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Gianfranco Murtas

Leggendo L’Unione Sarda: quell’articolo di Matta e quell’altro di Vercelli, e tutto l’altro… necrologi e prima pagina

di Gianfranco Murtas

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Leggo di mattina presto, dal sito abbonati, L’Unione Sarda di oggi, domenica 17 novembre, e trovo motivo per commentare, in breve, qualche notizia. Malato io stesso, comincio dai necrologi che annunciano alla città e alle cerchie degli amici la morte improvvisa di Mario Masillo, gran galantuomo. Trent’anni, quasi quaranta di esperienza, di lato alla professione, nella massoneria giustinianea cagliaritana, personalità generosa e di savio equilibrio. Lo ricordano i suoi della loggia Libertà, che contribuì a fondare ora sono giusto dieci anni.

Della Massoneria cagliaritana

Indugio un attimo sulla vicenda. Il 2009 era l’anno in cui si involò Armando Corona, carismatico protagonista della politica regionale e del sistema nazionale delle logge che si rialzavano dopo la sferzata menata loro dalla discorde (in senso etimologico) e pagana cupola detta P2. Era l’anno in cui si involò Bruno Fadda, gran maestro onorario, ed anch’egli a lungo esponente di primo piano della politica sarda, sul ponte repubblicano e già sardista, quando il sardismo era democratico mazziniano e non nazionalitario e velleitariamente indipendentista. Era l’anno in cui altri dalle logge cagliaritane si involarono, lasciando un buon ricordo di sé, e tracce della loro partecipazione alla ideale loggia-madre in replica da Kipling: lo storico direttore de L’Unione Sarda, Fabio Maria Crivelli, interprete della miglior liberaldemocrazia offerta come chiave critica alla militanza civile del “quarto potere”, il professore di chimica farmaceutica Carlo Mascia, altri di minore visibilità ma non minore esemplarità nei doveri della banca o del commercio o dell’impresa, Mariano Marongiu, Amedeo Nugnes, Tonino Tocco… Come in questi giorni di tardo novembre 2019, Francesco Solinas, Giorgio Manunza, Mario Masillo appunto si sono aggiunti…

Nel 2009 prese corpo la loggia di Masillo: nell’anno di fabbrica anche della loggia Mediterranea e, a Sassari, della loggia Rinascita, mentre già si lavorava al cantiere di altre compagini, dalla Quatuor Coronati alla Athanor, e poi alla Armonia ed alla Tetraktis, e ad Iglesias alla Ugolino (terza formazione locale)…

Gemmava la loggia di Masillo riunendo risorse da varie logge operanti a Cagliari già da tempo, dalla Sigismondo Arquer alla Risorgimento, dalla Giorgio Asproni alla Heredom, dalla Concordia e perfino dalla Risorgimento carboniese… L’entusiasmo nel recupero di una antica insegna: Libertà s’era denominata, nel 1959 e 1960, una loggia cittadina che aveva fatto capo a colui che è oggi il venerato decano, quasi centenario, della Fratellanza cagliaritana. Masillo ne assumeva il Maglietto di comando nel 2010, e ispirava un sentimento sociale a tutti. 

Nel mondo profano – profano? – serviva i malati: lo hanno segnalato gli «amici fraterni del Gruppo Hospitalier di Lourdes» ricordandone «sincerità e generosità» mille volte espresse nei lunghi anni della solidale impresa… Della sua nativa e fattiva bontà erano testimoni i compagni del Capitolo Turris n. 65 del Royal Arch Mason/Rito di York, che l’hanno perduto alla militanza degli effettivi perché «chiamato alla Gran Loggia Superiore al cospetto dell’Altissimo». 

Perdita dolorosa per la religiosità spalmata nel civile più laico che sia dato immaginare, per Cagliari, per la sua storia vera e ben poco rappresentata da chi, facendo informazione, suole dare più spazio al gossip della stupidità che alle silenti pieghe sociali in cui germina ed opera la migliore umanità.

Memorie di microcitemico

A quella migliore umanità partecipa oggi e da tutta la vita professionale il dottor Giulio Murgia celebrato da una mezza pagina del giornale con le cronache, a firma di Matteo Vercelli, dei festeggiamenti di ringraziamento organizzatigli da folle autentiche di piccoli malati ed… ex piccoli malati oggi adulti guariti, di familiari grati di tutto… 

Una trentina d’anni fa, prima che i Lions potessero allestire la loro benemerita Casa di accoglienza, fu concesso ad altri, nel privato, di approntare un servizio alloggiativo tanto più per bambini affetti da patologie le peggiori che fosse dato immaginare e i loro accompagnatori: venivano dai paesi dell’interno, dal Mandrolisai, dalla Barbagia e dalla Baronia, da Siniscola e Ilbono e non avevano mezzi per sostenere né pensione né tanto meno albergo… Nell’arco di due anni, fino all’apertura della Casa Lions, la struttura fu loro offerta in assoluta fraternità. I piccoli andavano al ricovero all’Oncologico o al Microcitemico, i loro genitori, i nonni e magari i fratellini li accompagnavano: la prossimità anche fisica alla loro camera di degenza, nella grande (e per tanti versi ignota) città, alleggeriva tutti, per quel che si poteva, bucando le paure della malattia…

Il dottor Murgia già lavorava, con virtù umana e professionale insieme, nelle sale del Microcitemico: un gioiello della sanità sarda che, come è stato legato al nome del professor Antonio Cao, e così a quello – noto e meno noto ma parimenti degno – di molti altri, infermieri e medici (e anche volontari) tutti assunti, e assurti, alla classe eccellente dei “migliori”, lo sarà e resterà a quello di Giulio Murgia.  

Mi sovvengono alcuni servizi televisivi che mi fu dato promuovere in televisione, ora sono già quasi quarant’anni. Per il Microcitemico che non si riusciva ad aprire per battaglie di burocrazia e di baronati che si affacciavano e dovevano/volevano infeudare. Al Macciotta i bambini che crescevano stavano allora in lettini a sbarre che avrebbero dovuto contenerli nella primissima età, soltanto in quella: erano a misura di chi, tanto, non ce l’avrebbe fatta. Ce la facevano invece, cominciavano a farcela, i piccolini a diventare più grandetti e grandi, perfino adulti. Ma quei lettini, quando pure le strutture del Microcitemico erano pronte e vuote, restavano come da trenta o cinquant’anni e fino ad allora, alla soglia degli anni ’80, ad accogliere durante le trasfusioni ragazzi-ex bimbi di dieci, dodici, quindici anni…

 Un vescovo nuovo a Cagliari

E’ riportata anche la notizia, sul giornale d’oggi, della nomina di un nuovo vescovo a Cagliari. Non trasferito da altra sede episcopale, come spesso è avvenuto nella storia, anche nel Novecento (Serci Serra veniva da Oristano (dopo che da Tortolì), Balestra da Acqui, Piovella da Oristano (dopo che da Alghero), Baggio dalla nunziatura brasiliana (dopo che cilena), Bonfiglioli da Siracusa (dopo che da Nicotera e Tropea), Canestri dalla vicegerenza di Roma (dopo che da Tortona), Alberti da Spoleto-Norcia, Mani dall’ordinariato militare (dopo che dal vicariato romano), Miglio da Ivrea (dopo che da Iglesias): eccezioni Rossi e Botto, promossi d’emblée dagli uffici presbiterali allora ricoperti a guida dei seminari diocesani rispettivamente di Perugia e di Chiavari).

Firma l’articolo (un’altra mezza micropagina in condominio con la pubblicità della Nuova Koma Hybrid) Paolo Matta, che conosce l’ambiente e lamenta che, a differenza di altre volte (o di sempre), i giornalisti del sistema “laico” non siano stati avvertiti. O avvertiti soltanto indirettamente, con un comunicato sui social d’apparato. A marcare una divisione fra la cittadella guelfa e la città degli infedeli. Peggior congedo don Arrigo Miglio non poteva dare, dopo un settennio anonimo iniziato da spettatore di una partita di calcio, in uno stadio interdetto da magistratura e prefettura, per cui preferì lasciare ad altri la cura di cinquecento poveri cristiani radunatisi per accogliere don Mario Cugusi nella storica e preziosa parrocchiale di Serdiana.

Matta raccoglie le inutili dichiarazioni di Solinas, il presidente della Regione che se è sardista (invece che leghista postpadano e sacerdote consacrato a Pontida) bisognerebbe chiederlo alle sante anime di Titino Melis e Luigi Oggiano e all’alta sapienza di Pietro Mastino… e del sindaco populista di Fratelli d’Italia (povero Goffredo Mameli il mazziniano nostro!) Truzzu. 

Accenna alla prossima ordinazione episcopale e all’arrivo a Cagliari, da Roma e Catania, forse a gennaio prossimo; fa brevi riferimenti anche al suo rispettabile profilo ecclesiale, di dignitario ecclesiastico. Un profilo di competente giurista sembra, il che non era e non è nelle necessità prioritarie della Chiesa di Cagliari. L’espressione pulita e cordiale di don Giuseppe Baturi offertaci dalle anticipazioni fotografiche da affidamento del buon cuore, assai di meno – nel mio sentire personalissimo (e fallibilissimo) – quelle esperienze leaderistiche del campo di Comunione e Liberazione in Sicilia, di cui scrive qualche notista incaricato dalla curia ma di cui non accenna Matta. Pensare di avere a Cagliari un vescovo che l’immaginario riporta, nel campo civile della “politica nuovo nome della carità” a Formigoni mi fa prevedere altri silenziosi scismi dopo quelli prodotti dai terribili episcopati che hanno preceduto il nuovo.

Ma la storia vive di contraddizioni, come ciascuno di noi – i critici come i plaudenti – è una contraddizione vivente. Io gli do il benvenuto di sardo che ama (moltissimo) i siciliani, gli do il benvenuto, certissimo come sono della sua buona fede e delle sue sante intenzioni, non glielo posso dare per l’irrispondenza del suo profilo a quello iconico del buon pastore alla Tonino Bello, il nostro sogno di italiani che, dalla parte di maestri come padre Balducci e padre Turoldo, ci riporta alla universalità di monsignor Romero. Quello è il modello oggi insoddisfatto.



Fonte: Gianfranco Murtas
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