user profile avatar
Gianfranco Murtas

Gli Chapelle, ovvero la bella dinastia

di Gianfranco Murtas

article photo

Se passeggi per Cagliari, magari seguendo le preziose guide di Antonello Angioni sui quartieri storici della città – e qui siamo al centro del centro, siamo nientemeno che in piazza del Carmine, in quello che fu l’antico forum dell’età romana –, puoi godere della elegante maestà, nella fila dei palazzi Aurbacher e Boscaro, Cocco e Olivieri (o Binaghi-Pizzorno) e, sul lato meridionale, Rocca – dell’edificio che gli Chapelle costruirono proprio all’inizio del Novecento, coprendo un’area che era allora, dirimpetto allo stabilimento Doglio, soltanto di macerie. Di macerie fisiche, quelle dell’edificio crollato all’improvviso in un brutto giorno del marzo 1891, quando ci si apprestava ad organizzare l’annuale edizione delle feste efisiane di maggio e si volevano allestire in quel rustico alcune vetrine espositive, e di macerie morali o sentimentali, quelle di un progetto che si ricollegava, ultimo episodio, alla genialità di un cagliaritano – Francesco Todde Deplano – che era stato uno di coloro che, pochi decenni prima, più s’era speso per proporre la valorizzazione viaria dell’angiporto, diciamo meglio della via Roma – allora via San Francesco al Molo – appena liberata dalla cortina che la separava dalle banchine perennemente movimentate dai carichi e scarichi di un naviglio non da poco e in crescente sviluppo.

Di più. Se vuoi visitare quel gioiello d’arte e scrigno di sentimento civico che è il monumentale di Bonaria e cominci il tuo giro proprio inoltrandoti in quel “viale degli eroi” per un lato tutto tappezzato dalle lapidi (non dai loculi) dei cagliaritani caduti nella grande guerra, ti capiterà di ammirare subito la solenne concentrazione di religiosità veterotestamentaria della cappella familiare giust’appunto degli Chapelle, ancora loro, senz’altro una delle meglio curate dell’intero compendio che dalla piana di San Bardilio risale tutto il colle di Monreale fino al santuario di Nostra Signora aragonese.

Gli Chapelle, tanto più Albert e Georges, fratelli germani, erano stati fra i maggiori protagonisti pubblici – tanto nell’economia delle costruzioni e dei pubblici servizi quanto nell’associazionismo – della Cagliari (e di certa provincia) del tardo Ottocento e del primo Novecento che generalmente indichiamo come età cocchiana e bacareddiana. I loro discendenti poi, chi nelle professioni o nei commerci chi nelle armi, sono stati anch’essi degni dei maggiori ed una grande cosa, conosciuta ed apprezzata, nella realtà, invero non soltanto del capoluogo, lungo svariati decenni: quelli che, nel nuovo secolo, hanno divorato anch’essi tanta storia: la grande guerra e, dopo la dittatura, la seconda guerra mondiale e dopo ancora, il tumultuoso risveglio civile ed economico dei continenti e della società locale…

Amico di famiglia, m’è occorso in più circostanze di raccogliere notizie relative alla biografia “sociale” degli Chapelle e condividerla con i tanti amanti, oltreché di molto altro, della storia della nostra massoneria nella belle époque, e con quanti, amanti anche del bellissimo (e depressissimo) camposanto di Bonaria, si son mostrati, percorrendone i vialetti, capaci di cogliere, insieme con il pregio artistico di innumerevoli monumenti scultorei, anche e soprattutto l’immateriale prezioso deposito delle memorie civiche che identificano l’ecumene ivi accolta: si dica pure, ecumene fonte, passaggio e termine di preghiera a Dio buono per quanto il talento umano, esprimendosi nel proprio tempo, abbia arricchito di virtuoso esempio e di opere la comunità.

Nel volumetto La Catena s’è rotta, la Parola smarrita…, che potei pubblicare ora è già una ventina d’anni ad iniziativa della benemerita loggia giustinianea Alberto Silicani – quell’Alberto Silicani di cui ho ricordato in questi giorni il 130° della nascita sassarese e il 50° della scomparsa, del passaggio all’Oriente Eterno – agli Chapelle ed a Georges in particolare dedicai alcune pagine e in numerose occasioni – sarà ormai un quarto di secolo – al luogo del suo riposo ho accompagnato comitive di varia matrice e composizione, così come diverse logge interessate a riscoprire nomi e volti di chi onorò l’appartenenza.

Di recente ed a seguito di nuove ricerche altre notizie ho potuto raccogliere per implementare quella tavola biografica originaria (e ancora lacunosa) che qui di seguito offro a chi ama la storia – sia pure storia minore – sia di Cagliari che della Sardegna interna, provinciale e rurale, di quelle tre, quattro generazioni che hanno introdotto la nostra.


L'entusiasmo del fare e del buon vivere

Si era fatto cagliaritano quand'era ancora adolescente, verso la metà degli anni '60 del XIX secolo, Georges Chapelle, originario di Vichy, nel dipartimento di Allier nella Francia pirenaica, storicamente occitana. Classe 1851 (25 aprile) era figlio di Luigi Adriano e di Maria Michelet (che a sua volta era nipote del noto storico Jules, originale interprete vichiano e storico dei Templari, professore alla Sorbona e al Collège de France).

La residenza isolana trovava la sua prima ragione nell'attività paterna, legata alla costruzione di strade e ponti in mezza Europa. Dopo alcuni lavori ferroviari completati in Spagna, Luigi Adriano aveva aperto cantieri nel Lazio per la strada ferrata Civitavecchia-Roma. La malaria contratta nella vicinanza alla palude pontina lo aveva però portato anzitempo a morte.

Georges viene a Cagliari al seguito del fratello primogenito (di tre anni maggiore) Albert, il quale, dopo aver frequentato la scuola d'arti e mestieri a Parigi, si è impiegato alla Vieille Montagne a Malfidano, facendo quindi famiglia con una Bellegrandi (Emma, figlia di un facoltoso concessionario pubblico genovese con grossi interessi nell'Isola). Lui stesso, peraltro, entrerà, col tempo, nel settore degli appalti, acquisendo esattorie e commesse, mentre altre ne acquisirà — ora negli stagni di Santa Gilla, Tortoli e Santa Giusta, ora nel capoluogo stesso (nel novero è anche la costruzione del palazzo della Dogana, in faccia al porto, nel 1897). Aprirà anche una piccola ma redditizia industria agroalimentare in quel di Solarussa.

Del fratello, dunque, Georges segue le mosse con lui collaborando, ma con una sua visibile, e anzi sempre più marcata, individualità. Intanto ha fatto famiglia anche lui in terra sarda, sposando una (già matura, alle soglie della quarantina) rampolla di una più che agiata nobil famiglia: è donna Mariangela Asquer che gli porta in dote addirittura il palazzetto in cui la coppia va a vivere, nel cuore di Stampace alto, giusto nella via Azuni (civico 36), fra la gesuitica chiesa di San Michele e la nuova e solenne parrocchiale di Sant’Anna. È l’estate 1879, e già da alcuni anni, bene inserito nell’ambiente della borghesia imprenditoriale cagliaritana, si è associato, Georges, alla loggia massonica Libertà e Progresso che però sembra già entrata in una sua conclusiva fase di crisi per rigermogliare alcuni lustri più tardi.

Uomo “del fare”, eccolo Georges lanciarsi con inventiva e coraggio in tutta una serie di intraprese che ne rivelano, appunto, l'intuito e l'abilità commerciale, anche se non manca talvolta, nei suoi negozi, il contrasto e perfino il contenzioso con l’amministrazione volta a volta impegnata a firmare appalti e concessioni (ma così, invero, è anche di suo fratello Albert che ancora nel 1915, l’anno stesso dell’entrata in guerra dell’Italia, apre una curiosissima vertenza con il Comune circa la pretesa di dazio su pochi chili di anguille!)…

È suo – di Georges – l'appalto del macello e dell'introduzione delle carni al mercato; è sua la vendita di letame stagionato, in un magazzino che ha allestito nella periferica e campagnola strada di San Benedetto; è sua la selezione di provetti scalpellini per lavori in granito che ha assunto da vari committenti; è sua, nei primi anni ’80, la direzione del servizio pubblico dei carrettieri che curano gli sgomberi della spazzatura dalle abitazioni dei quartieri cittadini; è sua, fra l’ancora molto altro, la concessione statale del servizio postale per il Sarcidano (Laconi) ed il Sarrabus (Muravera): la carrozza, al traino dei cavalli, parte da S'Ecca Manna, raccordo di Stampace con Palabanda e l’area del nuovo orto botanico. L'aneddotica familiare riferisce di modalità di buon vicinato perfino con banditi alla macchia, compensati, per la loro… protezione, con tabacco e perfino munizioni.

È appassionato cacciatore e cinofilo, esperto dei territori più impervi di Barbagia ed Ogliastra. Acquista una tenuta agricola presso Sestu (sarà indicata come s'arruga'e Chapelle), destinata a divenire un'azienda modello. E nel 1908 promuoverà (e presiederà) proprio a Sestu un consorzio agrario cooperativo con 120 associati e, successivamente, una cassa rurale di prestiti, nonché – d'intesa con la Cattedra ambulante di agricoltura di Oristano – corsi pratici di innesto della vite americana, la coltura prevalente in larghe estensioni dell'hinterland cagliaritano...

Vive, Georges Chapelle, la spontaneità dei rapporti con la gente di campagna, parla un corretto campidanese, ancorché con un inevitabile e simpatico accento francese (peraltro della Francia conserva la cittadinanza: e meriterebbe ricordare che nel 1870, allo scoppio del conflitto tra Francia e Prussia – quello stesso che, per virtuoso effetto domino, consentirà all'Italia di Cadorna di realizzare una patriottica breccia a Porta Pia! –, suo fratello Albert è partito volontario per farsi inquadrare nell'esercito nazionale; e meriterebbe altresì ricordare che nelle soffitte del palazzo di piazza del Carmine i due fratelli custodiranno, per ogni evenienza di ostensione patriottica, tante bandiere francesi ed italiane quanti sono i balconi dei prospetti...).

Ama lo scherzo, Georges, qualche volta perfino greve; è impulsivo e, per qualche intemperanza non frenata, ha anche da fare i conti con la forza pubblica, ma tutto ritorna in quel suo vitalismo produttivo ma anche, per sua natura, di difficile maneggio (come, appunto, le vicende giudiziarie – fra esse quella del luglio 1888 – dimostrano: quella volta s’era beccato sei giorni di prigione al termine di un processo per ingiurie che s’era scambiato con il vice direttore delle poste locali. Il Bertoldo, periodico umoristico cittadino, in uscita da un anno circa, ne aveva fatto il resoconto della udienza in pretura e lodato la capacità del giovane difensore avv. Antonio Scano di prossime grandi fortune).

Nell'autunno 1890 gli capita di dover fare da guida per i quartieri di Cagliari e i paesi della provincia a un noto disegnatore/incisore transalpino, Gaston Vuiller, il quale ne riferirà poi in un libro di buona diffusione: Impressioni di un viaggio in Sardegna. «Il signor Giorgio Chapelle, grande cacciatore, minato dalla febbre, contro la quale combatte a marce forzate sulla traccia del muflone, del cervo e del cinghiale e con enormi dosi di chinino, ormai non potrebbe più adattarsi alla vita un po' angusta, dal punto di vista materiale, dei nostri paesi...», annota lo scrittore elogiando del suo connazionale anche la disponibilità e competenza: «Mi fece ammirare i panorami magnifici che si scorgono dal quartiere alto; con lui visitai il palazzo del municipio, il palazzo reale, il museo che è di estremo interesse per un archeologo». E naturalmente Sant'Avendrace con la grotta della Vipera e Bonaria, ogni rione con le sue tipiche figure di panattare e rigattieri, pescatori e carrettieri..., ma poi anche Quartu e tutto l'entroterra, compresa Pirri tutta in festa per un matrimonio allora in svolgimento e sfoggio generale dei migliori abiti della tradizione…

Quindici giorni di ospitalità cortese e compagnona: «il fucile in spalla, attraverso la solitudine, seguito dai suoi bei cani, dormendo sul nudo suolo, vivendo alla ventura, intrepido cacciatore amato dai Sardi, che ammirando i suoi modi da guerriero. Non v’è villaggio della Barbagia, dell’Ogliastra, delle regioni pressoché inaccessibili, in cui il suo nome non sia familiare a tutti. Quanto amano la Francia, come sono fieri di essa, questi bravi Francesi, costretti dal corso della loro vita ad una sorta di lontano esilio», è il commento conclusivo di Vuiller che così monumenta il profilo morale del suo ospite.

Il nome di Georges Chapelle ricorre spesso nelle cronache di stampa, quella volta su L’Avvenire di Sardegna di Giovanni de Francesco, quell’altra su L’Unione Sarda che da poco tempo ha iniziato le sue pubblicazioni sotto l’ispirazione di Francesco Cocco Ortu. Il motivo è più spesso di pura cronaca… nulla di epico, come quando, in un giorno dell’aprile 1891, ci si riferisce a un incidente di… calesse al traino d’un cavallo: le stanghe si rompono, la carrozza si stacca rovesciandosi mentre l’animale se ne fugge, i passeggeri si feriscono in quel tratto della via Roma che comincia, proprio allora, a conoscere i primi porticati di casa Magnini, casa Garzia ecc.

Ottimo e inimitabile Georges, ma certo è e resta Albert – che, beato lui, avrà vita lunga, arrivando al 1935 con ben 86 anni di età – l’operatore leader – se mai la definizione abbia un senso – della famiglia. Nel 1894 ha raccolto i diritti di concessione della miniera di Capo Becco nell’isola di San Pietro (comune di Carloforte) già in capo ad alcune famiglie di origine francese, e con i Bellegrandi – la famiglia della moglie – ed i loro capitali e grazie al rinnovo degli impianti sa fornire un decisivo impulso all’attività estrattiva, riuscendo perfino a promuovere un villaggio abitativo (per i minatori e le loro famiglie) nei dintorni dello stabilimento.

Un’impresa segue all’altra. E quando lascia questo mondo, nel 1935, Albert è ancora sulla breccia, come consigliere d’amministrazione della Società sarda per la distribuzione della energia elettrica…

Di Albert e Georges in società fra loro è anche, databile 1907 ed anni successivi, la proposta – soltanto in parte attuata – della gestione del servizio pubblico automobilistico fra Oristano e diversi dei centri dell’alto Campidano e fino a Bosa. Le gravi lacune nel sistema ferroviario impongono collegamenti alternativi e l’urgenza è ormai quella di superare il trasporto con i carri a traino animale…


Il palazzo di piazza del Carmine

Debbo diredel palazzo su tre livelli da terra e con prospetto principale sulla piazza del Carmine, un fianco lungo il pendio della parte terminale della via Maddalena e l’altra maggior facciata – inclusiva di un piano ammezzato – sulla via Roma, a dirimpettare, primo fra tutti, il fianco allungato della stazione ferroviaria. Con il tempo, nei primi due decenni del nuovo secolo, sorgerà un compendio unitario di gradevole austera eleganza borghese: in sequenza, volti in direzione del prossimo plesso delle elementari (operativo dal 1904, intitolato a Sebastiano Satta dal 1924), s’alzeranno i cantieri Aurbacher, Boscaro, Cocco, Olivieri-Binaghi, Rocca.


 


L’associazione originaria è degli Chapelle con Serventi, il progetto è datato 1899. Poi la firma negli atti presso l’ufficio tecnico del Comune è quella esclusiva di Albert, il quale avrà di che trattare con l’ufficio tecnico comunale. Si sa: passato Bacaredda in Parlamento, a lui è succeduto in municipio, ora già da qualche mese – l’anno è adesso il 1900 –, l’assessore anziano Giuseppe Picinelli, uomo anch’egli di grande rigore e largo rispetto nella cittadinanza. Con quello delle finanze civiche è l’ufficio tecnico il vero motore dell’amministrazione comunale che guida Cagliari alla sua piena modernizzazione nel passaggio di secolo.

Muovendosi con spirito positivo il privato e il pubblico confrontano idee, giudizi critici ed ipotesi di soluzione tanto più per meglio curare o rispettare tipologie e fissare allineamenti. Un giusto confronto si svolge così, nel caso concreto, per rimediare, con un’utile trovata estetica, al declivio che s’era pensato inizialmente di assorbire con una nuda gradinata. Ora sarà invece un corpo avanzato, nel centro, a mascherare quei gradoni e ad impreziosire ancor di più la monumentale architettura dell’edificio. (Nella circostanza è dunque lo stesso Consiglio comunale a votare la cessione aIl’impresa costruttrice di un ulteriore tratto d’area: la delibera riferisce di m. 16 x 2, al prezzo di £. 3 il mq)…

Il risultato è ottimo. E tanto Gianni Loddo, con la scheda tecnica da lui predisposta in Cagliari. Architetture dal 1900 al 1945, quanto Antonello Angioni con il suo pregevole Cagliari Stampace. La storia e le storie descrivono i pregi architettonici di palazzo Chapelle che, oltre ad ospitare la famiglia proprietaria, avrà unità da cedere in locazione ad uso sia abitativo che d’ufficio nonché, al piano terra, commerciale.

Come detto, sviluppato su tre livelli, le poderose strutture murarie abbracciano un grande cortile interno sul quale affacciano lunghi ballatoi. Sull’esterno sono le aperture ad arco, in basso – una decina in tutto –, a dare un aspetto arioso e insieme imponente all’edificio abbellito, secondo il gusto del tempo, da puttini e mètope, cornici e falsi balconi che muovono e vivacizzano l’uno e l’altro prospetto.


Il dramma di Messina

Verranno per gli Chapelle, anche per loro, le stagioni di dolore e sconforto. Nel terremoto/maremoto di Reggio e Messina, giusto alla fine di dicembre del 1908, muoiono Paolo – figlio di Albert ed Emma Bellegrandi – e sua moglie Gina Gerosa con il loro piccolo Alberto di nove anni soltanto. Recuperate fra tante macerie, le salme vengono riportate con il postale da Palermo a Cagliari quasi due mesi dopo. La partecipazione cittadina ai funerali che si svolgono nella chiesa di San Francesco di Paola, nella via Roma, è enorme. La stessa giunta comunale (con il sindaco Marcello e vari assessori) è presente unitamente alle rappresentanze della Provincia, della Camera di commercio, della Navigazione generale, del Banco di Napoli, dell’Ospedale civile, di diverse istituzioni commerciali e di scuole e sodalizi sportivi… La commozione è diffusa e sincera.

Le cronache di stampa, già dall’indomani del terremoto/maremoto e così per quasi due mesi, danno quotidianamente conto di come la Sardegna e il suo capoluogo vivono il dramma dell’Isola sorella che è raggiunta, fra gli altri, da una squadra d’una trentina di studenti universitari – e fra essi è Armando Businco – resisi disponibili per i servizi di urgente soccorso sanitario. Così il 31 dicembre: «Il Cagliari partì alle ore 15, oltremodo carico di passeggeri in pianto e in pena: … il sig. Chapelle che ha il figlio a Messina…», così il 7 gennaio: «… saluto però che si fa subito melanconico, straziante, nel veder discendere, per recarsi a terra, il signore e la signora Chapelle, accasciati, quasi irriconoscibili, sotto il peso dell’immane sventura che li ha colpiti con la morte del loro figliuolo e di tutta la sua famiglia…». Nello stesso giorno, raccogliendo la testimonianza dell’avv. Setti, uno dei cagliaritani scampati alla morte: «Mi recai al sito dove sorgeva la casa del mio buon amico Chapelle: la casa non esisteva più. Ma invece di precipitare giù come tutte le altre, si era inabissata nel suolo che, apertosi per la scossa del terremoto, l’aveva inghiottita. Il povero Chapelle, la signora, tutta la famiglia scomparirono con la loro casa».

Paolo, il giovane capofamiglia ormai trasferito a Messina, era conosciutissimo in città, al pari del fratello Adriano e della sorella Berta. È da dire che gli Chapelle, nel primo Novecento, hanno ormai consolidato il loro radicamento nella società cagliaritana, il loro cognome così gustosamente francese ha cominciato a discendere… per li rami fra famiglie e professioni, né tutto si riassume nel capoluogo: Adriano, il primogenito di Albert ed Emma Bellegrandi e, come detto, fratello dello sfortunato Paolo, ha sposato una Diana mandarese – è Amelia di nobile stirpe sardissima – mentre Berta, di poco più giovane, ha fatto famiglia con il dottor Luigi Arangino di origini (e ricche proprietà) aritzesi. Da Adriano ed Amelia stanno venendo – l’anagrafe fiorisce generosa in questi anni – Lydia (che sposerà il gen. Antonio Gutierrez), Aldo (che in prime nozze sposerà una Sanjust Delitala ed in seconde Graziella Marchetti), e Riccardo…


Tornando a Georges

Un ritratto di Georges, fra il serio ed il (rispettoso) faceto, lo azzarda nel novembre 1903 La Domenica cagliaritana, nuovo periodico umoristico cittadino. Meriterebbe scorrerne i passaggi più significativi e… salati: «Statura quasi come il precedente [l’avv. Antonio Fadda, “quella del gigante Golia”], voce idem, istinti assai più battaglieri. Anche lui ha acceduto spesso al Tempio della Giustizia, non però come patrocinante, ma come litigante. Infatti nelle cause giudiziarie col Comune di Cagliari ha dato a quest’ultimo molto filo da tessere, non tanto per desiderio di lucro, quanto per vedere le proprie ragioni riconosciute e proclamate in uno o più atti del Magistrato. Se gli avessero proposto, in precedenza, di guadagnare la lite e di perdere i denari avrebbe accettato con entusiasmo.

«Temperamento impulsivo, ha degli scatti di ira e di sdegno irrefrenabile. Nissardi non potrebbe mai applicare a lui, con speranza di successo, il calmiere. Alcune sue interiezioni italo-sarde-francesi basterebbero a far perdere il coraggio al buon archeologo. Ma dato sfogo all’impulso del primo momento, in fondo all’animo suo non dura a lungo il rancore, tanto è vero che finì per stringere la mano al cav. Sessini, il suo più potente nemico [quello del contenzioso del 1988] e che egli contraccambiò per tanto tempo con altrettanta tenerezza.

«È nato in Francia, ma il suo lungo soggiorno fra noi lo ha quasi naturalizzato cittadino cagliaritano, anzi sestese addirittura.

«Come per Umberto Cao, è impossibile concepirlo senza il suo cane da caccia a lato. Infatti egli è cacciatore appassionatissimo, di piuma e di pelo. Non sappiamo se egli appartenga alla benemerita società contro il bracconaggio, ma meriterebbe senza dubbio di farne parte per più titoli».

Spirito piuttosto anticlericale come tutti gli Chapelle – uno spirito ghibellino compensato dalla religiosità tradizionale di donna Mariangela, che però morirà relativamente presto, lei appena 57enne, nel 1899 – Georges, s’è detto, ha affrontato il rito dell’iniziazione massonica verso le metà degli anni ’70, dunque neppure trentenne. Data la sospensione delle attività latomistiche in Cagliari fino al 1889-90, ha ripreso la frequenza, con il grado di Apprendista, alla vigilia del nuovo secolo, nel Tempio della Sigismondo Arquer presso il palazzo Vivanet (nulla osta datato 1° aprile 1899, a seguire verranno le promozioni a Compagno d'Arte un anno dopo, giurando egli il 30 giugno 1900, ed a Maestro il 15 febbraio 1901). La sorte vorrà che, giusto sessant’anni dopo, un suo pronipote accorderà accoglienza, proprio nel palazzo di piazza del Carmine, al piano alto, della loggia Nuova Cavour, al momento l’unica operante nella città di Cagliari ed una delle quattro dell’intera Isola. Con la loggia simbolica anche il capitolo scozzese e, col tempo, anche quello di York e quello, coinvolgente anche le donne, dell’Ordine della Stella d’Oriente. Dal 1960-61 al 1977, seimila e più giorni di missione umanistica rispondente ai tempi di nuove grandi trasformazioni sociali, culturali e politiche.

Per lui, per Georges, tutto finisce, dopo una breve malattia che per il più egli ha trascorso nella sua casa rurale di Sestu, nel 1911. Passa all'Oriente Eterno in un giorno che nel calendario francese rappresenta una data speciale: il 14 luglio evoca la presa della Bastiglia e l’inizio della rivoluzione. La salma viene trasferita dall’hinterland al palazzo di famiglia: in quella piazza del Carmine che, proprio nel 1911, cinquantenario della unità d’Italia, il Comune ha ribattezzato XXVII Marzo, nel ricordo della data in cui il nuovo Parlamento italiano ha dichiarato Roma capitale d’Italia. E non importa se lì, alle rive del Tevere, ancora comanda papa Mastai Ferretti e la teocrazia manovra, oltre a leggi illiberali, anche e ancora la ghigliottina…

Il Corriere dell'Isola , il quotidiano del "partito" cattolico di Cagliari diretto dal conte Enrico Sanjust di Teulada, non conosce a fondo, forse, i sentimenti liberali di Georges ed un suo cronista di lui traccia un bel profilo:

«La sua fenomenale attività e la sua avveduta opera avevano fatto della propria azienda agricola un campo sperimentale, un fecondo esempio per quanti o increduli o negligenti indugiavano a mettere in pratica le nuove vedute e i nuovi progressi dell'arte della coltivazione dei campi.

«A quella sua attività pratica aggiungeva un profondo e civile senso di altruismo che lo indusse a patrocinare, e promuovere e mettersi a capo di tutte quelle iniziative che più parevano a lui rispondere alle esigenze della vita agricola. E perciò lo troviamo a capo di ogni movimento tendente a diffondere fra gli agricoltori il sentimento del credito agrario inducendo i più restii a credere ai prodigiosi effetti della cooperazione.

«Quando fu istituita la cassa rurale che ha collettivamente un capitale di 1.500.000 lire fu unanime la designazione sua a presidente; e fu bene perché si devono a lui i prodigiosi e proficui effetti che l'istituto agrario ha prodotto nella classe degli agricoltori; e si deve molto a lui se la cassa rurale di Sestu è segnalata se non la prima certo fra le prime della provincia.

«Il rimpianto per la perdita immatura dell'uomo egregio è generale giacché egli seppe sempre tenersi lontano da ogni lotta di partiti locali e perciò tutti gli volevano bene. E teniamo cara e viva per sempre la memoria del nostro concittadino di elezione». Così il 16 luglio. E il 17, poi:

«Molti amici, molti estimatori seguivano il carro funebre, ricoperto di molte corone. Tenevano i cordoni il sindaco di Cagliari, il console di Francia, il sindaco di Sestu, il rappresentante della Cassa Rurale di Sestu che fu sempre presieduta nobilmente dall'estinto, l'avv. Ranieri Ugo, il cav. Enrico Pernis [al tempo Venerabile della Arquer, nda], il direttore della Banca d'Italia. Precedevano gli istituti pii».


Con Ezechiele il profeta

La cappella che accoglie anche le sue spoglie è stata eretta nel 1907: di pianta interna esagonale, ha decorazioni in marmo e stucco ispirate allo stile orientale e segnatamente (secondo il gusto del primo Novecento) egizio, con volta a forma di cupola limitata da lucernaio, decorato da una corona di cherubini fra le nuvole. «Negli spicchi della volta, in corrispondenza delle colonne, sei angeli in grandezza al naturale in altorilievo sorreggono dei graziosi pendoni di fiori che li unisce tra loro, e nella fronte prospiciente al cancello è una gran croce tra le nuvole con raggi, portata da puffi alati», è la descrizione che compare sul Corriere dell'Isola dell'8 novembre 1907. Che così prosegue:

«Rivestono completamente le pareti marmi diversi, in bardiglio lucido la trabeazione ornata ed il basamento, ed in marmo verde di Prato lucido le sei colonne decorate da originali ed artistici capitelli di bronzo, come pure di bronzo sono i quattro candelabri, che decorano i lastroni che racchiudono i 42 loculi, e le palme che ornano il fregio; completa la decorazione ed emerge per la sua originalità e le sue proporzioni una colossale statua di marmo bianco chiaro, raffigurante il profeta Ezechiele, con lo sguardo rivolto al cielo, di una espressione veramente inspirata nella concezione dei carmi della morte, avente nella destra lo stilo e nella sinistra una pergamena con la scritta: Ossa arida, audite verbum Domini... Detta statua di modellatura larga e poderosa tanto nelle parti nude come nei ricchi drappeggi forma nel suo insieme, oltreché la più colossale per mole, anche la migliore opera scultorea del nostro ricco camposanto. Ne è autore l'egregio scultore cav. Giuseppe Sartorio».

Una nota conclusiva: la lapide indica due date (quelle di nascita –1856 – e di morte – 1914) che non corrispondono a quelle documentate.

Fonte: Gianfranco Murtas
RIPRODUZIONE RISERVATA ©

letto 487 volte • piace a 0 persone0 commenti

Devi accedere per poter commentare.