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Gianfranco Murtas

Gli onori ad Ovidio Addis, in una serata all’Archivio di Stato di Cagliari. E il ricordo di Mariano Pili

di Gianfranco Murtas

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Avrei voluto scrivere brevi note di cronaca sull’evento che lo scorso giovedì 30 gennaio si è tenuto nella sala conferenze dell’Archivio di Stato di Cagliari per presentare un nuovo libro promosso dall’editore Carlo Delfino: di Ovidio Addis (e la mia curatela) “Usciamo dalla solitudine, la leggenda è finita”. Scritti editi e inediti 1940-1966. Problemi di salute mi hanno impedito di partecipare e gustare gli interventi che, fortunatamente, sono stati videoregistrati. E seppure oggi non abbia ancora compiutamente avuto conoscenza dei contributi venuti dal nuovo (e dinamico) direttore dell’Archivio dottor Enrico Trogu – che ha aperto la serata –, dalla professoressa Olivetta Schena (docente medievista dell’Università di Cagliari) e, in conclusione, dal celebrato professore Francesco Cesare Casula, mi è sembrato doveroso… coprire comunque il vuoto. Così riferendo del centinaio di presenti, dell’apprezzamento variamente motivato dai vari relatori, certamente del libro ma più ancora dell’intellettuale – Ovidio Addis – a cui molto devono varie, anzi le più varie discipline: la ricerca storica in specie giudicale dell’Isola, l’archeologia soprattutto nell’area vasta e particolarmente pregevole di Cornus (legata al mito amsicorino, nella lotta fra sardi pelliti e cartaginesi contro gli invasori romani, ma poi anche municipio romano e protodiocesi sarda), la demologia (per le raccolte e rielaborazioni delle maggiori leggende popolari teuladine e seneghesi), la musicologia (per gli studi sui canti religiosi del Montiferru), la stessa divulgazione culturale (se si pensa alla partecipazione come concorrente a quiz regionali della prima televisione italiana) e addirittura la chimica protettiva di libri e legni dagli assalti delle termiti… 

Che dire? Addis fu un “mostro” interprete di quella cultura – che è altra cosa dalla erudizione – che consente, a chi se ne fa portatore, di essere abile (e a tutto tondo) interprete del reale, nella consapevolezza evolutiva degli eventi, nei passaggi fra causa ed effetto così nei fenomeni biologici come in quelli geografici e storici, sociali e religiosi o economici… 

Il libro di oltre cinquecento pagine raccoglie molto, se non tutto quel che Addis ha prodotto negli anni – infine brevi, ché la sua vita si concluse nel 1966 all’età di appena 58 anni – e dà conto della versatilità di chi non volle chiudersi nell’insegnamento di paese… per guadagnarsi da vivere, ma seppe costruire un archivio storico e una biblioteca fra le più pregevoli della Sardegna del tempo (quanto poi è rifluito, come donazione familiare, all’Archivio di Stato di Cagliari), mettendolo a disposizione di giovani laureandi e studiosi giù in carriera accademica. Maestro di bambini e adolescenti – nella scuola di stato e nella scuola del territorio da perlustrare – tutor di decine e decine di studenti universitari (fra essi lo stesso professor Casula allora giovane ventenne!)… Fu militante e dirigente sardista, Ovidio Addis: naturalmente del sardismo lealista della Repubblica, non certo militante di quegli intrugli nazionalitari indipendentisti che qualcuno combinò proprio quando egli s’avviò per la sua malattia e da cui, al congresso del PSd’A del gennaio 1966 si tenne distante (molto interessanti i suoi carteggi politici di quella fase purtroppo ultima della sua vita). Fu a lungo consigliere comunale e infine sindaco di Seneghe, il paese che l’aveva adottato fin dal 1934, egli allora giovane di 25-26 anni, e nel quale avrebbe fatto famiglia e cresciuto i suoi figli.

Fu anche un libero muratore di speciale autorevolezza e non per niente i giustinianei sardi a lui hanno intitolato nel 1972 una loggia, in quel di Oristano, impegnata a tenere alti i valori di umanità e progresso, di religiosa laicità e stretto amore alla Sardegna che ne furono la vocazione più intima.

Molto, se non tutto, del grande lavoro di riscoperta della personalità di Ovidio Addis è stato merito, nel tempo, di Marina Valdès, a lungo funzionario dirigente dell’Amministrazione dei Beni culturali (fra Soprintendenza archivistica per la Sardegna ed Archivio di Stato di Oristano, paleografa provetta e cento altre cose). Fu lei a seguire direttamente la donazione familiare all’Archivio di Stato di Cagliari, ora sono già una ventina d’anni, lei ad aver curato il riordino delle corrispondenza quantificata di molte centinaia di unità. A lei, soprattutto a lei, ho voluto portare il mio pensiero nell’occasione della presentazione del libro.

A motivo di pura testimonianza trascrivo ora quel breve testo di saluto.

A tanto faccio seguito con un contributo, bellissimo, che debbo al dottor Mariano Pili, già allievo, nella sua infanzia, di Ovidio Addis, poi idealmente suo sodale, e mio amico repubblicano negli anni che seguirono la morte di quel sindaco-intellettuale che fu tante cose e tutte le migliori…    

Un saluto, un ricordo, un omaggio

Alcuni attacchi febbrili mi tengono a letto e mi fanno disertare il bel convegno concordato dall’editore Delfino con l’Archivio di Stato di Cagliari per onorare la personalità eccellente di Ovidio Addis così come l’ho, o l’abbiamo, potuta rendere, attraverso i suoi stessi scritti, nel corposo volume “Usciamo dalla solitudine, la leggenda è finita”.

Posso quindi soltanto ringraziare tutti, in specie i relatori per la benevola – spero sia (stata) benevola – attenzione riservata a questa fatica.

Sul piano puramente editoriale direi sia stata una fatica collettiva: 

-la grande fatica di semina – fra studio e scrittura – di Ovidio Addis certamente, ed è quanto di più conta; 

-quella mia di raccolta e riordino e presentazione dei materiali, nella scansione dei ventitré capitoli; 

-quella di chi, con discrezione e pari tenacia aveva voluto questo libro e collaborato anche nella fornitura di documenti cui non avrei avuto accesso: mi riferisco a Gabriele Addis, senza la cui generosa costanza e premura oggi Carlo Delfino vanterebbe un titolo in meno del suo bellissimo e ricchissimo catalogo; 

-quella ancora, ultima ma non ultima, di Marina Valdès, segreta regista e, con Gabriele, co-ispiratrice di tutta l’operazione, che nasceva, possiamo dire, da una sua dotta conferenza sulla figura di Ovidio Addis, tenuta nel 2014 a Teulada, patria natale del Nostro rivelatosi quindi nel suo pieno talento nella patria elettiva di Seneghe, tanto che nelle schede introduttive ai vari capitoli più volte mi era venuta la tentazione di usare come parimenti pertinenti o legittime le formule “lo studioso di Teulada” e “lo studioso di Seneghe”.

Marina aveva successivamente integrato il profilo a tutto tondo dello “studioso di Teulada e Seneghe” in un interessantissimo contributo apparso sulla rivista Massonicamente, n. 4 del 2015: “Un massone sardo tra impegno culturale e passione politica: Ovidio Addis”.

Mi è caro ricordare, pur con il cuore pesante, Marina che mi aiutava nella decifrazione impossibile di alcune lettere, ricevute da Ovidio nell’età giovanile, fine anni ’20, primi anni ’30: allora non si andava con mail rapide, si andava per lettere sovente lunghe e di descrizione oltre che di cronaca di eventi che pareva utile comunicare al corrispondente.

La sua signorilità resterà per me come un sigillo di casa regnante su quest’avventura editoriale. Ed è stato giusto e bello che fosse Gabriele, e non il curatore (e pur, naturalmente, con sua piena adesione), a dedicare il libro a Marina Valdès, così come è stato giusto e bello affidare al testo di Marina – quello stesso della conferenza teuladina – lo spazio del prologo, o della introduzione.

Se una testimonianza posso poi portare, qui in estrema sintesi (date anche le condizioni di salute incerte e l’instabile lucidità), alla lezione di Ovidio Addis per come io l’ho colta dai suoi scritti e dalla sua corrispondenza, dovrei riferirmi, sul piano personale generale, alla sua innata propensione pedagogica, e dunque alla generosità che è propria degli autentici uomini di scuola. Non mestiere, o solo mestiere, piuttosto arte, piuttosto vocazione: la docenza nel laboratorio più che dalla cattedra – e il laboratorio di Ovidio Addis fu in specie il territorio e la vita vissuta – è sempre, per la resa, opera altamente creativa, introduttiva a nuove consapevolezze.

Sul piano concettuale l’originalità maggiore di Addis studioso mi pare sia nella lettura “mediterranea” della storia dell’antica Sardegna; sul piano dei tesori rivelati – rivelati almeno a me che mi sono sempre occupato dell’Otto-Novecento – direi che ho trovato grazia abbondante nelle ricostruzioni altomedievali, fra primo cristianesimo e presenza bizantina anticipatrice della stagione dei giudicati.

Di scrittura da Nobel sono le leggende, sia quelle teuladine che quelle seneghesi, uscite su La Nuova Sardegna nel 1961, e nel libro riprodotte con l’aggiunta di un inedito; non di minore suggestione sono le pagine sulla vita delle termiti, capaci di farci simpatizzare con un universo tanto rovinoso quanto però affascinante nella perfezione delle sue dinamiche naturali, perfino di quelle oblative che paiono addirittura sostenute da una eroica energia etica.

All’uomo, all’intellettuale, al cittadino Ovidio Addis mi piace associarmi nelle idealità condivise, pur in tempi così differenziati, ché quando Ovidio ci lasciò io ero ancora un ragazzino, come i suoi figli d’altra parte: la democrazia autonomista e repubblicana, di rimando risorgimentale e cattaneano, il programma ecumenico e profetico della libera muratoria come luogo di incontro fra umanità diverse, nel rispetto pieno di ciascuna. 

Mariano Pili: «Un intellettuale come insegnante elementare»

Il suo arrivo a scuola, con in testa l'immancabile basco blu, era in genere preannunciato da qualche compagno più cresciuto, che, dopo essersi affacciato all'angolo del caseggiato scolastico, lanciava l'allarme: "Est imbattende su maistu". Il rituale quotidiano trovava motivazione nell' atteggiamento di severità con cui la grossa parte degli adulti, non esclusi gli insegnanti, si approcciava ai bambini. La comparsa della sua figura ondeggiante, con il cappotto color cammello poggiato sulle spalle e ingobbito da un lato, a coprire la catasta di libri antichi che quasi quotidianamente portava a scuola dalla sua biblioteca, tendenzialmente poneva fine ai giochi dei bambini prima dell'entrata in classe.

Ai libri, talvolta cinquecentine o testi manoscritti, che facevano bella mostra in un'ampia porzione della cattedra, riservava la massima cura e, ne sono certo, più di un affettuoso accennato sorriso; il che non gli impediva di metterli nelle mani dei suoi allievi con l'avvertenza di manipolarli con estrema attenzione. In genere da parte degli scolari non arrivavano grandi domande sul loro contenuto, ma piuttosto sulla loro antichità; ciononostante, in quei momenti era palpabile un atteggiamento di religioso rispetto da parte dei bambini.

Le suggestioni indotte dalla manipolazione libri antichi, a ben pensarci, costituivano, sicuramente per consapevole scelta pedagogica, un ambiente psicologico favorevole all'ascolto partecipe di quanto il maestro raccontava della storia della Sardegna, della sua dignità ed importanza, contrariamente al prevalente senso comune della società sarda di quegli anni. Nonostante la nostra tenera età, non si esimeva dal commentare i fatti di cronaca o anche la cronaca politica, non facendo mai mancare le sue ironie e, talvolta, il sarcasmo nel giudicare ciò che i bambini evocavano per sollecitare i suoi giudizi. D'altra parte una volta ebbe modo di esprimere, durante un colloquio con un suo collega, la sua idea in merito all'infanzia: il bambino, nonostante i pantaloni corti e la ridotta mole fisica, non è che un adulto in miniatura, con tutti i difetti, pregi e malizie in scala ridotta ed approssimata.

Da tale presupposto derivava un frequente coinvolgimento degli allievi in tutte le sue attività ed interessi, che fosse lo studio del ciclo biologico delle larve di termiti finalizzato all'individuazione di un antidoto che servisse a debellarne le infestazioni oppure lo scavo archeologico del sito archeologico di Columbaris o la partecipazione ad una trasmissione televisiva in cui la Sardegna potesse salire alla ribalta dell'attenzione di una platea nazionale. In tale ottica, le foto relative alla campagna di scavo, l'incontro diretto con il presentatore televisivo a scuola, l'interrogazione sulla geografia della Sardegna da parte dei bambini, la concreta esibizione dei gettoni d'oro vinti alla trasmissione televisiva "Itinerario quiz" rappresentavano il concreto coinvolgimento dei suoi alunni nella sua vita intellettuale e sociale.

Tale coinvolgimento non si accompagnava mai alla prolissa illustrazione di temi ed argomenti: in genere poche pennellate efficaci costituivano le sue spiegazioni ed illustrazioni, lasciando che poi la sincera curiosità dei bambini portasse alla proposizione di domande, alle quali forniva adeguata colorita ed esauriente risposta.


Fonte: Gianfranco Murtas
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