma generale abbia una sua notevole influenza sul mio stato psicofisico. Pur dando il peso dovuto alla cronaca giornalistica che ora accentua, ora deforma, ora maliziosamente insinua una professionalità quanto mai degradata e portata più a provocare scandalo e morbose curiosità che a dare informazione autentica e doverosa, il quadro che abbiamo sotto gli occhi presenta ombre macroscopiche che contribuiscono ad attenuare speranze e a farti precipitare all’indietro dopo esserti illuso che si fosse aperta una strada, per quanto possibile, lineare e chiara.

Ma il discorso ci porterebbe molto lontano e io non presumo davvero di dire cose originali per cui non vale la pena di farti perdere tempo.

Torniamo quindi a noi: bellissime le parole dello scritto con cui hai dato un doppio titolo con quel "cattedra dell'esempio" e poi ancora con quella "lontana semina…" mentre devo rettificare che la moglie del detenuto non rimase in casa mesi ma, credo, una settimana, il tempo cioè che l'uomo fu trattenuto in carcere.  

Ero convinta che la cosiddetta autobiografia di Titino non rivestisse un interesse particolare proprio per il modo in cui la scriveva - non direttamente in quanto il braccio era rimasto menomato dall'ictus, ma dettando a chi capitava, persino alla donna di servizio, persona affezionata [...]. Aggiungi a questo il fatto che le condizioni generali non erano buone, che il senso di impotenza lo condizionava fortemente e lo innervosiva, anche se non era in nessun modo disposto ad arrendersi - l'autobiografia credo ne sia una riprova.

Se sei riuscito in qualche modo a raccogliere il tutto (non certo per inserirlo nel libro, cosa che sarebbe sbagliata e ingiusta) mi farebbe piacere averne copia perché mi aiuterebbe forse a capire in qualche modo un periodo per lui molto tormentato e difficile.

Intorno al mese di marzo aveva telefonato chiedendo a me e a Ottavia di andare a stare un poco con lui a Cagliari ma tanto l'una che l'altra avevamo il nostro impegno di lavoro e gli promettemmo che saremmo andate appena possibile. Lui però aveva bisogno proprio in quel momento. Morì nel luglio dello stesso anno e noi non ce lo siamo mai perdonato per cui decidemmo di presentare domanda di pensione perché fossimo libere di rispondere alle eventuali richieste affettive dei fratelli senza venir meno ai nostri doveri professionali.

Allego alla presente 8 fotografie di Titino (alcune delle quali già conosci) quelle che sono riuscita a trovare fra centinaia in cui a prevalere è l'elemento femminile della famiglia. Vedi tu se qualcuna di esse può andare. In una c'è anche mio padre, mamma e i primi 5 figli Titino è l'ultimo a destra, Pietro a fianco, Tonina in cuffietta, Pasquale ancora in fasce e, vicino a papà, Cicita. Risale al 1913. Del 29 è quella con Salvatore Satta, del quale era grande amico, nei giardinetti di Nuoro. Del 1956 è quella che ritrae tutti i fratelli riuniti per l'anniversario della morte di nostra madre.

Appena l'avrai stabilita, vorrei pregarti di comunicare subito la data della presentazione del libro a Mario in modo che possa essere libero. So che già per il 28 dicembre ha un impegno per un dibattito in cui si parlerà di Oggiano.

Ora finisco e ti chiedo scusa della lungaggine e della mia pessima grafia.

Ottavia si è commossa del tuo generoso apprezzamento e con me ti saluta caramente.


«Una figura che ha molto sofferto per tener fede agli ideali»

                                                                                Nuoro 2.12.996

Gianfranco carissimo,

ieri ho avuto la piacevole sorpresa di trovare nella posta la bella locandina dell'ultima tua fatica, dedicata al nostro amatissimo fratello Titino.

Ci è piaciuta molto sotto ogni profilo: il titolo bellissimo di per sé e tanto significativo, la fotografia così naturale e parlante, quella sorta di sintesi che lascia trasparire la linea su cui si sviluppa il contenuto che l'autore qua e là commenta da par suo, la veste tipografica.

Ancora una volta hai tutta la nostra gratitudine per il generoso sforzo, la fatica, l'impegno che metti in atto allo scopo di liberare dalla polvere dell'oblio e della indifferenza, figure che hanno ben meritato, che hanno profondamente creduto e molto sofferto per tener fede agli ideali; tutta la nostra ammirazione per la capacità, la volontà tenace, la fede altrettanto determinata con cui non ti stanchi di ricordare agli anziani, e di additare ai giovani personaggi positivi (che possono illuminare strade maestre) tuttora in grado di infondere coraggio e ancora dar vita a ideali che non mutano con l'inversione del vento ma costituiscono punti fermi capaci di restituire fiducia e speranza.

Cose tutte di cui abbiamo estremo bisogno più che mai oggi, mentre tenebre incombenti minacciano di inghiottirci.

Tanto io che Ottavia non potremo essere giovedì a Cagliari in occasione della presentazione del libro e come puoi capire ne siamo profondamente contrariate e addolorate.

Io mi sono presa una brutta influenza accompagnata da bronchite e da tosse che non dà tregua; Ottavia, come spesso accade, ne è stata investita per contagio anche se in forma più leggera. Purtroppo né l'una né l'altra possiamo fare imprudenze. Sarà invece presente Mario e i figli dei fratelli.

La locandina a Pasquale è stata mandata? in caso negativo vorrei pregarti di farlo perché ne avrà gioia.

Grazie ancora di tutto e speriamo, oltreché di sentirci, di vederci a Nuoro, se avrai occasione di venire o, più in là, a Cagliari: un carissimo abbraccio.

Con me ti saluta caramente e ti ringrazia senza fine.

P.S. Ottavia rimane ogni volta conquistata dalla squisita bontà che è nel tuo cuore; dice che sta lì la poesia che ti fa trovare così gentili parole per lei.


«Il seme riuscirà ancora forse a ingranire...»                                                                                


                                                                                Natale 1996 - Capodanno 1997

Gianfranco carissimo,

ho tentato di telefonarti più volte senza mai trovarti, ciò vuoi dire che sei sempre impegnato e quindi particolarmente impegnato e instancabile. Una virtù e una capacità straordinarie che ti invidio più che mai in questo momento.

Mario mi ha detto che vi siete trovati a Posada per ricordare Oggiano e con lui Mastino, e io sono felice di questa sorta di "resurrezione" di chi ha lottato e sacrificato per il bene comune. Molto bene - il seme riuscirà ancora forse a germogliare e a "ingranire".

A Cagliari mi ha detto lui, e i nipoti presenti che ci hanno telefonato, entusiasti tutti delle relazioni di altissimo livello, particolarmente colpiti dai due giovani cresciuti, credo, alla tua scuola. Una bella soddisfazione e insieme un grande merito. Bravissimo, a te per primo.

Si potranno avere dette relazioni, compresa quella di Lilliu, particolarmente felice nel ricordare i nostri due carissimi Titino e Pietro?

Sto leggendo il libro che mi sta interessando molto e mi pare particolarmente interessante per la ricostruzione di certi periodi - nonostante qualche ripetizione e qua e là imperfezione di lingua. Che devo dirti? Che Dio benedica te e il tuo lavoro nei vari campi in cui operi.

Ti abbraccio con Ottavia augurando ogni bene a te e ai tuoi cari, ai tuoi ragazzi.

Scusa il come e la sostanza di quel che ho scritto.




1992, una lettera dopo la lettura di quel «Titino, Apostolo e Cireneo»

Il 15 dicembre 1992 avevamo presentato, come Associazione "Cesare Pintus", il volume Titino Melis, il PSd'A mazziniano / Fancello, Siglienti, i gielle. Oltre a una lunga biografia politica del direttore sardista, l'indice presentava - fra il molto altro - un'ampia rassegna dei suoi articoli di stampa dall'immediato secondo dopoguerra a buona parte degli anni '50 ed alcune anticipazioni delle note autobiografiche che sarebbero state riunite nel successivo volume Storia del «Cavaliere senza macchia e senza paura». E, ancora, uno scritto di Elena sull'episodio dell'arresto del fratello nell'aprile del 1928 e la simulazione di una bella intervista con il presidente (al tempo ancora europarlamentare), nonché una sezione tutta dedicata alla figura del terzogenito della famiglia di Giuseppe Melis e Michelina Corrias: Pietro cioè, l'umanista e riformatore, il finissimo intellettuale del miglior sardismo degli anni a cavallo fra due decenni pieni, dalla ripresa democratica alla crisi del rapporto storico con i repubblicani del 1968-69 (data che segnò il suo ritiro dalla politica attiva).

Era appunto sull'onda anche emotiva di quella lettura che Elena volle darsi, ancora una volta, nel privato, con fraternità, al suo giovane corrispondente. Ecco la più significativa lettera di quel periodo (dove ancora si miscelano fra loro argomenti politici e confidenze personali).


«Umanità e retta coscienza, incrollabile fede e sete di giustizia»

                                                                                Nuoro 3 gennaio 1993 / 20 gennaio 1993

Gianfranco carissimo,

la neve caduta durante la notte offre al mio sguardo un paesaggio incantato che sembra aver cancellato con un colpo di bacchetta magica il cattivo gusto e la rozzezza di quanti - amministratori e professionisti - si sono avvicendati nel corso degli anni a far diventare anonima e brutta una cittadina che poteva essere bellissima in senso edilizio, visto che in gran parte è stata costruita dopo la guerra, e, in senso urbanistico se si fosse appena tenuto conto degli squarci panoramici che si aprono a 360°, chiusi invece brutalmente più che da interessi di natura economica (almeno credo) proprio da una mancanza di cultura intellettuale che assomma ignoranza specifica, inesperienza e presunzione. Sed de hoc satis.

Ho letto con una certa fatica, per via degli occhi, ma con vivissimo interesse e grande emozione tutta la parte che punta le sue luci su Titino e su Pietro e, sempre di più, ti sono grata dell'attenzione che da giovane studioso al di sopra delle parti, hai loro rivolto nel ricco, articolato panorama di personaggi che popolano i tuoi quattro volumi, importanti anche per il periodo trattato, particolarmente intenso e stimolante della storia isolana, cui ci si dovrà d'ora in poi riferire anche come opera documentaria.

Ti sono grata, dicevo, per aver tratto dall'ombra in un momento di grande disorientamento, in cui sembra a molti di non riuscire più a trovare un punto di riferimento, due personaggi esemplari che meritano dl essere conosciuti insieme agli altri presentati in questo e nei volumi precedenti, non solo per umanità e retta coscienza (ché molte persone comuni meriterebbero altrettanto) ma per l'incrollabile fede civile e politica che ad esse hanno unito, per l'amore viscerale e concreto che li legava alla nostra Isola, per la sete di giustizia e di riscatto che in qualche circostanza avrebbe potuto fare di Titino un "barricadero", per la coerenza di vita che non li ha mai fatti uscire dal "solco", non chiusi certo, ma aperti al mondo, per il rigore con cui sentivano il loro ruolo, per il rispetto verso le istituzioni che costringevano Titino morente a chiedere a Pasquale, con parole stentate e disarticolate, di essere giustificato per non poter partecipare alla seduta del Consiglio Regionale che doveva tenersi proprio il giorno in cui lui morì.

Purtroppo tante delle cose da loro studiate, che avrebbero potuto far bruciare molte tappe e far ricadere sull'isola benefici notevoli mettendola magari all'avanguardia, a causa di crisi regionali che toglievano all'Assessore Sardista responsabilità di governo, passandola in altre mani forse meno preparate, con angusti orizzonti, diventavano aborti senza prospettive, vanificati e affossati. Mi tornano alla mente "la riforma degli Enti Locali" e le prospettive di sviluppo per l'industria. La prima avrebbe fornito ai Comuni e alle Province, da oltre vent'anni, autonomia decisionale nei settori propri degli enti locali, consentendo una adeguata snellezza delle procedure con rapide realizzazioni e relativa assunzione di responsabilità di uffici e persone ben determinati; la seconda, visto che dall'alto erano state destinate alla Sardegna le "Cattedrali nel deserto", doveva creare attorno alle predette fabbriche delle piccole industrie derivate che avrebbero costituito un tessuto economico di grande rilievo per il territorio.

L'assessore che succedette a Pietro, nel primo e nel secondo caso, ignorò totalmente quanto era stato studiato e previsto vanificando progetti, speranze e realizzazioni.

Questi sono alcuni dei fatti più eclatanti che in questo momento mi vengono in mente, ma mi pare che la storia si ripeta: fra gli studi e i progetti già approvati dalla Giunta di sinistra richiamo l’"agenzia per il lavoro" ben lontana dalla sua attuazione nonostante i molti miliardi ancora non spesi e la drammaticità della situazione; i "piani paesistici" che non decollano, i piani molto concreti per l'energia e le acque che si cerca in tutti i modi di fermare, di alterare, magari di compromettere, per poi piangere sul latte versato.

Ma basta anche di questo argomento. Torniamo invece al tuo ultimo libro.

Mi hanno particolarmente colpito (come del resto nei precedenti volumi) le introduzioni ai vari capitoli in cui parli in prima persona, che subito coinvolgono il lettore per la levatura del discorso, la capacità di comunicazione agile e piacevole, la purezza della lingua, il pensiero denso di concetti, la toccante fede risorgimentale e mazziniana che traspare con limpidezza in tutti e quattro i volumi e risponde ad una retta coscienza che non conosce ambiguità, angusti interessi di parte, che ti sono del tutto estranei.

Nel tuo biglietto augurale mi è parso ci fosse una sottolineatura insieme sdegnata e amara in questo senso; per quanto non abbia idea a che cosa possa riferiti, e nemmeno se ci sia un effettivo riferimento a qualcosa che ignoro, me ne dolgo come di cosa ingiusta.

Come non è giusto sparare nel mucchio sul Partito Sardo di oggi, in cui - come purtroppo è avvenuto quasi per una sorta di malefizio in tutti i partiti, grandi e piccoli - si è diffusa in certi strati la malapianta delle gelosie, di mediocri ambizioni, degli interessi personali, degli estremismi, facendo perdere di vista le ragioni per cui il Partito Sardo è sorto, gli ideali di cui si è nutrito, la realtà drammatica che con le sue specifiche peculiarità lo rende come Partito quanto mai attuale e insostituibile. C'è di fatto ancora un Partito Sardo che ha conservato integri i principi e le ragioni per cui è sorto e per i quali oggi quanto ieri, e forse oggi anche di più, per le situazioni drammatiche che quotidianamente viviamo, questa Voce, questa forza caratterizzata fortemente in senso federalista ha la sua ragione di essere, e sulla quale tutti i partiti in Sardegna superando ideologie e limiti, dovrebbero convergere assumendo posizioni ben chiare e intransigenti sui fatti, non solo più a parole.

Nel Partito Sardo la parte più matura, più culturalmente preparata, più realista parla non di separatismo (fuori dal tempo) ma di Stato federalista (Stati Uniti d'America, Federazione Svizzera...) costituito appunto dalle varie regioni che debbono poter esercitare, nei rispettivi territori, poteri statuali su determinate materie con sicuro beneficio delle singole Regioni, senza che ciò attenti in alcun modo alla unità dello Stato e della Patria italiana.

Quando mai lo Stato italiano ha tenuto conto delle nostre peculiarità e, per dirne una macroscopica, del fatto che la Sardegna è un'isola, con tutto ciò che questo fatto comporta per i suoi abitanti sul piano economico, culturale, sociale e politico? È lo Stato che troppo spesso discrimina e separa.

Quando si parla di indipendentismo altro non si intende che federalismo; nel federalismo infatti è implicita la rottura della subordinazione, della soggezione nei confronti del governo centrale che deve rimanere forza di coordinamento e sintesi dei poteri federati, riservando a sé alcune competenze funzionalmente unitarie quali la difesa, la moneta oltre che la rappresentanza internazionale; si mantengono così saldi i legami fra le varie regioni che vanno a costituire, tutte insieme, uno Stato unitario variamente articolato, presente in concreto nelle diverse realtà e specificità, uno Stato veramente democratico, dei cittadini, dei popoli, non una sovrastruttura ingessata, impersonale, tarda, lontana, per non dire assente, e ormai anacronistica.

Non si tratta quindi di "separazione", di "attentato" all'unità dello Stato, ma di indipendenza dalla dipendenza allo scopo di realizzare uno Stato giusto e all'altezza dei tempi in cui la maturazione della coscienza della propria identità di popolo, anche a livello di massa, è tale da non tollerare più forme di soggezione, di colonialismi più o meno scoperti, così come sul piano economico e delle comunicazioni, ci si muove oggi con l'astronave non più col carro a buoi.

Sono certa che oggi Mazzini e tutta la tradizione risorgimentale azionista sarebbe perfettamente allineata su queste posizioni verso le quali si muove l'intera Europa.

Ho scritto, ho scritto e ora ho difficoltà a rileggere: cercherò di far battere questo sproloquio a macchina da un volenteroso per risparmiare a te tempo e fatica.

Non so se Mario ti abbia scritto, come pure si proponeva, perché non ha avuto neppure in questo periodo tempo per sé.

Mi piacerebbe che un giorno o l'altro poteste fare insieme una lunga, distesa conversazione su questi temi - con reciproca soddisfazione - ne sono certa.

Ho iniziato la lettera il giorno prima del ricovero in ospedale di Ottavia, colpita da erpes zoster, la termino, fra interruzioni e riprese, a distanza di oltre 15 giorni, dopo le sue dimissioni.

Ringraziando Dio il male è stato affrontato tempestivamente e, mediante una terapia intensiva, è stato evitato il dolore forte e i notevoli fastidi che il "fuoco di S. Antonio" è solito infliggere a chi ne viene aggredito.

Ottavia, pur così fragile fisicamente, come sempre davanti alle prove, si è dimostrata all'altezza della situazione: coraggiosa, determinata e tutta tesa a rassicurare gli altri.

Speriamo che questa pagina possa considerarsi definitivamente chiusa con, all'attivo, un ulteriore accrescimento di umanità attraverso la propria e l'altrui sofferenza.

Anche a nome di Ottavia ti abbraccio caramente.

P.S. Leggendo unitariamente il dattiloscritto mi accorgo di aver tralasciato alcune cose che volevo dire. Data l'ampiezza della comunicazione considerati pertanto... miracolato! Ciao.



«Con cuore di sardo e d’italiano...». La testimonianza di un patriota, anzi di un "pater patriae"

Ma c'è, di questo sodalizio soprattutto epistolare che mi ha unito ad Elena ed Ottavia, un capitolo che ritengo ancor più significativo per la pregnanza delle sollecitazioni, o del ritmato rimbalzo di critiche e consigli, sempre dentro una cornice salda di confidenza e mutua fiducia. Si tratta delle fasi preparatorie del libro che considero come il più rilevante della biografia melisiana. Più ancora degli appunti di vita dettati negli ultimi anni. Mi riferisco al libro che ha riunito tutti i discorsi parlamentari tenuti dal direttore sardista nel corso della prima e della quarta legislatura repubblicana (integrati anche da ordini del giorno od interpellanze ed interrogazioni), nonché di una non trascurabile selezione degli interventi svolti in Consiglio regionale (cui partecipò dal 1969 al 1976 ed in Consiglio comunale a Cagliari (dal 1956).

A quella data le ricerche sulla figura e l'opera di Titino Melis hanno già prodotto diversi lavori, in cui il profilo politico del direttore sardista si è variamente incrociato con quello di altri protagonisti della scena antifascista, repubblicana ed autonomistica della Sardegna del Novecento: da Cesare Pintus a Francesco Fancello, da Ines Berlinguer a Stefano Siglienti, da Michele Saba a Gonario Pinna, da Mario Berlinguer a Pietro Mastino, da Luigi Battista Puggioni ad Antonino Lussu, da Armando Businco a Peppino Fantoni, a Salvatore Cottoni, a quanti altri del fronte giellista, azionista, sardista hanno calcato il teatro della politica isolana lungo i decenni dell'avversione alla dittatura e della edificazione del nuovo impianto istituzionale regionale.

Dopo Ugo La Malfa e la Sardegna (dove le pagine che hanno riguardato direttamente Melis sono fra le più importanti indicatrici del raccordo sardismo/politica nazionale) sono usciti i quattro volumi della serie Documenti e Testimonianze dedicati alla "Sardegna di minoranza", vorrei dire con riferimento all'intuizione spadoliniana dell' "Italia dì minoranza", che è l'Italia laica e "della ragione" -, insomma alla cultura ed esperienza politica del sardoAzionismo e del sardismo. E intanto, ecco già in elaborazione la raccolta documentaria destinata a QueI sardismo per l'Italia e, in sequenza, a 1946, l'anno della Repubblica.

L'idea, via via meglio definitasi in progetto, di un volume incentrato sull'attività parlamentare di Titino Melis è stata all'origine di tutto il percorso compiuto dal ricercatore per restituire alla Sardegna la più completa dimensione del suo esponente politico forse più singolare, anche per la sua provenienza ideologica e di schieramento regionale, di lunghi decenni. Tutto ruotava intorno alla tesi, che era nella conoscenza o consapevolezza dello studioso, che Melis - sia pure diversamente da Lussu, e certamente senza i dottrinarismi di Lussu - rappresentasse quella visione "relazionale" del sardismo, dentro il quadro nazionale italiano, che la nuova dirigenza del PSd'A già dalla fine degli anni '70 considerava superata. La propensione era adesso, infatti, per la sottolineatura etnicista del fenomeno sardista. L’appello costante, altamente patriottico, di Melis perché l'Italia politica considerasse i bisogni ed i diritti della Sardegna alla stregua dei bisogni e dei diritti delle altre regioni veniva ritenuto, dai nuovi sardisti, quasi surreale, perfino senza senso. L'Italia politica e la stessa Italia come concetto di nazione venivano viste in termini di alterità rispetto all'Isola orgogliosa della sua identità storico-linguistica: all'Isola che sembrava dovesse e volesse rivendicare il rango quanto meno di una substatualità. La rimozione di Titino Melis dal patrimonio vivente del sardismo nazionalitario ed indipendentista s'era fatta - negli anni '80 e '90 - totale. Ed ingiusta, e anzi abusiva. E mai apertamente confessata. Compiuta ma non giustificata.

Il ricercatore di carte e memorie, proprio andando alle origini del fenomeno ideale e politico rappresentato dal Partito Sardo d'Azione ed attraversando, anno dopo anno, le sue esperienze nell'antifascismo militante e poi forzatamente clandestino (attraverso la rete di Giustizia e Libertà), e quindi nella ricostruzione democratica dell'Italia (alla Costituente nel gruppo parlamentare azionista chiamato "autonomista"), fino all'impostazione dell'ordinamento regionale (nella solidarietà con i repubblicani datata già dagli anni '20 e, con varie accentuazioni, protrattasi per decenni), intendeva dimostrare, e dimostrava, il cambio di indirizzo teorico e pratico, culturale prima che politico, ma poi anche politico - espresso nella molteplicità delle proposte legislative e nella sollecitazione di un diverso rapporto della Regione "ad autonomia speciale" con governo e Parlamento - del sardismo, nonché la vacuità dell'autodifesa di un gruppo dirigente che, interrogato sulla "coerenza" ideologica, parlava di naturale "sviluppo" delle antiche premesse.

Ecco perciò la necessità di una raccolta, con adeguata presentazione critica (a più voci) dei testi parlamentari, e non solo parlamentari, di Titino Melis. Venne così il corposo volume «Con cuore di sardo e di italiano...». Giovanni Battista Melis deputato alla I e IV legislatura repubblicana, uscito nel dicembre 1993.



Da Elena altre lettere. Le bandiere al vento di un popolo

La partecipazione delle sorelle Melis, di Elena soprattutto, fu piena (e... utilmente dialettica) fin da principio.

In una lettera datata 7 aprile 1993 («S. Pasqua 1993»), dopo aver apprezzato una certa mia idea di dar vita ad una sorta di centro di raccolta dei materiali di studio sul sardoAzionismo ed il Pd'A, insomma una «fondazione su questo particolare aspetto della politica sarda sardista dalla I guerra mondiale, in e sui relativi personaggi, organizzata per sezioni», ed aver ancora una volta insistito per un lavoro biografico sui martiri sardi della resistenza (cui Elena, amica personale e biografa di Piero Borrotzu, era particolarmente sensibile), confidava: «La proposta di scrivere qualcosa su nostro padre, nel prossimo libro su Titino, mi piace e mi commuove per cui ti ringrazio molto dell'idea, anche se ora non sono in condizioni di scrivere» (stava infatti per subire un secondo intervento oculistico presso l'ospedale di Ozieri).

Quella di un medaglione dedicato al padre era stata un'idea cui successivamente si era dovuto rinunciare, ritenendosi conveniente anche per attinenza tematica - spostare un tale intervento nel quadro della futura pubblicazione autobiografica del direttore sardista. Meglio puntare, in questo, all'approfondimento di una materia fra le numerose affrontate dal parlamentare nel decennio complessivo della sua presenza a Montecitorio. E quale materia meglio della scuola poteva essere trattata da una ex preside di scuola media?

Doveva entrare nel libro anche un capitolo dedicato a Pietro Melis, il consigliere più prezioso di Titino. Ma ragioni tipografiche avrebbero consigliato, anche per questo aspetto, uno spostamento in altra opera. 

Nelle settimane e nei mesi successivi di quel cruciale 1993, Io scambio di opinioni si appuntò sul titolo cui pensavo per il libro e sulla parte grafica della copertina: alla "rispettosa" sovrapposizione dello stemma ufficiale della Regione Autonoma sulla bandiera nazionale, che confermava la sua presenza, Elena giustamente opponeva la più efficace sostituzione, che avrebbe trovato infine la mia piena e convinta adesione, delle bandiere sardiste al vento, in dialogo con il tricolore nazionale.

Ecco, nella sequenza temporale, alcuni passaggi della nostra corrispondenza, sempre franca e mai convenzionale.

Il 20 giugno: «Per quanto mi riguarda cercherò di svolgere l'argomento che mi hai suggerito, che mi piace moltissimo, ma che non so se riuscirò ad affrontare al livello dovuto.

«A suo tempo sottoporrò lo scritto prima di tutto al tuo giudizio "privato" e tu, con sincerità e verità, come si conviene fra amici fraterni, mi promoverai a giugno (se lo merito); mi rimanderai a settembre o mi fermerai senza falsi pietismi».

E ancora: «Il titolo nel quale riporti un'affermazione fatta da Titino in Parlamento è sicuramente bello e lo sarebbe ancora di più se potesse esprimere pienamente quello che Titino intendeva rivolgendosi al Parlamento italiano quando chiedeva attenzione e giustizia per la Sardegna se siamo italiani, e lo abbiamo dimostrato col sangue versato e la fedeltà portata allo stremo, trattateci come figli e fratelli, non discriminateci umiliando la nostra dignità e calpestando i nostri sacrosanti diritti. Come dire: siamo italiani ma voi sappiate essere sardi, siciliani, calabresi... tenendo conto della specificità delle singole regioni. Non più quindi Nord-Sud (antecipando la peggiore "Lega") ma unificando di fatto l'Italia, alla luce del diritto e della giustizia, sulla base dei bisogni e delle realtà ambientali e umane di ogni regione».

Il 18 agosto: «... Titino da anni viveva a Cagliari. Veniva a Nuoro solo di tempo in tempo, e noi rimanevamo affascinati a sentirlo parlare fino a tarda notte - ora angosciati con lui, ora trasportati dalle sue speranze e dal suo entusiasmo, con lo sguardo e col cuore sempre rivolti alla Sardegna e al Partito...».

Il 13 settembre: «... Ricordando quanto mi avevi detto per la copertina, ho pensato di inviarti alcune foto, che mi sono ritrovata, da cui potresti forse ricavare qualche idea, compreso lo sventolio di quelle bandiere…».

L'8 ottobre: «Devo dirti sinceramente che la copertina, così come l'hai pensata ora, non mi piace, non piace a Ottavia, ma credo non piacerebbe neppure a Titino.

«Titino era sardo, era italiano, ma era prima di tutto sardista, nato cioè per combattere le gravi ingiustizie dei governi italiani nei confronti del Mezzogiorno e della Sardegna in particolare.

«Il titolo (estrapolato da un contesto appare persino patetico) così come i due emblemi (Italia-Sardegna) mentre sottolineano un aspetto, ignorano la specificità del personaggio che è quella di sardista, di combattente per la causa sarda (in virtù della quale è deputato al Parlamento) sempre presente nei suoi discorsi.

«Stando così le cose, come farei io per dire tutto con chiarezza e con aderenza alla verità?

«Aggiungerei a quanto già da te previsto, sistemando tutto nel modo migliore, un folto sventolio delle bandiere del Partito Sardo traendolo, per esempio, da una fotografia che ti avevo inviato proprio con questo particolare intendimento. 

«Si tratta di un congresso e credo non sia difficile isolarle dal contesto. Penso che ci guadagnerebbe non solo la simbologia del discorso, che mi pare necessaria, ma anche l'estetica complessiva della copertina. Che ne dici?».

Il 13 ottobre: «Non ci possono essere ambiguità fra noi. Sono stata nella scuola per 40 anni e credo di avere dato il mio apporto a che l'istituto avesse un indirizzo a 360° in cui la patria italiana era ben presente [...]. Ciò non tolse tuttavia che la nostra scuola introducesse per prima la storia della Sardegna elaborata dal prof. A. Caocci - un liberale - ciclostilata perché non c'erano manuali. E su questo tu sicuramente concordi...».

E più oltre: «... il suggerimento dell'aggiunta delle bandiere del Partito Sardo mi sembra giusto, altrimenti potrebbe trattarsi di cento altre persone, elette in Sardegna, ma che del riscatto della Sardegna e dell'intero Mezzogiorno non hanno fatto la ragione stessa della propria vita. E ciò non vuol dire essere meno italiani, anzi più italiani, perché veramente fratelli nella giustizia, nella dignità, nel rispetto reciproco».

A dicembre poi, finalmente, era venuta la presentazione dell’opera, convenuto un foltissimo pubblico (come nelle occasioni precedenti o successive, d'altronde). Ecco come, il 2 gennaio 1994, Elena partecipava il suo stato d'animo comunicando anche riflessioni mai ripetitive (e nell'idem sentire Ottavia delegava alla sorella maggiore la espressione del dettato anche del suo intimo):

«Mi decido stamane a scriverti sia pure brevemente per ringraziarti ancora di quella indimenticabile serata del 20 dicembre nella quale, per tuo esclusivo merito, nostro fratello Titino è emerso dall'ombra per tornare in mezzo alla gente che amava e da cui era stato intensamente amato perché lo sentiva amico e vicino specie nel dolore e nella prova. Questo parlando dell'uomo, che tale rimaneva sempre anche nella vita politica, senza calcolo personale ma tenendo unicamente presente quello che riteneva essere il vero interesse dell'Isola per cui mi è sembrato non solo superficiale ma anche molto stonato quel "forse anche lui era un feudatario e doveva curare il suo feudo".

«Per come ha vissuto gli ideali del PSd'Az. sono certa che sarebbe andato anche contro un fratello se avesse pensato che questi potesse in qualche modo nuocere alla causa sardista, come pubblicamente in un comizio a Nuoro (con nostro dispiacere) denunciò il fraterno amico nonché compare Salv. Mannironi, perché mentre si combatteva la battaglia contro il monopolio elettrico, l'amico di tanti anni di antifascismo era entrato a far parte del Cons. di Amministrazione della Società che strangolava lo sviluppo nell'isola. Così come non risparmiò energie e salute fino all'ultimo, non risparmiava le sue finanze anche quando queste erano molto modeste.

«I rovesci e le sconfitte del Partito Sardo, anche quando lo toccavano personalmente, non lo angosciavano come fatto privato ma come calamità che contribuiva ad aggravare la già drammatica situazione della Sardegna: era una luce che traballa e accresce le ombre, come una speranza da sempre nutrita, e già intravista, che il vento disperde. Noi tutti in famiglia abbiamo vissuto e molto sofferto per tutto questo; tale era la fiamma che lo bruciava e tanto forte il suo credo politico da farsene la prima ragione di vita.

«Con questo non voglio dire che non ci siano stati errori di valutazione, che tuttavia vanno inquadrati nel tempo e con piena coscienza delle situazione storica del momento, se intendiamo fare una critica obiettiva e realistica (vedi industrializzazione, partecipazioni statali.., a cui mi pare Mario abbia in parte dato risposta nell'intervista riportata) quello che posso dire con certezza è che non ci furono mai in lui calcoli di feudo da curare ma un amore sconfinato per la sua terra e una fiducia adamantina negli ideali che il Partito Sardo propugnava attraverso i quali credeva fermamente che la Sardegna avrebbe conquistato i diritti misconosciuti e, con essi, crescita culturale, sviluppo, progresso economico e civile, rotti per sempre i degradanti e soffocanti lacci della subordinazione.

«Il libro è bellissimo, compresa la veste tipografica con quelle bandiere che fremono al vento e sarebbero piaciute molto a Titino perché completano e sottolineano il titolo offrendo una felice piacevole sintesi del contenuto.

«Ho subito letto l'introduzione, ottima come sempre, col tuo credo e le tue tesi squisitamente mazziniane, la grande capacità e la sensibilità con cui hai saputo interpretare il pensiero politico e l'attività parlamentare di Titino.

«Ho letto anche i vari contributi alcuni dei quali mi sono piaciuti... molto, altri meno per certi apprezzamenti appunto che mi sono sembrati poco obiettivi (a prescindere dalla formazione ideologica) forse perché le componenti da tenere presenti per un giudizio equo erano tante e difficili da cogliere e da raccogliere per chi non le ha vissute dal di dentro nel clima in cui si svolgevano (con distacco certo, ma anche senza il paraocchi ideologico) ciò anche per il fuoco concentrico rivolto da tutte le fonti politiche (spesso del tutto digiune del problema sardo) Chiesa compresa, contro un piccolo partito, regionale, privo di organizzazione, di supporti e di mezzi (che non fossero quelli dei militanti) ma non per questo meno combattivo e, per ciò stesso, da ridurre con qualunque mezzo al silenzio possibilmente.

«O forse ritieni che sia troppo sorella per essere giudice imparziale? Nella sostanza crederei di no perché l'ho visto operare, soffrire, sperare giorno dopo giorno con assoluta coerenza ai principi».

E questa era la chiusa: «Col nostro abbraccio ancora un grazie, toto corde, e con i più sinceri complimenti per ciò che fai da me, Elena, da Ottavia ma anche da tutti i fratelli e, in primo luogo, da Titino».




Storia del «Cavaliere senza macchia e senza paura». Un combattente per il diritto e la giustizia, sempre

Iniziava pressoché immediatamente un'altra avventura di ricerca e di editing. Quella che, appunto, riguardava le note autobiografiche dettate da Titino Melis negli ultimi anni della sua vita, e cui era sembrato giusto dare il titolo che Emilio Lussu aveva attribuito, come investitura morale prima ancora che politica, al suo delfino di un tempo lontano.

Così, ancora Elena, il 31 gennaio dello stesso 1994: «Attendo con un misto di emozione ma anche di interessata impazienza le "memorie" di cui mi parli, che penso Titino abbia buttato giù (nel modo in cui altre volte t'ho detto) negli ultimissimi anni, quando già la salute lo condizionava fortemente sotto il profilo psicologico in una continua tensione nervosa che lo rendeva scontento di sé e degli altri. Credo che leggendole avrei potuto dare qualche contributo all'assestamento del lesto non solo per quanto riguarda la correttezza formale della comunicazione ma anche e soprattutto penetrando il suo io interiore, che conoscevo In ogni sfumatura per capire quanto era obiettivamente valido e aderente al suo modo di essere e di pensare di tutta una vita e quanto poteva e sere stato scritto sotto una spinta emotiva, magari risentita, di scontento diffuso.

«Mi interesserebbe leggere sia il testo originale per capire se teneva un diario o se le memorie furono scritte proprio negli ultimi anni e con esso il testo da voi ricostruito nel filo di una tela strappata, sbiadita, sfilacciata (almeno per quello che tu mi hai detto)».

E pochi mesi dopo, il 12 giugno per la precisione, prendendo spunto da una mia confidenza, a sua volta confidava: «Comprendo le tue amarezze [...]. Conosco, di riflesso, amarezze diverse eppure simili, vissute in famiglia nell'arco degli ultimi 50 anni tanto da aver desiderato più volte (sbagliando perché troppo comodo) di essere nessuno "senza infamia e senza lode" per non veder soffrire i fratelli che hanno sicuramente avuto riconoscimento e apprezzamento soprattutto dalla gente comune, in Sardegna, e a qualunque livello fuori, ma sono stati spesso oggetto di malanimo e di gelosie senza senso all'interno delle gerarchie del Partito forse per il naturale carisma che dava ombra a chi non era capace di emanare luce. Questo è stato in qualche particolare momento per Tirino, che ha però sofferto soprattutto perché non riusciva quasi a capacitarsi che i sardi non capissero che il loro riscatto non poteva venire da fuori come un prezioso omaggio, ma doveva essere frutto della maturazione e della volontà del popolo sardo diventato protagonista della sua rinascita».




Le lettere di un'anima spendida: è Ottavia per Elena, e Pasquale, e gli altri...

Non ha data di calendario, o meglio: ne ha una di periodo, una lettera lunga dodici fittissime, pulitissime pagine di Ottavia giuntami nell'autunno del 2000, che reca in alto, nel primo foglio, questa aggiunta:

«Data iniziale: fine Gennaio 2000. Nuoro. Conclusa, causalmente, il giorno di Sant'Elena - 18 agosto - imbucata a Nuoro al rientro dall'Ortobene oltre metà settembre. Inutile motivare: ne verrebbe fuori un libro! Vorrei essere capita oltre ogni apparenza! Un grazie di profonda riconoscenza».

È, fra il molto altro, la cronaca intima, delicatissima, delle ultime settimane di vita di Elena. Inizia così:

«Caro Gianfranco, ti voglio tanto tanto bene, mi sei intensamente caro e ti abbraccio con nel cuore tutto il peso del mio cocente dolore teso a Dio nell'offerta della accettazione sotto la quale sta sbriciolata la mia estrema fragilità.

«Grazie del bene che hai voluto a Elena che te ne voleva profondamente…».

Perviene abbondantemente dopo l'uscita di scena di Elena, evento che avevo inconsolabilmente pianto con un messaggio scritto, di notte, nella mia postazione di sentinella ai letti dei miei, che pure s'apprestavano, nella sofferenza, al congedo, una dopo l'altro. Spiega e ancora elabora, la lunga lettera di Ottavia, i tormenti che hanno accompagnato i familiari e lei, nel buio tratto d'anno - l'inverno 1999-2000 - per la ravvicinata scomparsa della sorella e, poche settimane prima, di Pasquale. Richiama una prima mia lettera di vicinanza, di accorata partecipazione al lutto di casa, nell'occasione della morte di Pasquale, che si era stati in dubbio se mostrare ad Elena, cui era indirizzata, e poi si allarga a scenari di vita domestica che - infrangendo l'area segreta della nostra reciproca confidenza - qui si vogliono soltanto accennare, a doverosa testimonianza della straordinaria qualità affettiva che legava fra loro gli otto fratelli Melis, ancor di più forse i più giovani, i superstiti di una grande famiglia...

(Gliene avevo dato - ad Elena ed Ottavia - privato riconoscimento, onorando la memoria ancora viva di Pasquale: «Voi Melis resterete tutti, come famiglia e come singole persone, nella storia civile della Sardegna di questo secolo tribolato. Ora l'età è avanzata per tutti. È stagione di consuntivi, e credo che il cuore sia placato perché quanto, tutti quanti, avete realizzato nella docenza e nella formazione dei ragazzi, nella politica al servizio dell'interesse generale, nelle professioni, nella pratica sociale e religiosa, dopo che nell'intimità della famiglia, fra difficoltà che non sono mancate, ha avuto il pregio, la qualità del tratto morale che in ciascuno di voi ha inspirato l'educazione ricevuta dai vostri e da un ambiente virtuoso. L'esempio lo avete dato, alcuni di voi lo state ancora dando, senza proclami, nell'adempimento costante del dovere. In molti ne siamo toccati, io ne sono certamente toccato. Grazie dunque a voi Melis. La vostra carità - parola che intendo nel significato alto, teologico - valga come suffragio alla vita spirituale ed eterna di Pasquale»).

«... alla tua lettera - la prima - cui vado adesso rispondendo, indirizzata a Elena e Ottavia per Pasquale, lettera commossamente cara e significativamente bella in relazione alla quale vorrei consentirmi qualche considerazione, se non proprio digressione, non del tutto ingiustificata, credo, […].

«"Non ho niente da offrire" - dici. Nella tua sincera umiltà, davvero conquidente, polverizzi tuttavia con la parola "niente" un dono di così inestimabile valore che non avresti potuto, né tu né altri, farne uno più prezioso, sia per quanto riguarda l'affettuosa solidarietà espressa ad "Elena, ad Ottavia e a Mario Melis" e sia, in particolare, per quanto riguarda Elena, in relazione alla quale l'invocazione "a Dio pietoso" può essere solo comparabile a un grazie di insondabile valore.

«A parte questo, che però è sostanziale, non ti sembra singolare coincidenza, o meglio, provvidenziale condiscendenza, voluta dalla divina magnanimità, che fossi tu Gianfranco, caro a Dio, a suggellare la vita di una persona a te cara e alla quale tu eri caro, col viatico di una visione quale quella rasserenante e rassicurante del faccia a faccia che l'ha predisposta - è facile pensarlo - nel modo migliore a un confidente filiale abbandono in Dio, padre pietoso, nel supremo momento della sua terrena esistenza?

«A una decina di giorni, più o meno -, dalla scomparsa eravamo a conoscenza, come già ricordato, della tua lettera solo io e Mario al quale l'avevo passata perché ne prendesse visione, sicura - per l'altro - che avrebbe fatto bene anche a lui: infatti ne era rimasto colpito e ammirato, come del resto per le tue a lui dirette».

Riferisce, più oltre, del dubbio se mostrare o no le mie righe ad Elena, cui i medici avevano sconsigliato di comunicare la notizia della scomparsa del fratello amatissimo, temendone come un collasso emotivo. Aggiunge Ottavia:

«Pur comprendendone le ragioni e condividendone pienamente la precauzione, io non intendevo attenermici alla lettera e andavo studiando, fra me e me, il modo migliore per conciliare i due opposti, sospinta dalla esigenza di informare, della tua lettera, Elena, sapendo bene quale posto occupasse nel suo cuore la tua amicizia. Conoscendola capivo anche che le avrebbe fatto bene, durante il periodo di dura prova, ricevere, pur senza doversi sentire impegnata a rispondere, in quanto diventava per lei difficoltoso dedicarvisi, come era solito fare. Non vi rinunciava tuttavia se appena se ne presentavano le condizioni e vi si dedicava con uno sforzo di volontà che non esiterei a definire eroico; soprattutto se sapeva che la sua lettera, per un qualunque motivo, era attesa o poteva far bene all'interessato, anche se magari ne pagava lo scotto. Chissà, forse, essendo all'oscuro della tua lettera, ne aspettava una da te… L’attenzione di chi le voleva bene la rinfrancava. Tanto più ritenevo importante dirle della tua, sempre in sosta al segnale rosso, in attesa della via libera!

«Caro Gianfranco, adesso brucio le tappe e passo al mio piano e modo di attuazione del medesimo per arrivare alla consegna della lettera di cui non mi sarei perdonata, appunto, la mancata consegna, giustificata o meno; e non solo per questo ma anche per dirti qualcosa di lei nell’imminenza di ciò che stava per succedere facendoti assistere, nello stile telegrafico in cui si è svolto, al dialogo fra le due... sorelline che fingevano, l'una per amore dell'altra, di parlare, come non parendo, di cose senza importanza, a tempo perso, meglio senza altri interlocutori che potessero apportare elementi di disturbo in una situazione da percorrersi in punta di piedi.

«L'informazione è avvenuta nella gradualità di una settimana articolata in battute di qualche minuto, ogni giorno con una sfaccettatura diversa e tanto quanto poteva bastare per cogliere il relativo segnale e capire se si poteva o meno procedere oltre.

«1° giorno - Elenù, Pasquale non sta bene - e lo sappiamo - ma non parliamo mai della sua situazione: non basta interessarsi a lui solo dal punto di vista affettivo, pensiamoci adesso un po', a freddo, e diciamoci che potrebbe anche succedere ciò che si teme... da quando è sotto il torchio. (Lei annuiva). Lo sai che non piace dirlo ma anche noi abbiamo la nostra età e siamo anche malandate. (Annuiva). Se ciò che si teme dovesse succedere, viviamone il dolore con equilibrio: l'amore non è da meno per questo. Promettimi che non ti lascerai andare; lei si diceva d'accordo e passava a me la stessa raccomandazione con esortazioni animate dall'amore e dalla sollecitudine. Al che l'interesse veniva da me "pilotato" altrove, come succede nel parlare spicciolo, qui volutamente utilizzato.

«2° giorno - Lo sai, Elenù, che in merito a Pasquale mi stanno venendo dei dubbi, anzi un dubbio, quello che tu mi hai espresso alla vigilia dell'Epifania quando, allarmata, mi hai chiesto, dopo una telefonata da Cagliari, come mai Ninì e Mario erano andati a Cagliari proprio alla vigilia della Epifania mentre avevano già stabilito di trascorrerla a Nuoro. Allora ti avevo rassicurato io facendoti notare che a Cagliari avevano due figli sposati e non ci vuole molto a cambiare programma e decidere di passare con loro questa festività. Poi però ci ho ripensato: e se fosse vero quel tuo sospetto? A me, tu ne sai qualcosa, certe notizie non vengono mai dette subito e, quando si decide di farlo, lo si fa con cento precauzioni; a te, sofferente come sei, chi ha il coraggio di informartene? Dunque non è improbabile che lo stiano nascondendo a me e a te. (Non è così, non è così, ha detto con voce che ancora mi pare di sentire: sono io che ti ho insufflato questo dubbio; non è così - ha ancora ripetuto - tutta presa dall'esigenza di rassicurare me comunque, assumendo nella situazione, senza avvedersene, una parte non passiva, di persona che stancamente si adatta a quanto le viene proposto dall'altro, ma attiva, propria di Elena, tesa e intesa a sostenere lei l'altro, come era solita fare con me in consimili circostanze. A convalida mi ricordava che qualche giorno prima Fanny, la moglie di Pasquale, a lei, che le raccomandava di fargli una carezza a suo nome, aveva risposto: "Lo farò, lo farò, come sempre del resto"). Io ho finto di credere e ho spostato l'attenzione su altro avendo raggiunto ciò che la sfaccettatura di quel giorno si proponeva: il passaggio di un ruolo attivo a lei che doveva tranquillizzare le mie supposte apprensività in merito, attizzando in sé, per me, l'impegno a non alimentare ragioni o altro che potesse ostacolare la reciproca ripresa.

«3° giorno - Non infastidirti, Elenù, ma i dubbi ritornano, non è una fissazione, è una esigenza: ho bisogno di parlarne. (Ma che cosa ti fa pensare che sia davvero avvenuto). Prima di tutto sono portata a pensare che Fanny, dando la sua risposta, può aver aderito a un'intesa comune e poi... ho visto buste di biglietti e telegrammi senza il foglio col testo delle parole, troppi per farli rientrare nella normalità di occasionali biglietti solitamente isolati. Visto che a questo aspetto sembrava non dare molto peso, non ho insistito considerandolo utile spazio di sosta, del resto da me previsto, quantunque non "ufficialmente" dichiarato, per consentire a lei di assimilare e riappropriarsi delle cose considerate nei singoli giorni e misurarsi con esse, di volta in volta, tenendo sempre presenti tante cose dette su ciò che poteva succedere e del come bisognava reagire.

«4° giorno - Non mandarmi a farmi benedire (di passaggio lo dico anche a te, Gianfranco, ma sto per finire); vedi, Elenù, io ho proprio bisogno di farti una domanda: tu il dubbio me lo calmi sempre ma poi vi affiora. Quanto però chiedo adesso mi pare che possa metter fine a tutte le domande: dato e non concesso che sia propriamente ciò che io sospetto, ti dispiacerebbe che non te lo abbiano detto? (Mi dispiacerebbe eccome! Non sono cose da nascondersi). Finalmente ero arrivata alla fine di un itinerario del quale la gradualità aveva consentito un approdo doloroso certo, ma senza scosse né reazioni emotivamente forti. Neanche al momento tuttavia ho voluto essere precipitata. Anche questa volta non ho fatto seguire commenti, passando, senza parere, ad altro che potesse consentire un diversivo capace di assorbire l'attenzione e favorire la distensione, rimandando al più presto la rivelazione della quale doveva forse anche lei essere presaga.

«5° giorno - Premetto [...]. Non ne sappiamo il costo: quel che è certo è che Elena è stata fedele alla linea che si era proposta e imposta. Ormai io andavo cercando un piccolo varco che mi consentisse, in quel delicato momento, un passaggio assolutamente scevro da reazioni coinvolgenti che potessero sconfinare nel patetico, un passaggio semplice, quasi discorsivo secondo lo stile finora seguito nella conversazione a due. In merito mi è parso provvidenziale l'arrivo, in quei giorni, di uno scritto inviatoci dalle Volontarie della Carità nel quale si parlava di Pasquale: poche parole di trasparente semplicità attraverso le quali era possibile leggere nel cuore la sentitezza di una partecipazione tutt'altro che formale: né superficiale né banale, ma appunto semplice, profonda, quella che abbraccia con te anche il tuo dolore, lo vive con te mitigandone l'asprezza. Ne ero rimasta commossa nel profondo. Ho sentito che leggere questo biglietto avrebbe fatto bene anche a Elena. [...]. A questo punto mi è quasi impossibile non ripetere una considerazione già fatta. A ripensarci mi viene un gran pianto. In effetti ho anche pianto e pianto... Dolce sorella, non sapremo mai a quale prezzo hai dovuto comprimere in cuore il tuo poema di lacrime e di dolore e da elevare a Pasquale nostro, protagonista instancabilmente attivo, quanto discreto e silenzioso, di tante vicende, nostre e altrui, dalle più impegnative nell'ambito del lavoro: alla Sepral prima, alla Regione successivamente quale funzionario di un importante settore amministrativo (mi esprimo come posso) e della stessa politica ("dietro le quinte ma sempre figura di primo piano" - aveva detto di lui Giorgio Melis - in un articolo della Nuova dedicato a Titino dieci anni dalla scomparsa e allargato, di passaggio, ai fratelli), impegni - ripeto - dai più delicati e di alta responsabilità alle minute occasioni che ne attestavano e sottolineavano variamente le molteplici sfumature dell'animo. Qui mi fermo per non espandermi in altri caratterizzanti aspetti, ben noti anch'essi, della sua simpatica personalità di humour che lo rendevano a tutti caro; così come gradita ne era la compagnia...

«Vado avanti nel dialogo per avviarmi, via via alla conclusione. - Adesso, Elenù, voglio dirti qualcosa che ero impaziente di farti sapere: nell'ammontare della posta arrivata per Pasquale ho trovato una lettera di Gianfranco Murtas indirizzata a entrambe ma diretta a te in prima persona. Bella! Come sempre. Non potendotela al momento consegnare, l'avevo passata a Mario perché ne prendesse visione. A sua volta aveva detto di averne ricevute due di argomento diverso l'una dall'altra, entrambe di grande interesse, accompagnandone il giudizio con parole di vivo apprezzamento nei confronti di Gianfranco, sia per quella indirizzata a lui, come per questa diretta in particolare a te, lettera dalla quale era rimasto molto colpito (questo, Gianfranco, lo dico anche per te affinché ne prenda atto). Avendo Elena e io auspicato una più approfondita conoscenza fra te e Mario, abbiamo ascoltato e... registrato questi attestati di reciproca stima con interiore soddisfazione. Le informazioni da me interposte nel precedente dialogo, tuttavia, non hanno impedito a lei di restare in attesa, sempre desta, della tua lettera che ha reclamato con ben precisa fermezza. (Portamela subito). Rimandiamo a domani, Elenù, adesso si è fatto tardi: erano, più o meno, le 23. (No, portamela adesso). Ho sorriso e mi sono mossa, ancora piuttosto titubante, per accontentarla. In merito alla lettera mi sono presa un bello spavento non riuscendomi di trovarla neanche dopo aver passato in rassegna, scritti su scritti, non ricordando più di averla io stessa isolata dal cumulo delle altre proprio per assicurarle uno spazio sicuro che consentisse un recupero immediato per una immediata consegna, quando fosse venuto il momento. L'ora comunque era obiettivamente tarda ed Elena se ne è lasciata convincere senza più opporre difficoltà, per sua stessa persuasione. Così abbiamo dato inizio alle operazioni di rito: trasbordo in carrozzella per il riposo della notte (chiamiamolo riposo...), operazioni che comportavano per lei sempre fatica e sofferenza, soprattutto per via della colonna le cui vertebre, una fratturata ma in via di consolidamento (senza attardarmi nei perché che pure esistono), e altre due "scivolate" un po' giù (non so dire meglio: non faccio che ripetere espressioni piuttosto sbrigative), ma sorvoliamo sugli annessi e connessi, in sé non gravi e tuttavia non meno affliggenti, e però pesanti inconvenienti che, quel che è peggio, potevano essere evitati, per esempio il busto, un cilicio quotidiano! busto al quale è legata una vicenda patetica per il suo tragico epilogo.

«Quando l'ortopedico si è deciso a far venire un tecnico da Olbia perché glielo confezionasse su misura [...], lo straordinario giovane, che ormai le aveva preso le misure e doveva qualche giorno dopo tornare per la verifica, è perito nell'incidente aereo in missione d'amore nel Kossovo! Una creatura meravigliosa che aveva infuso tanta fiducia In Elena e in noi tutti... si è interposto così un lungo estenuante periodo dì attesa. Quando finalmente l'équipe, che lavorava con lui: un fratello e tanti amici, adesso in lacrime, i quali ne hanno ereditato lavoro, impegni e condotto a termine, per le misure, quello di Elena, Elena non era ormai in grado di sostenere misurazioni di sorta! A questo punto mi fermo e non voglio andare oltre: è semplicemente accorante...

«Ritorno alla notte della quale andavo parlando prima di aprire questa lunga digressione che non ho saputo tacerti né risparmiarti, notte diversa per Elena, paga di ciò che era stata la mia rivelazione, venuta a dissolvere in un momento il velo di malinconia, tutt'altro che improbabile, originato da un silenzio esteso a un arco di tempo troppo lungo per lei che ignorava come stavano le cose, soprattutto considerata la persona della quale era nota la tempestività, la sollecitudine e quanto di meglio si potrebbe aggiungere, arco di tempo adesso trasformato nella multicolore iridescenza di un arcobaleno che prometteva una riposante sosta nella tempesta. E come ti è stata grata delle parole dedicate a Pasquale, alla nostra famiglia, con specifici riferimenti che la toccavano da vicino, particolari tutti che hanno dato risalto - devo dirlo - alla tua nobiltà d'animo.

«Non c'è dubbio: in quella notte una portentosa irruzione di luce benefica ha inondato il cuore di Elena illuminandolo a festa, quella senza chiasso che si vive nel profondo, commossa... riconoscente… e gioia Indicibile per me che sono potuta arrivare in tempo alla consegna! Se non lo avessi fatto, lasciandomi prendere da timori e perplessità, non me lo sarei mai perdonato.

«Adesso sottolineo un particolare che dà risalto, se ce ne fosse bisogno, al vivo apprezzamento con cui Elena ha accolto la tua lettera, dal momento che ha tenuto a farmela leggere a due amiche carissime, una delle quali - Ida - è, più che un'amica, una sorella che da anni vive le nostre vicende, soprattutto quelle tristi, come proprie, prestandosi con dedizione e instancabile disponibilità, fino a lasciare la propria casa, dalla quale difficilmente si allontana, per accompagnarci in macchina ovunque, alternandosi alla guida con Elena, sempre dietro reiterate insistenze della medesima (finché è stata in grado di farlo) e soggiornando anche con noi così da esserci in tutto di aiuto e sostegno, specialmente in circostanze di lutto, come era avvenuto per Pietro, per Tonina (suor Michelina) e, prima ancora, per un'altra sorella, Francesca, residente a Cagliari; persona - Ida - alla quale ovviamente vogliamo molto bene avendone ricevuto da lei tanto.

«Così, quando a Elena è venuta la spontaneità di farlo mi ha, in loro presenza, esortato - come già detto - a leggere la tua lettera premettendo, essa stessa, alla lettura, parole intese a illustrare la personalità di "Gianfranco" […]. Tuttavia l'intento della lettera trascende questi aspetti e riguarda il contenuto nella sua interiore ricchezza che Elena, evidentemente, amava estendere e condividere, secondo il momento e l'opportunità, con altre fraterne amicizie per ciò che di importante e di prezioso in essa si esprime: poche parole, le tue, nelle quali si concentra "un tutto"; parole che rendono pensosi, che portano a riflettere ma non suscitano sgomento, tanto meno paura in quanto attingono alla sorgente stessa dell'Amore che, nel faccia a faccia, diventa "paterno" amore, del quale - sempre quelle parole - mettono a fuoco una immagine che suggerisce sentimenti di rassicurante filiale abbandono, parole e immagine che non possono essere state né dimenticate e nemmeno possono essersi attenuate, non solo nella mente e nel cuore di chi ha vissuto in prima persona l'imminenza del supremo istante fino all'ultimo battito di cuore, ma neanche nella mente e nel cuore di chi ha avuto modo di ascoltare».

Straordinario campionario di confidenze che, a ripassarlo ancora a distanza di anni dacché è stato approntato, e ripassano adesso per la selezione in vista della pubblica partecipazione, e per onorare anche lei - Ottavia, scomparsa nel luglio 2002 -, suscita rinnovate vivissime emozioni e l'inappagabile desiderio di rispondere alla fiducia, di corrispondere con pari dignità alla squisitezza di un cuore.

«Gianfranco, grazie! Fraternamente ti abbraccio con tutto il bene del cuore (nel quale batte anche quello di Elena); insieme a lei auguro e prego che la vita risponda al tuo prezioso operare con costante e gratificante larghezza così da compensare il molto amaro che sei costretto a subire. Ancora con tanto affetto, Ottavia».


Fonte: Gianfranco Murtas
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