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Gianfranco Murtas

Ricapitolando fra passato, presente e futuro probabile in un Vietnam unito, diviso, da riunire.

Le analisi di don Angelo Pittau, le sue sconsolate conclusioni

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di Gianfranco Murtas


Conclude il suo reportage, Angelo Pittau prete villacidrese prestato dalla diocesi di Ales all’università di Dalat, e fattosi col tempo missionario a tempo pieno e giornalista. Così per quasi mille giorni.

I rappresentanti diplomatici dei protagonisti “sporchi” della guerra “sporca”– i comunisti del nord Vietnam, quelli del Fronte di Liberazione Nazionale attori politici e militari nel sud, i “partiti” (anche religiosi) del sud protetti dagli americani, gli americani stessi (con una forza militare giunta alle 500 mila unità! ed armamenti i più moderni e delittuosi) – si riuniscono dal 1969 a Parigi e danno avvio a trattative che si riveleranno infinite, sfiancanti, per trovare una soluzione di pace duratura ad un conflitto armato ormai di quindici anni. Un conflitto tutto fissato entro le coordinate planetarie, ad un tempo, della decolonizzazione (processo storico che, dalla fine della seconda guerra mondiale, ha coinvolto anche altri continenti e almeno cinquanta stati) e della cosiddetta “guerra fredda”, fra mondo occidentale e mondo comunista ad influenza russo-cinese.

Don Pittau riassume gli scenari possibili di esiti negoziali al momento incerti. Riconfigura le parti al tavolo del confronto e dell’auspicata intesa. Non ci sono innocenti, partigiani puri nella guerra vietnamita: vittime innocenti sì, ma i destri al governo di Saigon e gli americani loro alleati, i vietcong e i loro ispiratori e sostenitori cinesi e russi… nessuno è portatore di una causa perfetta. Più ancora, sono stati i modi in cui, nella politica e nella guerra combattuta, hanno difeso la propria causa a tenerli lontani da una qualsiasi nostra teorica consentaneità. Ma noi ragioniamo da occidentali liberali, da generazioni che felicemente hanno vissuto e goduto di un lungo tempo di pace… Gli scenari, le scale valoriali, le culture e mentalità dell’estremo oriente vanno per altre classifiche.

Quel che qui importa è registrare la testimonianza – testimonianza per il mondo – che don Angelo Pittau ha voluto rendere, non senza rischi e gravi rischi personali, per la causa della giustizia vivendo immerso nella realtà vietnamita per tanto lungo tempo e fissando sulla carta del suo Vietnam: una pace difficile (Bologna, edizioni Dehoniane, 1969) i suoi incontri, le sue domande, i suoi giudizi.


Le trattative di pace a Parigi, le diffidenze resistenti sulla penisola infuocata

Il Vietnam del Sud in linea di principio ha accettato di partecipare alle conversazioni di Parigi, la sua delegazione è partita, una delegazione assai rappresentativa e vasta, ma le conversazioni, anche dopo il cambio della guardia alla Casa Bianca, non sembrano dare alcun frutto 

Qual è, nella dura schermaglia politica e procedurale in corso a Parigi, la posizione di Saigon? Indubbiamente sembra di notare che Saigon non è contenta della posizione e dei passi fatti dagli Stati Uniti senza il suo consenso, ma nemmeno di questa considerazione si può essere sicuri per molti piccoli fatti che sembrano contraddire le posizioni ufficiali. 

I discorsi di Ky a Parigi, antiamericani ed intransigenti, sono noti ormai a tutti. Ma Ky ritornato a Saigon per le vacanze di Natale e di fine d'anno e per consultazioni con il capo dello stato ha fatto dichiarazioni molto diverse: in pratica ha proposto di trattare con il Fronte direttamente a Saigon senza americani ed Hanoi quindi. Sarebbe un riconoscimento non legale ancora una volta pratico ma le parole possono assumere molte sfumature. 

La voce che in altra parte ho riportato, che vuole tutta una finta la posizione di Thiéu e di Ky, trova conferma in alcune disposizioni militari e civili di queste ultime settimane. 

Centinaia di migliaia di contadini o di pescatori in villaggi non sicuri o controllati del tutto dai vietcong vengono spostati celermente in posti sicuri, di preferenza lungo le strade nazionali oppure vicino ai campi militari americani o vietnamiti. Niente giustifica lo spostamento se non una preparazione immediata di future elezioni alle quali parteciperebbero anche i vietcong: lo stato quindi in pratica cerca di controllare il maggior numero di voti. Infatti dove saranno presenti i vietcong i voti saranno per i vietcong e dove saranno presenti i soldati nazionalisti o gli americani i voti saranno per Saigon. E' una corsa che è incominciata segretamente ma assai comprensibile: del resto l'atteggiamento dei vietcong di aumentare senza motivo chiaro gli atti di guerriglia e soprattutto di terrorismo mostra la loro volontà di rispondere il meglio possibile a queste iniziative. 

L'idea delle elezioni va entrando piano ma efficacemente anche nella logica dei cattolici e per questo loro si preparano ad esse unendosi per trascinare con la loro influenza anche altri strati della popolazione. 

A Saigon in questi giorni se ne parla apertamente in certi ambienti pur mostrandosi pessimisti: si continua a ritenere che saranno i vietcong a vincerle e non perché sono la maggioranza ma perché incuteranno terrore, perché soprattutto l'accettare le elezioni è una dimostrazione della vittoria del Fronte di Liberazione Nazionale. 

Il Fronte nelle città ha poi intensificato la sua propaganda politica, le cellule comuniste sono attivissime, i volantini, la stampa, i meetings per l'indottrinamento coprono molti quartieri popolari in cui la polizia non ha il coraggio di entrare e forse non è mai entrata. Io stesso mi sono sentito interpellare su cosa pensavo di Hò-Chi-Minh da un taxista (i taxisti sono l'organizzazione più rossa assieme agli uomini dei ciclo), e il taxista mi ha detto che era dell'organizzazione ed ha accettato una lunga conversazione: il tutto perché ero italiano e non americano: «Khòng phai là nguoi My, tòi nguoi Y!» (Io non sono americano, sono cittadino italiano). 

Saigon (anche se segretamente) ha accettato che gli americani si ritirino dal Vietnam: nel 1969 dovrebbe essere sui duecentomila uomini a partire. La tesi di Washington è che in caso di elezioni saranno i governativi a vincerle, ma essi restano nel dubbio ancora sulla validità di questi calcoli americani.

E' vero anche che pur ritirando gli americani la maggior parte dei loro uomini, se in Vietnam resta la Navy, la Air e i Corpi speciali la guerra può continuare con lo stesso risultato, anzi può guadagnare in elasticità ed efficacia.

E' di questi giorni l'uso delle bombe più pesanti mai usate nel mondo a parte le bombe atomiche. I bombardamenti di B 52 sono intensissimi lungo le frontiere e nei posti di concentrazione nemica, nel Laos poi l'intensità dei bombardamenti sta superando quelli del Nord: 600 missioni al giorno.

Ecco perché non è chiara né la posizione di Saigon né quella degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti parlano di pace, di conversazioni e la guerra qui diviene più efficace. Saigon parla contro le conversazioni, si ridicolizza in posizioni di sfida all'opinione pubblica nazionale e mondiale, ma allo stesso tempo si prepara alla pace cercando di controllare il maggior numero di voti possibile.

Nella città di Saigon ed altrove giorno e notte tutte le strade sono guardate dalla polizia in assetto di battaglia, gli arresti sono massicci: in Asia non c'è miglior cosa per farsi rispettare che l'uso della forza e Saigon cerca di farlo.

Si prepara alle future elezioni anche con un cambiamento di governo smentito continuamente ma che sembra certo, in cui uomini non bruciati dalle dichiarazioni di intransigenza potranno digerire e far digerire l'accettazione delle conversazioni di Parigi e delle sue soluzioni.

Chiaramente anzi si riparla di un possibile colpo di stato che dovrebbe non solo rovesciare il governo ma anche Thiéu e Ky democraticamente eletti. Thiéu e Ky dovrebbero essere costretti a dare le dimissioni sia per salvare la loro faccia sia per fare accettare la partecipazione del Fronte. Ma una simile tattica avrebbe senz’altro ripercussioni assai gravi nella popolazione: ancora un segno di disfatta per il popolo.

Ma cosa in pratica dovrebbe decidere Parigi al di là di queste elezioni?

Il complicatissimo problema indocinese ad un esame sintetico sembrerebbe assumere piuttosto una semplicità straordinaria.

Analizzando le dichiarazioni americane e quelle del Fronte di Liberazione Nazionale e ancora quelle di Hanoi ci si accorge che in molti punti America e Hanoi sono vicini e quasi usano le stesse parole.

I quattro punto di Hanoi, i cinque punti del Fronte di Liberazione Nazionale chiedono il ritiro delle Forze militari americane, la cessazione delle ostilità contro il Nord, il rispetto dei patti di Ginevra, lasciare ai vietnamiti la soluzione dei loro problemi e la loro volontà di riunificazione.

Gli Stati Uniti del resto hanno sempre dichiarato che devono essere i vietnamiti stessi a risolvere i loro problemi, che i patti di Ginevra possono essere ancora una volta la base dei colloqui, che loro non hanno intenzione di lasciare nell'Indocina basi americane e truppe dopo il conflitto, che si può discutere per un riconoscimento del Fronte. Anche loro chiedono però il ritiro di tutte le forze del Nord dal Sud Vietnam, la cessazione degli atti di guerra del Fronte d Liberazione, il rispetto di Ginevra.

Poco importa che siano stati proprio gli Stati Uniti a appoggiare il governo di Diém per impedire che la Francia facesse rispettare nel 1956 i patti, che ci fossero le elezioni, poco importa che siano stati proprio loro ad imporre nel Sud un governo fantoccio, corrotto, incapace, e a dare così quasi l’occasione ad Hanoi e ai dissidenti del Sud di fondare il Fronte di Liberazione Nazionale e di dare al movimento una sostanziale giustificazione.  

E' vero però che anche Hanoi non ha rispettato Ginevra più di Washington con la differenza che Washington e Saigon non avevano firmato i patti, mentre Hanoi sì. Le armi dal Sud Vietnam non furono mai completamente ritirate, il Fronte è stato armato da Hanoi, dalla Russia e dalla Cina, tutti paesi che avevano firmato a Ginevra, e non solo armato ma sostenuto diplomaticamente, finanziariamente e rifornito di uomini e di direzione militare unificata con la repubblica del Nord Vietnam.   

Su queste posizioni le conversazioni di Parigi assumono così una colorazione ambigua e falsa.

Le conversazioni otterranno la partenza delle truppe degli americani (non prima del '70 ad ogni modo), forse otterranno anche un parziale ritiro delle truppe del Nord, forse chiederanno delle elezioni «libere» per sapere che governo si vuol dare il Sud. Il Nord chiederà all'America un risarcimento di danni di guerra per i bombardamenti subiti per quasi quattro anni. Ma in tutte queste misure non c'è niente per risolvere il problema vero.   

Hanoi vuole conquistare il Sud perché crede suo diritto esigere la riunificazione del paese impedita da Ginevra sotto il domino comunista.

Il Fronte di Liberazione Nazionale vuole anch'esso conquistare il potere a Saigon per un governo popolare che poi i realizzerà la riunificazione. 

Hanoi e il Fronte di Liberazione Nazionale si presentano a Parigi non vinti, con un sostegno di opinione pubblica mondiale non indifferente Se non sono vinti perché dovrebbero cedere nei loro desideri?   

L’America è nel Sud Vietnam per difendere il mondo libero – dice – per sostenere il governo democratico di Saigon a mantenersi fuori dal mondo comunista, ad aiutare i sudvietnamiti che non vogliono saperne del comunismo, a combattere un movimento di sovversione imposto dal Nord sotto pretesto di ideologia. Anche l’America e Saigon vanno a Parigi non vinti, anzi.

Le due parti cercano di bluffare quindi nelle conversazioni sicure di poter difendere le loro posizioni con altri mezzi al di là della guerra e anche dei trattati.

Una soluzione sarebbe imporre le elezioni del Sud con la partecipazione del Fronte, elezioni che chiedano solo una nuova camera e un nuovo senato in cui tutte le posizioni siano rappresentate. Un referendum in pratica tra il governo di Saigon e quello del Fronte di Liberazione.

L'America molto probabilmente accetterà questa soluzione delle elezioni perché è sicura di poter farle vincere a Saigon. Ma anche il Fronte potrebbe accettarle perché anche il Fronte pensa di poterle vincere. E Saigon dovrebbe accettare la volontà del suo alleato padrone e dei suoi nemici. Saigon cerca di opporsi perché sa che la sua forza è nulla. Una volta partiti gli americani (sono stati gli americani stessi a voler Saigon debole), se ci saranno le elezioni i vietcong con il terrorismo, con i soldati e l'aiuto del Nord le potranno facilmente vincere. Fra l'altro la partenza dei soldati americani è facilmente controllabile, ma chi si rende garante della partenza delle forze del Nord? Chi si rende garante che i sudvietnamiti potranno votare liberamente e senza la pressione del Fronte?

Oggi i vietcong controllano dal 40 al 50% della popolazione ma ciò non vuol dire che questa popolazione sia comunista volontariamente: questi saranno obbligati a votare comunista. E non solo questi, una volta partiti gli americani sicuramente la paura farà riversare verso il Fronte molti altri strati di popolazione. Chi potrà assicurare la libertà delle elezioni? L’incapacità dell'ONU, delle Commissioni internazionali ormai tutti la conoscono.

Del resto lungo questi anni un sentimento e un desiderio di partecipare al mondo libero la maggioranza dei sud-vietnamiti l'ha dimostrato. Il Fronte è potente ma è restato una minorità, potenti gruppi sono non solo anticomunisti ma anche antinordisti, senza parlare dei rifugiati del '54 che ieri erano un milione ma che oggi sono diventati quasi due milioni ed hanno una potenza politica, militare ed economica non indifferente. 

La soluzione potrebbe e vorrebbe che il Fronte partecipasse alla vita politica democratica del Sud, rispettandone le istituzioni, vorrebbe che il Sud acquistasse veramente una libertà di governo, una serietà d'amministrazione ed un impegno verso il bene comune e anche una tinta di nazionalismo che studiasse il modo migliore di riunire i due Vietnam che la sofferenza della guerra ha duramente provato. Ma simili soluzioni si possono scrivere sulla carta ma non imporre e nemmeno ottenere ipso facto. 

E' in questo contesto che l'influenza della politica mondiale potrebbe forse dare una soluzione alla guerra del Vietnam.

Per secoli il Vietnam è stato una nazione nemica della Cina nonostante gli influssi culturali e religiosi. Nazionalismo qui vuol dire soprattutto odio alla Cina e questo al Nord come al Sud.

Oggi però l'ideologia comunista e soprattutto l'aiuto dato dalla Cina al movimento di indipendenza del Sud Vietnam (già ai tempi di Chiang Kai Shek i vietminh erano formati nel Sud della Cina e dalla Cina aiutati contro i francesi), e nel movimento di lotta contro l'America, ha riavvicinato i vietnamiti ai cinesi.

Per la Cina, se è un grosso problema avere delle basi americane in Indocina, non è affatto un grosso problema accettare un cuscinetto di stati in parte a lei favorevoli e in parte neutrali che mettano un po' di distanza dai suoi nemici giurati. Ginevra nel '62 ha creato la neutralità del Laos, la Cambogia stessa è neutrale, la Birmania anche non si lega a nessun paese. Per rendere garante la neutralità di questi stati c'è poi la sicurezza del Nord Vietnam saldamente comunista. Per tutte queste considerazioni la Cina non dovrebbe trovare molti problemi per accettare una semi-neutralità anche del Sud Vietnam. 

Per gli americani anche, adesso che si sentono più sicuri del Sud-Est asiatico e specie nell'Indonesia, potrebbe essere facilmente accettabile uno spostarsi di basi un po' più a Sud anche se pensano che Formosa non potrà dopo la morte di Chiang Kai Shek continuare ad avere la stessa importanza. Importanza riacquisterebbe la Corea. La Corea e il Sud Vietnam sono legati tra di loro già dalla prima guerra d'Indocina. Se la pressione aumenta in Corea si scarica nel Sud Vietnam e viceversa: la pressione insomma del Sud Vietnam stavolta potrebbe scaricarsi in Corea. E la pressione in Corea è più sostenibile che nel Sud dato che non c'è una guerra combattuta e che il governo fa meno sbagli dopo l'eliminazione di Rhee.

La Cina potrebbe ancora guadagnare dalla diminuzione della tensione nel Sud Vietnam con la possibilità di intraprendere relazioni economiche e diplomatiche a lei favorevoli con il mondo occidentale e forse con la stessa America.

Anche la Russia potrebbe guadagnarne nella sua volontà di distensione, di limitazione degli armamenti per poter tener passo al suo piano di sviluppo.

Così Cina e Russia potrebbero imporre al Nord Vietnam e al Fronte di Liberazione Nazionale un rispetto della democrazia e della neutralità del Sud. Il Sud potrebbe anche accettare un 20-25% comunista non tanto al governo quanto alle camere; dato che il Fronte è una realtà innegabile. Al Sud e alla sua parte sinceramente democratica ed anticomunista spetterebbe il compito di difendere le sue istituzioni nel caso i comunisti tentassero ciò che fecero in alcuni stati dell'Est dell'Europa; ma con un anticomunismo che non fosse una dittatura bensì una politica d'onestà, di libertà, di riforma sociale, di governo per il bene comune.

E in questa linea i cattolici, i rifugiati del Nord, i caodaisti, potrebbero avere il ruolo principale: i buddisti potrebbero con la loro volontà di neutralità e di pace fare da cerniera, se sapranno mantenere la loro indipendenza.

Ma c'è anche l'altra soluzione che ormai molti ritengono inevitabile: la comunistizzazione del Sud e la lenta unione con il Nord.

Soluzione ingiusta, perché la maggioranza dei 17 milioni di vietnamiti del Sud non è per il comunismo. Ma anche soluzione lungamente preparata dal coraggio del Fronte di Liberazione Nazionale, dalla resistenza di Hanoi all'aggressione americana ed anche dai mezzi illegali, di terrore, di sovversivismo, di guerriglia, d'indottrinamento, dalle liquidazioni sistematiche di innocenti che si opponevano al loro lento salire.

Il Sud potrebbe diventare comunista: il comunismo in altre nazioni è salito al potere con meno aderenti e con più debolezza. Ma se il Sud diventa comunista il mondo libero deve accettare altri Vietnam nel Sud-Est asiatico e in altre parti del mondo. Non è la teoria del dominio che anche noi ripetiamo, piuttosto è la logica asiatica e dei popoli deboli che ci si limita a constatare. Se il comunismo si mostra il più forte i popoli deboli si mettono con i comunisti: sarà l'inizio della caduta del dominio dell'America nel Terzo Mondo. Una lenta caduta, ma gli anni ne registreranno il progresso.

Ma al di là di queste ripercussioni mondiali ci sarà il dramma e l'angoscia dei milioni di sud-vietnamiti che a lungo hanno resistito al Fronte di Liberazione Nazionale. Ci sarà l'angoscia dei rifugiati del Nord che si vedono di nuovo in mano dei loro boia. Il comunismo non perdona nella sua logica: le eliminazioni di cui siamo testimoni oggi nelle campagne e anche nelle città sud-vietnamite saranno moltiplicate. L’avvento di Hò Chi Minh al potere del Nord dopo Ginevra fece 800 mila vittime. L’avvento al potere nel Sud del Fronte di Liberazione Nazionale registrerebbe primati ben maggiori. Le carestie e i morti di fame registrati nel Nord dopo il montare al potere dei comunisti qui con il salire al potere del Fronte si ripeteranno. E poi senza l’aiuto dell’America il Sud è alla fame. Le sue industrie sono distrutte, le sue risaie distrutte, il suo commercio sarà subito annullato, la presenza straniera (una presenza che porta anche ricchezza) costretta a lasciare il paese. Sarà un tornare indietro, un salto nell’angoscia nella disperazione che forse costringerà non pochi a prendere il bosco, ad iniziare la guerriglia. Ma si sa che i movimenti di libertà nel mondo comunista finiscono sempre in fretta: Berlino, Budapest, Praga, sono esempi drammatici.

Eppure non doveva essere così. Solo se il mondo occidentale non si fosse caricato di colpe nella prima guerra d'Indocina, solo se il mondo occidentale non si fosse caricato di colpo accettando nel silenzio la politica di Washington: a Saigon già dal 1954 sotto la giustificazione della solidarietà.

Bisogna ricordarsi ora per il futuro che simili sbagli presto o tardi si pagano tutti. 


Fonte: Gianfranco Murtas
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