user profile avatar
Gianfranco Murtas

Bovio e Allende nella storia della democrazia. Poi Chiarle e Masala, l’ispirazione etica della Libera Muratoria nel vissuto pubblico

di Gianfranco Murtas

article photo


«E io, che sono medico e che sono stato cinque anni Presidente del Collegio Medico del Cile… devo segnalare con il dolore di un cileno ciò che sicuramente succede presso altri popoli: 600.000 bambini della mia patria… sono ritardati mentali perché non hanno avuto proteine nei primi 6 mesi della loro esistenza. Di fronte a questa realtà non si può essere conformisti. Di fronte a questo scenario si devono portare nel mondo profano i principi che mi hanno insegnato e che ho appreso nell’Ordine.

«Per questo ho combattuto, e per questo mi considero non un Presidente vero e proprio, ma piuttosto un portavoce del popolo… giacché ho questo patto con la mia coscienza, il patto di un massone con la coscienza di un massone, con la Storia e con la mia Patria.

«Tutto ciò significherà rappresaglie: ferire interessi è duro, e che questi interessi si difendano lo sappiamo e già lo stiamo vedendo…».

II patto di un massone con la coscienza di un massone 

Parole di Salvador Allende alla Gran Loggia colombiana del 1971, un anno dopo l’inizio della sua esperienza nel palazzo santiagheno de la Moneda. Parole di massone diventato presidente della Repubblica del suo paese: parole che tessono una unica trama con i fili dell’etica e della politica, della democrazia e della Libera Muratoria. Parole che “meriterebbero”, insieme con l’intero discorso del presidente cileno, una lettura serena e attenta, direi religiosa, nelle logge anche di Cagliari: anzi, lo “esigerebbero”, dopo che un imbecille senza testa ha trafitto anche lui montando una orribile scena con il volto di Giovanni Bovio su uno dei generali golpisti nel Cile del 1973. I golpisti che assediarono il palazzo della presidenza e portarono Salvador Allende all’estremo sacrificio per la dignità sua e dei suoi ideali.

Ho già proposto la prima parte di quell’intervento in Gran Loggia, presento oggi la parte centrale e quella conclusiva:  

«Siamo convinti che non potremo sconfiggere il sottosviluppo e l’ignoranza, così come la miseria morale e fisiologica, se non utilizziamo le eccedenze della nostra economia per seminarle in scuole, vie, fattorie coltivate con tecnica moderna; per ottenere, nella nostra propria patria, il beneficio di quello che legittimamente ci appartiene. 

«Perché si possa intendere la nostra posizione, posso illustrare come esempio cosa succede in Cile con il rame: questa ricchezza fondamentale per noi, pilastro della nostra economia, rappresenta l’82% delle esportazioni, e produce il 24% delle entrate fiscali. E il rame è stato sempre maneggiato da mani che non sono cilene. Gl’investimenti iniziali delle società americane del rame, 50 anni fa, non superarono i 13 milioni di dollari. E nel corso di questi anni sono usciti dal Cile 3.200 milioni di dollari, che sono andati a fortificare i grandi imperi industriali.

«In queste condizioni, come possiamo progredire? Com’è possibile che un popolo, che possiede le più grandi riserve di rame del mondo e la più grande miniera del mondo, Chuquicamata, non può controllare prezzi, né livelli di produzione, né mercati, quando una variazione di un centesimo di dollaro nel prezzo della libbra di rame rappresenterebbe per il Cile un maggior introito di 12 milioni di dollari?

«Com’è possibile che questo, che chiamo “il salario del Cile”, sia maneggiato da mani che non sono cilene? Cari Fratelli, dichiaro solennemente che in questa decisione nostra, di riscatto delle nostre ricchezze fondamentali, non esiste nessuna volontà discriminatoria, né contraria ai popoli. Rispettiamo gli Stati Uniti come nazione; conosciamo la loro storia e comprendiamo perfettamente la frase di Lincoln quando disse, riferendosi alla sua patria: “Questa nazione è metà libera e metà schiava”. Queste stesse parole, questa stessa frase, si possono applicare ai nostri popoli apparentemente liberi, però schiavi nella realtà moderna. Per questo abbiamo lottato e per questo siamo combattuti.

«Ho esposto l’esempio del rame, e potrei parlare del ferro, dell’acciaio, del carbone, dello zolfo, e potrei parlare anche della terra. In un paese che può alimentare 20 milioni di abitanti o forse più, si importano carne, grano, grassi, burro e olio, per un valore di 180-200 milioni di dollari. Se dovesse continuare l’aumento della popolazione al tasso del 2,9% all’anno, nel 2000 il Cile dovrebbe importare 1.000 milioni di dollari in alimenti. In questo momento, la totalità delle esportazioni cilene sono dell’ordine di 1.200 milioni di dollari all’anno, dei quali il rame rappresenta 1.030 milioni.

«In queste condizioni non potrebbe essere trascurata la necessità di una profonda riforma agraria, che è parte del processo di sviluppo economico di un paese. E non si tratta solamente di un cambio di proprietà della terra, ma dell’elevazione del livello intellettuale e morale del lavoratore della terra. Abbiamo fatto nostra la frase di Tupac-Amaru, il cacicco del Perù, quando disse ai suoi indios: “Il padrone non mangerà più della tua fame”. Abbiamo voluto che il lavoratore della terra ottenesse il diritto a mangiare anche lui di ciò che la terra produce.

«E io, che sono medico e che sono stato cinque anni Presidente del Collegio Medico del Cile, mentre ero un battagliero senatore socialista, che conosco la vita di associazione di categoria, che posso dire con soddisfazione ai miei Fratelli che i medici del mio paese mi hanno sempre stimato e mi stimano, devo segnalare con il dolore di un cileno ciò che sicuramente succede presso altri popoli: 600.000 bambini della mia patria, una patria, Serenissimo Gran Maestro, che ha raggiunto i livelli politici anzidetti, sono ritardati mentali perché non hanno avuto proteine nei primi 6 mesi della loro esistenza. Di fronte a questa realtà non si può essere conformisti. Di fronte a questo scenario si devono portare nel mondo profano i principi che mi hanno insegnato e che ho appreso nell’Ordine.

«Per questo ho combattuto, e per questo mi considero non un Presidente vero e proprio, ma piuttosto un portavoce del popolo, che deve compiere senza tentennamenti il programma che presentò al popolo; giacché ho questo patto con la mia coscienza, il patto di un massone con la coscienza di un massone, con la Storia e con la mia Patria.

«Tutto ciò significherà rappresaglie: ferire interessi è duro, e che questi interessi si difendano lo sappiamo e già lo stiamo vedendo. Però fino a quando i popoli di questo Continente accetteranno di essere maneggiati con un controllo a distanza? Nel corso di vent’anni si è parlato di Fondo Monetario Internazionale e della convertibilità della moneta in oro. E dalla notte alla mattina, quando interessa al paese egemonizzatore, si cambiano le regole del gioco e si colpiscono le nostre deboli economie.

«Per quindici, vent’anni abbiamo visto che non è potuta entrare alle Nazioni Unite la Repubblica Popolare Cinese, un paese di 900 milioni di abitanti. Però quando conviene ai problemi interni di un paese, alla vigilia delle elezioni, si può dichiarare che si riconoscerà la Cina, e può andare in Cina il Presidente degli Stati Uniti a conversare con Mao Tse Tung. Però noi non possiamo farlo prima.

«Fino a quando non riusciremo a vedere che abbiamo diritto di tracciare il nostro proprio cammino, a ricorrere il nostro proprio sentiero, a prendere in mano le bandiere libertarie dei fautori dell’indipendenza di questo Continente per convertirle in realtà, perché questo è il compito che ci affidarono? Se questo è essere rivoluzionario, io dichiaro di esserlo, e se questo è essere massone, anche in questo caso dichiaro di esserlo.

«E posso dire ai cari Fratelli della Gran Loggia di Colombia che nella mia Patria non c’è nessun uomo incarcerato (per le sue idee, n.d.t.), nella mia Patria non c’è un solo detenuto politico, nella mia Patria si rispettano tutti i diritti. E questa notte ho avuto il piacere di giungere a questo Tempio accompagnato dall’Ambasciatore del Cile in Colombia, il caro Fratello Hernàn Gutiérrez. E con noi è venuto anche il Direttore Generale dei Carabineros, Generale José María Sepùlveda, anche lui un nostro Fratello, ed egli sa perfettamente, come lo sa il caro Fratello Gutiérrez, che è certo quello che sto affermando.

«E se ci fosse tuttavia la necessità di trovare un testimone, è qui presente un Fratello che vide in questo Tempio la luce massonica, poiché è Colombiano. Si tratta dell’Ambasciatore di Colombia in Cile, che non ha dimenticato di essere massone, e io ebbi la gioia e la fortuna di salutarlo e stringergli la mano dopo il trionfo delle urne, in un Tempio Massonico, dove venne essendo diplomatico, come entra Gutiérrez nelle Logge (colombiane, n.d.t.) per assolvere al suo obbligo massonico.

«Per questo sostengo che a giudicare dal clima creato prima e durante le elezioni, verranno fatti molto più gravi, che dovremo affrontare. Però, anche se esistono governanti o governi che credono legittimo difendere gli interessi di pochi, seppure molto potenti, io sostengo il diritto di difendere l’interesse del mio popolo e della mia Patria, contro gli interessi di pochi. Se qualcuno pensa che in questo momento le minacce materiali possono piegare i popoli, si sbaglia.

«Gli Stati Uniti devono apprendere la lezione del Vietnam. E la lezione del Vietnam è una lezione per tutti i paesi piccoli, perché è la lezione dell’eroismo e della dignità. E mentre ci sono paesi che spendono centomila milioni di dollari all’anno in un Continente che non è il loro, per impedire a un popolo di darsi il destino che vuole, c’è un’America Latina che deve stare con le mani tese e implorante, per poter ottenere piccoli prestiti, gocce di latte dalle grandi mammelle del paese più poderoso del capitalismo. Anche se da questo Continente nell’ultimo decennio sono usciti, per il principio d’ammortizzazione di capitali e interessi, molti più milioni di quelli che sono entrati come investimenti esteri. L’America Latina, un Continente povero, è esportatore di capitali, al contrario del paese più poderoso del mondo, il paese del capitalismo internazionale».

Si romperanno le dighe e la marea umana irromperà

Parla ai suoi Fratelli massoni a Bogotà, Allende: ai colombiani certamente, ma anche a tutti quelli che compongono le rappresentanze nazionali ospiti, ai suoi Fratelli dunque dell’intero continente latino americano e forse anche del Nord America e dell’Europa. Sa che la stessa Libera Muratoria del suo paese è divisa: una parte soffre con lui, una parte – coinvolta in relazioni d’affari o professionali con gli Stati Uniti – teme le conseguenze di una politica riformatrice e di nazionalizzazioni e manifesta insoddisfazione e riserve ed ostilità (ne riferirà in Italia l’ex Gran Maestro Gamberini scrivendone nella Rivista Massonica). Dice Allende: «… è la nostra lotta, ed è per questo che uso questo linguaggio, che è il linguaggio della chiarezza, come sono obbligato a farlo davanti ai miei Fratelli. È una lotta frontale che non si svolgerà solo in Cile…».



Sembra prefigurare quelle ostilità internazionali di cui vede una anticipazione nelle mosse ostili di soggetti importanti della economia e della politica del suo paese, sa di quelle ostilità dagli avvisi che certa diplomazia gli ha già notificato. Ma sa che per la libertà “fatta cosa”, cioè come matrice di giustizia non soltanto distributiva e per il consumo ma produttiva e per la cittadinanza piena, bisognerà ancora lottare e non arrendersi. La forza della storia è nei popoli: pare di sentire una eco della Populorum Progressio di papa Paolo VI, della sua enciclica del 1967, uscita giusto alla fine della lunga stagione conciliare e che ha dato spirito di vangelo alla Chiesa latino americana, come lo stesso Allende riconoscerà in fine del suo discorso. «… Le leggi repressive non possono calmare la fame dei popoli. Potranno forse ritardare per qualche anno, forse anche una generazione. Però, presto o tardi, si romperanno le dighe e la marea umana irromperà; però questa volta con violenza…». Lo racconta la storia dell’anticolonialismo.

Offro queste riflessioni di Salvador Allende – mi pare giusto ripeterlo – all’indomani del trambusto che a palazzo Sanjust, a Cagliari, ha visto divisi quelli che dovrebbero solidarizzare (e hanno solidarizzato) con i principi ideali e morali di tanto testimone della miglior storia da quell’altra parte dei… nicodemici impauriti anche dal dover esprimere una opinione, stretti come sono fra l’onesta e pura idea e il desiderio di non umiliare ulteriormente quei massimi dignitari che da soli si sono imprigionati in una difesa dell’indifendibile: ché non si insultano i vertici della Repubblica, non si ridicolizza la ritualità hiramitica, non si spupazzano i monumenti carichi di storia e idealità, non si posta un ghigno fallico a completare l’opera del turpiloquio insulso e immotivato oltre che volgare...

Leggo le parole di Salvador Allende ed ho davanti agli occhi lo scempio di un montaggio fotografico messo su da uno che mi han detto essere fra i dignitari di livello del GOI cittadino. Avverto l’incompatibilità morale e intellettuale fra i due mondi, sento quanto artificiosa e inutile possa essere la colla che volesse saldare la sabbia bagnata del nostro Poetto ai tranciati degli Antichi Doveri britannici fattisi universali. 




Ecco Allende: «È per questo che questa è la nostra lotta, ed è per questo che uso questo linguaggio, che è il linguaggio della chiarezza, come sono obbligato a farlo davanti ai miei Fratelli. È una lotta frontale che non si svolgerà solo in Cile: si sta scatenando in tutte le parti del mondo, perché stiamo vivendo il momento di trascesa, in cui i vecchi sistemi scricchiolano, ed è nostro obbligo stare con gli occhi aperti rispetto a ciò che succederà domani, analizzando se siamo capaci di incontrare quegli alvei che permettano alle grandi masse continuare un cammino che non sia quello della violenza inutile.

«L’ho detto nel mio Paese, e lo ripeto qui tra i Fratelli di Colombia: io non sono una diga, però sono sì l’alveo nel quale il popolo può camminare con la sicurezza che i suoi diritti saranno rispettati. Le valanghe della Storia non possono essere trattenute. Le leggi repressive non possono calmare la fame dei popoli. Potranno forse ritardare per qualche anno, forse anche una generazione. Però, presto o tardi, si romperanno le dighe e la marea umana irromperà; però questa volta con violenza, una violenza a mio giudizio giusta, perché la fame e la sofferenza sono più che millenarie in molte parti, e centenarie nel nostro Continente.

«Se vecchie istituzioni come la Chiesa vedono trasformarsi i contenuti della loro propria esistenza, se i vescovi riuniti in Medellin usano un linguaggio che solo cinque o dieci anni fa sarebbe apparso rivoluzionario, è perché hanno compreso che debbono recuperare il Verbo di Cristo, se vogliono salvarsi come istituzione. Perché, se continuano a far sì che essa sia compromessa permanentemente con gl’interessi di pochi, nessuno domani crederà nell’insegnamento di colui che la dette: il Maestro di Galilea, rispettato da me perlomeno come uomo».

Direi io: da quel mondo è venuto un uomo come papa Bergoglio.

Sognando l’iniziazione e interrogandosi sui doveri della vita pubblica

«Sogno la notte dell’Iniziazione, quando ascoltai queste parole: “gli uomini senza principi ed idee ferme, sono come quelle imbarcazioni che, perso il timone, si incagliano sugli scogli”. Voglio che i Fratelli di Colombia sappiano che non perderò il timone costituito dai miei principi massonici»: ecco Salvador Allende che rinnova nel maggior consesso e nel maggior Tempio simbolico e rituale gli obblighi di coscienza assunti quella sera di trentatré anni prima.

E ripete ancora, idealmente, quel che scrisse, allora meno che trentenne, nel suo Testamento, in quel modestissimo foglio di carta che lo interrogava sul sé e sulla sua patria, e sulla patria-mondo, sull’umanità cioè: «che un domani, una volta compiuto il mio mandato, possa entrare nel mio Tempio, così come sono entrato ora in qualità di Presidente del Cile».

Vorranno a Cagliari le logge le logge Hiram e Sardegna, Kilwinning ed Europa, le logge Sigismondo Arquer e Alberto Silicani e Nuova Cavour e Temple e Giorgio Asproni e Libertà, le logge Athanor e Francesco Ciusa e Lando Conti e Concordia e Opera ed Enrico Fermi, le logge Heredom ed Armonia e Armando Corona e Risorgimento e Tetraktis, le logge Mediterranea e Quatuor Coronati e Giordano Bruno e Hur, le logge Wolfgang A. Mozart e Rudyard Kipling e le loro consorelle della intera circoscrizione sarda – tutte indistintamente umiliate dall’uscita di senno e dalla volgarità di uno, o forse due o tre, e dal comportamento omertoso di chi avrebbe dovuto, per obbligo istituzionale, intervenire con nettezza e tempestività a rimediare e sanzionare –, vorranno esse unirsi tutte, leggendo in santa tornata rituale come si trattasse di una balaustra del Gran Maestro, questo discorso sapiente ed etico del Fratello martire Salvador Allende? Per riparare al delitto compiuto nella condivisa sede di palazzo Sanjust.

Nulla c’è, in quel discorso, di partigiano nel senso negativo che può darsi alla parola in versione di opzione politica: quel discorso svolto nella Gran Loggia di Colombia, per riparare al malfatto e subìto e tollerato a palazzo Sanjust, con tutto il resto delle offese alla memoria democratica e liberomuratoria di Giovanni Bovio, delle offese alla secolare ritualità hiramitica («permuto la bara dell’Architetto Hiram per una canna da pesca»), delle offese al presidente Mattarella, al presidente Napolitano, al presidente Fico –, potrebbe anzi indurre a costruire ponti buoni e di gemellaggio dalla Sardegna con logge del sud America e della Colombia e del Cile in particolare. Potrebbe essere un modo per ricomporre e cambiare pagina.

Ad Allende pensò la Fratellanza cagliaritana nella primavera del 1971, soltanto tre o quattro mesi prima del richiamato discorso tenuto a Bogotà: ne prese l’iniziativa il Fratello Antonello Satta, un intellettuale di area socialista (ma di provenienza comunista: aveva abbandonato il PCI dopo i fatti di Ungheria del 1956), studioso di prim’ordine di antropologia culturale, giornalista e saggista fra i più acuti degli anni ’60 e ’70 in Sardegna: egli propose alla sua loggia – era la Sigismondo Arquer n. 709 – un passo del libro di Regis Debray dal titolo La via cilena. Si trattava di una lunga intervista al presidente Allende comprensiva di alcuni espliciti riferimenti alla Massoneria: «E ciò è della massima importanza – disse allora Satta – in quanto, nella storia della umanità, è la prima autorità politica di tale livello che affronti apertamente un tema squisitamente massonico».

Frequentando e studiando le matricole delle logge sarde del Grande Oriente d’Italia – ne ho schedato oltre ottocento nel settantennio 1861-1925 e circa 300 nel trentennio 1944-1974 (anno di passaggio all’Oriente Eterno di Alberto Silicani ed anno scelto per separare la storia dalla cronaca) io credo d’avere piena contezza del tesoro assoluto dei valori umanistici, intellettuali, civili e professionali che hanno alimentato le Camere massoniche isolane, così nell’Ordine come nei Riti. Per lunghi anni, non saprei se anche in questi recenti (ma forse talvolta sì e talvolta – per quanto riferito dieci righe innanzi – no), dai lavori di comunità – intendo delle logge in orientamento di comunione – si sono materializzati impegni di natura civile e solidaristica degni della missione cui l’antica e nobile istituzione è votata in ogni pezzo di mondo, appunto quindi anche in Sardegna ed a Cagliari. Le testimonianze sono innumerevoli.

Con la stima (perfino appassionata) che debbo alla fatica storica del Grande Oriente d’Italia, con la consentaneità cui mi riporta il suo secolare mazzinianesimo valoriale, con l’amore – posso dirlo? – alle idealità ecumeniche che lo hanno ispirato nelle diverse contingenze e ancora, nonostante le terribili cadute, lo ispirano, avverto che la ferita morale infertale (e aggravata dalle omissioni di ispettori incapaci e maggiori dignitari portati alla vanagloria assai più che alla vigilanza ed all’umile servizio del bene comune) possa trovare molti modi per sanarsi, trasformando il dramma luttuoso in una nuova stagione di vita.

Ripenso in questo contesto ad Aldo Chiarle – savonese come Sandro Pertini – che fu Gran Maestro onorario del Grande Oriente d’Italia come lo furono i nostri Vincenzo Racugno e Bruno Fadda (e mi consento di anticipare qui che, come fatto per Fadda nel decennale della scomparsa, anche per Racugno sto approntando un profilo biografico da presentare, nell’ormai imminente primo anniversario del suo congedo, come omaggio in memoriam; analogo sforzo biografico ho creduto di dover compiere – e il lavoro è già concluso – per il prossimo centenario della nascita di Armando Corona e Mario Giglio: cinque giorni soltanto li dividevano nel calendario dell’ideale levatrice, la vita ha assorbito quella breve distanza temporale facendoli “gemelli”, Maestri della Massoneria sarda per tre capitali decenni nel secolo da poco trascorso e privandoli però forse – per quel che s’é visto negli organigrammi – di degni continuatori).

Socialista come Allende

Ripenso in questo contesto, dicevo, ad Aldo Chiarle Gran Maestro onorario, socialista come Allende, immortalato in una foto – nella sala…degli scempi cagliaritani… con Fratelli locali in un unico scatto, forse in occasione dell’innalzamento delle Colonne della loggia Rudyard Kipling, il 27 maggio 2006. Chiarle, di militanza socialista come Allende e come il nostro Silicani giovane. Quanto era ricca la Massoneria italiana, e quella sarda in essa, quando poteva contare, fra i suoi, su militanti e dirigenti socialisti che portavano in loggia la loro migliore esperienza di vita pubblica, e tutto sapevano combinare in buona armonia con gli altri di parte repubblicana o socialdemocratica o liberale, radicale o sardista (di lealtà italiana s’intende, e lo ripeto sempre: senza insani arretramenti nazionalitari/nazionalisti anticipatori delle incredibili svolte leghiste di rimbalzo dal dio Po e da Pontida). Tracciò una Tavola che non era soltanto di saluto Aldo Chiarle – una vita di coraggio, antifascista e resistente, cittadino onorario di New Orleans, decorato per meriti altissimi dalla Repubblica. Quella sera Davide Cossu, al violino, presentò alcune arie musicali di soggetto massonico, e l’Oratore inoltrò tutti al mondo poetico di Rudyard Kipling. 

Splendida figura Aldo Chiarle, e amico nostro, di noi cagliaritani. A poco meno d’un anno dalla prima visita eccolo infatti nuovamente in città e nel Tempio grande allestito a palazzo Sanjust. 24 febbraio 2007: è ancora la loggia Rudyard Kipling a voler formalizzare l’iscrizione del suo nome fra i membri onorari del piedilista. Lo accoglie il presidente del Collegio Andrea Allieri, lo presenta a tutti il garante d’Amicizia Vincenzo Tuveri (che, nell’occasione estende i riconoscimenti di gratitudine al Fratello musicista Igor Cognolato, ex Maestro Venerabile della loggia 438 l’Union 937 all’Oriente di Venezia «per l’opera instancabile svolta al fine di allacciare e rinsaldare proficue relazioni di carattere transazionale»).

Una gran serata. Il Ven. Piergiuseppe Piano ufficializza l’assunzione di Chiarle nell’organico vivo e vitale della sua officina. Il festeggiato – 81 anni ben portati - ricambia con un dono particolarmente gradito: il suo grembiule, in pelle di pecora, indossato per la sua iniziazione nel lontano 1945. Un autentico cimelio che sarà custodito nella casa massonica cagliaritana (cf. Erasmo, n. 5-6, marzo 2007; credo nella sala che a breve custodirà anche il busto storico di Giovanni Bovio, quello di Giuseppe Mazzini e quello del Gran Maestro Armando Corona, opera quest’ultima di Franco d’Aspro).

 

Compagno ideale di Salvador Allende, alla sua morte il Grande Oriente d’Italia insisterà nel richiamarne la ricchezza del vissuto, a partire dal suo antifascismo: «Militò nella XVI Brigata d’Assalto Garibaldi-VI Divisione Langhe. E’ stato decorato con la Croce di guerra al merito e altre due medaglie per la campagna partigiana. È stato inoltre insignito del diploma d’onore di combattente per la libertà d’Italia (1943-45) rilasciato dal Presidente della Repubblica e della Croce di Combattente dell’Europa conferitagli dal Conseil de la Croix du Combattant de l’Europe (Parigi). Collaboratore e corrispondente di numerosi quotidiani e periodici, ha diretto il quindicinale laico e socialista Liguria Oggi ed è stato autore di inchieste di risonanza internazionale, con articoli e servizi speciali dagli Stati Uniti d’America, Marocco, Jugoslavia, Argentina, Cecoslovacchia, Giappone, Turchia, Francia, Norvegia, Olanda e Canada. Ha collaborato anche con la Rai ed è autore di un centinaio di libri e mezzo milione di pubblicazioni. Con il quotidiano Avanti ha iniziato la collaborazione nel 1945».

Com’era bello quanto i Templi e i Passi Perduti nelle case massoniche di tutt’Italia, ed anche della Sardegna, erano frequentati dai socialisti che ci credevano, e dai repubblicani che ci credevano, e dai liberali che ci credevano, e dai sardisti che ci credevano, dai riformisti e dai radicali che ci credevano, direi anche dai conservatori monarchici che ci credevano, tutti condividendo l’etica umanistica della Libera Muratoria rigorosa nei suoi fondamentali, nell’amor di patria, nella difesa degli ordinamenti civili, nel pensare grave e serio sempre, sempre grave e serio, sempre grave e serio. (Ma oggi, che c’entrano i sovranisti in una istituzione universalista, che c’entra la fiamma tricolore in una istituzione di studio, quella fiamma tricolore che convocò a sé, a guerra finita e perduta, i nostalgici della dittatura duumvirale e di quella nerissima salodiana? che c’entrano gli epigoni di quegli smarriti con una Massoneria che, incorporando la storia, guarda al progresso? essi stanno cambiando le cellule vitali di una corporazione umanistica nata per obiettivi opposti a quelli coltivati dalla destra rozza e volgare cui si sono ispirati anche quelli – vale il plurale? – che hanno mascherato Giovanni Bovio gigante di bontà umana prima ancora che di ingegno, che hanno giocato con fotomontaggi dei campi di concentramento o con i berretti della X MAS, che hanno insultato – lo ripeto ancora – il vertice della Repubblica, che hanno trattato tutto e tutti con il turpiloquio? È Massoneria questa? ha relazione con la Massoneria di Nathan e di Guido Laj e di Armando Corona?). 

Chi volesse un giorno approfondire circa le affinità ideali e politiche della Massoneria sarda nei lunghi anni – tre, quattro decenni – in cui montò il suo sviluppo anche organizzativo, troverebbe molto materiale rivelatore di quanto, a me sembra, molti massoni – o tesserati massoni – d’oggi, attraversati dal nulla valoriale della società liquida, ignorano: che cioè fino ai primissimi anni ’90 i riferimenti alle scuole del pensiero politico erano energia viva nelle logge. Derivazione diretta delle complessità storico-politiche e culturali continentali di almeno centocinquant’anni e insieme matrici di movimenti e partiti, quelle scuole offrivano elementi di arricchimento all’umanesimo che si presentava quale materia condivisa. Altro che nazionalismo sciovinista e frasi fatte come quelle che oggi si sentono nel mercato guasto delle declamazioni, dei monologhi in televisione o in piazze (e spiagge) che non sono mai assemblea.

Un massone chiamato ad essere opinion leader ed elettore di quelli che, anche con la simbologia grafica, si richiamano ai carnefici della democrazia, delle libere istituzioni e del libero associazionismo, della libera stampa, degli stessi liberi muratori – materia di cui è impressionantemente vasta (e agghiacciante) la documentazione – è una contraddizione in termini ed è una bomba disvaloriale immessa nel Tempio. L’ignavia di chi, dovendo vigilare, guarda altrove, all’opportunismo cioè, sta compromettendo il futuro di un Ordine nato per… costruire il futuro faticando nel presente.

Massoneria e marxismo

Ho ricordato come anche a Cagliari, ancora negli anni ’60, ’70 ed ’80, i travagli della politica sapevano mutarsi in energie positive, e gli scambi tra Fratelli – metti nella loggia Hiram o in quella Risorgimento, nella Nuova Cavour o nella Sigismondo Arquer e nelle altre – esprimevano una civiltà dialogica esemplare. Non una cupola, seppure Francesco Bussalai – come altra volta e per esteso documentai – aveva sviluppato una speciale sensibilità a trasferire nella politica, attraverso deputati e consiglieri o assessori regionali o provinciali o comunali, attraverso segretari regionali o di territorio frequentanti i lavori di loggia – alcuni input elaborati fra le Colonne e volti, naturalmente, all’interesse generale, sempre all’interesse generale. Un po’ – azzardo questo parallelo perfino simpatico – come avvenne giusto un secolo prima in quel di Villasor, nel cuore del nostro Campidano: dove la loggia Sivilleri, dopo aver discusso e approvato un ordine del giorno per la fondazione di un ricovero di mendicità e una società di mutuo soccorso, passò… la pratica al consiglio comunale – costituito dagli stessi Fratelli della loggia con a capo il sindaco e Venerabile Michele Vaquer Paderi – per gli adempimenti di competenza.

Ripeto: non come una cupola, evidentemente – l’incidenza numerica dei massoni nelle assemblee legislative o consolari, amministrative ecc. è sempre stata minimale – ma come gruppo di pressione rispettoso delle regole, l’Ordine massonico avrebbe potuto, secondo Bussalai, meglio inoltrarsi nelle ispirazioni normative.

Ma vorrei a questo riguardo ricordare ancora – fermandomi però a livello di elaborazione teorica e sul campo specifico della compatibilità fra Massoneria e marxismo – una discussione che avvenne, in due tempi, fra aprile e maggio 1971 tra i Fratelli della loggia Sigismondo Arquer costituitasi a Cagliari da appena due anni, e in cui pesava certamente la presenza autorevole di Francesco Bussalai, Venerabile in carica allora e già esponente comunista in Consiglio regionale, con un passato di resistente antifascista ed un approdo recente, ma graduale e anzi lento, al riformismo socialista. Partecipante anche il Fratello Anton Francesco Branca, assessore regionale di formazione lussiana che da giovane sardista, per… intemperanze di militante, aveva conosciuto il carcere così come l’aveva conosciuto Bussalai sia come antifascista – in una cella romana vicina a quella di Saragat e Pertini – sia come agitatore politico nella battaglia per l’occupazione delle terre abbandonate. Nel novero anche Secondo Colamatteo, un funzionario dell’ENI appassionato del… comunismo stalinista e benemerito raccoglitore della stampa paleocomunista che costituisce un deposito documentale estremamente interessante anche per la sua dogmatica eccentricità rispetto al PCI di Togliatti e Longo e Natta e Berlinguer…  

(Per chi amasse il genere delle contestualizzazioni – tanto più immagino fra gli attivi della Libera Muratoria che hanno gusto alle lente evoluzioni del Grande Oriente d’Italia nel suo costume interno e nelle sue relazioni internazionali – segnalerei che fu proprio in questa fase che si deliberò l’abolizione delle ottocentesche sciarpe rituali, che rimasero paramenti dei dignitari nelle Camere superiori scozzesi, e l’adozione dei grembiuli in cuoio, e si perfezionò il mutuo riconoscimento con la Gran Loggia Nazionale di Francia, mentre venne annunciato quello prossimo con l’Inghilterra). 

Fu una tornata affollata quella in cui Francesco Masala – Oratore della loggia, sempre coerente a se stesso e personalità carismatica capace di permanente provocazione secondo quanto la sua vasta cultura letteraria gli suggeriva – affrontò la questione Massoneria-marxismo, ben immaginando che pochi, forse, avrebbero condiviso. Ma pure sicuro che compito di un lavoro di loggia non è mai proselitistico, ma semmai… di agitazione di domande per approfondimenti sempre ulteriori e sempre da punti di vista differenti.

Quella volta si era poco meno d’una trentina, e il Tempio di piazza del Carmine accolse anche diversi Artieri delle logge Hiram e Nuova Cavour e della sulcitana Giovanni Mori. Il verbale, subito steso per non perdere la memoria del lavoro proposto dal relatore e degli interventi a seguire (Gardu, Giglio, Carleo, Cusino, Marchi, Ferrara), rivela molto del sentire e del credere degli intervenuti in quella particolare fase storica, all’indomani della invasione cecoslovacca da parte dei carri armati russi e di una certa accentuazione dei termini della guerra fredda, e mentre anche fra URSS e Cina si radicalizzavano i termini di una relazione di cattivo vicinato. Riflessioni storiche e insieme filosofiche – fino a dire del materialismo e della religione, del monoteismo e di Dio nientemeno – si incrociarono non per rivendicare impossibili primazie, ma certo quel tema che nella capitale colombiana sarebbe presto, prestissimo, entrato da protagonista nelle considerazioni dell’assemblea massonica, fu degnamente affrontato da noi, punto dell’universo centro e periferia del cosmo e della società così come ogni altro punto dell’universo…, secondo la lettura leibniziana. (Avevo pensato di riferirne dettagliatamente ma forse è… opportuno rinviare ad una specifica occasione, così anche da non deviare eccessivamente dal tema di fondo che mi ero imposto di trattare con questo articolo).  

PS. – Mentre licenzio questo contributo mi giunge, da Roma direttamente, la notizia delle dimissioni (imposte dal Gran Maestro, così mi si riferisce) del malcelebrato “primus inter pares” di palazzo Sanjust, autore delle sgangherate dimostrazioni offerte alla pubblica fruizione internet: autore dunque delle volgarità assolute nei commenti scritti, evocatore di un parafascismo… d’espressione nelle vignette miserevoli, nell’irrisione della ritualità massonica, nelle offese ai vertici repubblicani, nello spupazzamento indecoroso di Giovanni Bovio (il gesso del cui monumento io ritengo sia più pensante del cervello di colui che lo ha mascherato volta a volta da agente segreto o da vecchio in pigiama oppure da atleta rossoblù o da candidato elettorale 2019, ecc. ecc.). Sua la firma – invero un autoflash – anche nel segno del dito medio postato senza ritegno a fine galoppata.

Nell’occasione mi è stato anche ufficialmente comunicato che – contrariamente alle ostinate negazioni di don Ferrante alle quali m’ero dovuto finora attenere – il soggettista-sceneggiatore-regista delle imbecillità postate in rete direttamente dalla sala storica di palazzo Sanjust e sotto lo sguardo dei gran maestri – Bisi in prima fila – ritratti nella quadreria a muro sia da identificarsi nel Maestro Venerabile di una loggia invero onorevole portante il titolo nientemeno che di Kilwinning e il numero d’ordine 1485, praticante l’emulation ritual così come, a Cagliari, la loggia madre Heredom e la Temple.

A suo tempo, ebbi dal Venerabile fondatore notizie sulla regolarizzazione nel GOI di una officina massonica incardinata in altra Obbedienza. Per una produzione dello stesso Grande Oriente d’Italia (un supporto informatico protetto da password, e contenente un mio libro di 791 pagine) offersi anche dettagliata cronaca dell’installazione di quella prima loggia dantesi il titolo distintivo di Heredom. Da allora – era il 4 dicembre 2004 quando s’innalzarono le Colonne – molti lavori di assoluta qualità sono venuti da quel filone che conosco soltanto dai libri, da quanto gradualmente consegnato da varie fonti al mio Archivio storico generale della Massoneria sarda, ma non dall’esperienza. Dovrò pormi il problema – e lo affronterò spero in un prossimo contributo – di come possa una loggia figlia come la Kilwinning, derivazione di tanto patrimonio sapienziale ed anche dopo aver espresso essa stessa elaborati impegnativi diffusi attraverso una molteplicità di canali in luoghi diversi, essersi squalificata riconoscendo a proprio dignitario-leader uno sconclusionato negli azzardi più rozzi e triviali di cui ha dato prova.   


Fonte: Gianfranco Murtas
RIPRODUZIONE RISERVATA ©

letto 4147 volte • piace a 1 persone0 commenti

Devi accedere per poter commentare.